Guerre, crisi economica, cambiamenti climatici, carestie e poi, quella carestia di pace che sconvolge l’umanità mentre troppi volgono lo sguardo altrove per non vedere, tanti fanno affari con la guerra e altrettanti si crogiolano nell’indifferenza: tutto questo nell’anno che si sta chiudendo; tutto questo mentre nel mondo oltre 149 milioni di minori sono nella condizione di quelli che non ce la fanno, di quelli senza futuro, di quelli costretti a vivere al margine della società opulenta. Save the children, riferendosi al recente rapporto delle Nazioni Unite, chiede al mondo di aprire gli occhi per vedere quel che accade e mettervi rimedio. Magari incominciando dai Paesi in cui si registra il più alto numero di bambini bisognosi di assistenza umanitaria, dall’Afghanistan e dalla Repubblica Democratica del Congo, che sono in cima alla lista e che contano, rispettivamente, 14 e 13,9 milioni di disperati. Seguono Etiopia, Yemen e Pakistan, territori in cui scarseggiano cibo, acqua potabile, alloggi, ospedali; fanno parte della lista le numerose aree di conflitto nelle quali non c’è alcun controllo sulle violenze perpetrare sui minori, dove si registrano inondazioni estreme o insistenti siccità, cause evidenti di fame e malnutrizione. “A peggiorare la situazione — afferma Save the children — ci sono le difficoltà con cui si scontrano le organizzazioni umanitarie in tutto il mondo per raggiungere chi ha bisogno di aiuto: mancano i finanziamenti e l’accesso alle aree colpite è ostacolato da un contesto restrittivo e dalle limitazioni imposte dalle normative antiterrorismo e dalle sanzioni…”.
Considerando l’inverno che avanza e il fatto che milioni di bambini vivono senza un riparo adeguato, la situazione umanitaria è destinata a peggiorare. Secondo Save the Children “le principali cause che non portano a una risposta umanitaria efficiente sono l’incuria politica e la mancanza di fondi. Infatti, mancano i finanziamenti e l’accesso alle aree colpite dalla malnutrizione è ostacolato o addirittura impedito da limitazioni che se da un lato vogliono prevenire azioni di terrorismo, dall’altro impediscono anche qualsiasi azione umanitaria”. Secondo il rapporto pubblicato dalla Nazioni Unite, le cause principali che hanno portato un significativo aumento della fame e della malnutrizione di quasi 150 milioni di bambini sono le crisi climatiche, che di fatto hanno impedito la coltivazione e il raccolto di prodotti essenziali. Nel 2022 inondazioni, siccità, incendi e guerre hanno causato una drastica carenza di cibo nelle aree del mondo dove la produzione agricola è per altro già limitata.
Tutto questo, e giova ripeterlo, mentre “il nostro tempo sta vivendo una grave carestia di pace”, tutto questo mentre il mondo ha bisogno di pace, di pace vera e duratura, che non è solo assenza di guerra ma giustizia diffusa, uguaglianze consolidate, pari opportunità e pari dignità garantite a chiunque… Invece, è ancora il rombo delle armi a dominare la scena. Come ha ribadito anche nei giorni scorsi papa Francesco “la guerra è diffusa in tanti luoghi del mondo, domina il nostro tempo, non si sa quando finirà… La pace invece scarseggia, come il pane in tempo di carestia”.
Ma quando è cominciata e perché questa carestia? Malgrado più dieci mesi di un conflitto tremendo in Ucraina, non sappiamo ancora dare una spiegazione vera del perché questa guerra sia scoppiata e non se ne veda la fine. Tutte quelle che ne sono state date – la tradizione imperiale russa o la volontà aggressiva di Putin, le minacce della Nato o le pretese dell’Occidente – appaiono insufficienti. Il “vento gelido” della guerra viene da lontano, si è levato prima dell’aggressione russa all’Ucraina.
Non a caso papa Francesco parla di “terza guerra mondiale a pezzi”: un pezzo evidente è quello rappresentato dall’Ucraina invasa dalla Russia; altri pezzi, spesso invisibili, sono quelli rappresentati da tanti altri conflitti che interessano il nostro tempo dalla Siria allo Yemen, dall’Afghanistan al Mozambico, dall’Iran al Myanmar e ovunque le armi sostituiscono la voce che invoca pace e concordia. Certo, parlare di “terza guerra mondiale a pezzi”» può sembrare una definizione strana. Il fatto è che nel XXI secolo la guerra ha cambiato natura. Nella prima metà del secolo scorso, due guerre mondiali sono state scatenate principalmente da un’Europa che occupava il “centro” del mondo; nella seconda metà, invece, guerra e pace sono dipese soprattutto dalle due superpotenze subentrate all’Europa in tale “centro”, Usa e Urss. Durante la Guerra fredda, la tensione era tale – e il pericolo nucleare così grande – che nessuno dei due blocchi poteva permettersi una guerra al “centro” del sistema, sotto forma di contrapposizione frontale tra le due superpotenze, di conflitto armato convenzionale in Europa o di altri scontri con effetti globali. Le tensioni tra i due poli si scaricavano alle “periferie” dove si creavano conflitti che non finiva mai, come tra Israele e Palestina. Dopo la fine della Guerra fredda, invece, il vento gelido della guerra ha cominciato a soffiare dalle “periferie”, come ha mostrato anzitutto il terrorismo islamista (ancora oggi molto presente, specie in Africa). Anche la Russia non è più la superpotenza di un tempo, sebbene erroneamente Putin abbia creduto di farla tornate tale aggredendo l’Ucraina e la sua propaganda cerchi di presentarla come uno scontro tra Oriente e Occidente.
Ma che questa “terza guerra mondiale a pezzi” venga dalle “periferie” non significa che il vento gelido della guerra sia meno pericoloso. Non c’è più, infatti, un “centro” che spinga i conflitti ai margini e ne impedisca contraccolpi globali. Con effetto domino, oggi la guerra può arrivare ovunque. Anche per questo, appare sempre più difficile che si esca dalla tragedia ucraina solo con un negoziato fra le due parti: occorre che altri intervengano con decisione. Il prolungarsi di questa guerra insensata acuisce il bisogno che il mondo trovi un nuovo “centro” di stabilità. Che non può essere costituito da una singola superpotenza o da un gruppo di Paesi alleati. Né, tantomeno, da una civiltà contrapposta alle altre.
Il mondo potrà avere un nuovo “centro” non se qualcuno lo occupa, ma se molti lo condividono. In ogni caso, difficilmente la strada per uscire dalla “carestia di pace” può essere separata dalla ricerca di un nuovo ordine mondiale. E in quest’ordine mondiale nuovo c’è forse la soluzione al problema della fame e della malnutrizione, dell’abbandono, delle malattie, dall’assenza di futuro cui sono costretti gli oltre 149 milioni di bambini racchiusi nel rapporto delle Nazioni Unite e dei quali Save the Children s’è fatta portavoce.
LUCIANO COSTA