15mo giorno di guerra

Forse una trattativa, forse niente: Ucraina piange ma Russia non ride. La piccola e debole nazione capace di produrre grano e di mostrare al mondo quanto vale e costa mantenere la libertà -, il suo nome è Ucraina e merita rispetto – è invasa dalla forte e potente armata che i suoi fasti antichi li vuole rimettere al di sopra di qualunque ragione – il suo nome è Russia e  da spendere al mercato globale ha solo arroganza e cinismo -, ma resiste. Resiste, però, fino a quando? Ucraina è adesso sommersa dalle macerie, bersaglio di bombe e cannonate, di missili e violenze, di parole pronunciate per imporre e sottomettere, mai per accettare che un popolo abbia diritto al suo territorio, alla sua dignità, alla sua libertà, alla sua democrazia. Ma domani Ucraina sarà ancora capace di difendere libertà, dignità e democrazia per il suo popolo? Ricordo l’Ungheria invasa dai carri armati – anno 1956 – rivedo Praga schiacciata dall’armata sovietica – anno 1968 – risento la musica che salutava la caduta del muro di Berlino e la fine dell’impero comunista – anno 1989 – e mi assalgono pensieri che dicono come, in tanti anni, il mondo non ha saputo costruirsi intorno logiche di pace a cui nessuno doveva e poteva sottrarsi. Così, nell’anno 2022, ecco di nuovo la guerra più atroce e stupida, quella che raffigura un potente che vuole schiacciare un debole: bella forza! Non resta che piangere e sognare che una risata seppellirà quel folle potente che vestendosi da dittatore pretende di sottomettere chiunque non sia o non diventi suo complice.

Andrea Monda, su “l’Osservatore Romano”, racconta questa guerra tra Ucraina e Russia, che tragicamente giunge al suo quindicesimo appuntamento, lasciando da parte le dispute politiche e mettendo invece in pagina le storie di donne e mamme che questa guerra la stanno vivendo tra atroci dolori e speranze che si dissolvono come neve al sole. Racconta che “la donna sta lì, rannicchiata in un carrello della spesa che la trasporta in salvo, e guarda fissa in camera. Ci guarda. Chissà quanti anni ha, tanti. Negli ultimi 15 giorni sono aumentati vertiginosamente. Chissà se ha visto l’orrore della seconda guerra mondiale, ma lo sguardo che ci rivolge sta a dire: una cosa così non l’avevo mai immaginata né vista o speravo di non vederla più. Bombe sui civili. Perché? Che nome avrà questa donna? Non lo sappiamo, diamoglielo, è il minimo che possiamo fare per lei. Olga, Kateryna? Potrebbe essere la nonna della bambina che vediamo lì accanto. Una bella bambina, sorridente, circondata da soldati armati. Si guarda intorno e sorride. Che nome avrà questa bambina? Eva? Sofia? Forse Sofia, è un nome che dice qualcosa: saggezza; c’è una saggezza profonda, misteriosa in questo suo sorriso, qualcosa che a noi ci sfugge. Infatti: perché sorride? Cosa vedono i suoi occhi che noi non vediamo? I giovani hanno sogni, dice il profeta Gioele; i giovani hanno promesse nel cuore, sono essi stessi una promessa; per questo sorridono alla vita, anche quando la vita mostra loro il volto più crudele. Ma Sofia ha veramente dei sogni? O degli incubi? La profezia di Gioele dice che i giovani avranno sogni perché (fino a quando) i vecchi avranno visioni. Nonna Kateryna ha ancora delle visioni in modo che Sofia potrà sognare? Nell’ottobre del 1939 il giovane poeta Karol Wojtyła compone un salmo in cui canta l’impossibilità di cantare: «il vento d’autunno tagliò i miei desideri / come con uno slancio / in un colpo di spada / abbatté le statue / spezzò le visioni, / e mi ordinò di litigare col mio canto». Un mese prima l’esercito tedesco aveva invaso la Polonia. Oggi c’è un altro vento lì, a pochi chilometri di distanza, un vento d’inverno che si abbatte come un colpo di spada e spezza le visioni. Come si fa a fermare il vento? Eppure dobbiamo fermarlo, altrimenti si spezzeranno i canti insieme alle visioni di Kateryna, i sogni e il sorriso di Sofia. Alternativa non c’è”.

E mentre in Ucraina mamme e bimbe piangono e disperano, in Russia altre mamme gridano al vento di portare fino a loro notizie dei figli prestati alla Patria e da questa, subdolamente, usati come birilli di una guerra non dichiarata ma reale e cattiva, orrenda, assurda… Il loro pianto è uscito dai confini ed è arrivata fin qui. Sergio Centofanti racconta che “in Russia ci sono delle mamme coraggiose che non hanno paura di protestare perché i loro figli sono stati mandati a invadere l’Ucraina senza neanche saperlo: alcuni sono militari di leva appena maggiorenni, ragazzini soldato che non vogliono combattere una guerra di altri”.

Poi dice che “ci sono madri che possono essere d’accordo con le ragioni della guerra, perché la propaganda e la disinformazione è tanta, ma se hai un figlio ingannato, usato e mandato sul fronte a uccidere e a morire invece di vivere e lasciar vivere, allora la ribellione diventa più forte di ogni timore. Non importa se ora c’è una legge che condanna fino a 15 anni di carcere se qualcuno parla di invasione, se le mamme si ribellano, un regime si deve preoccupare”. Aggiunge che “ci sono mamme russe che sono scese in piazza a manifestare, si sono fatte malmenare e arrestare – per le mamme un figlio è tutto -, vogliono sapere dove stanno i loro ragazzi, inviati sul fronte come carne da macello e di cui non hanno più notizie perché le autorità non hanno interesse a darle… Ci sono mamme che sperano, perché il figlio catturato dagli ucraini ha potuto telefonare, piangente. È ancora vivo. Ci sono altri ragazzini soldato che disertano e fuggono. Non capiscono perché dovrebbero morire per questa guerra”.

Questo sta accadendo in Russia. Sul fronte opposto c’è la resistenza coraggiosa di un popolo libero, quello ucraino, che non vuole essere schiavizzato da un regime straniero. “Per quanti credono o vogliono credere alla bugia che l’esercito russo sia andato a liberare un popolo in mano ai nazisti – spiega il giornalista -, basta vedere quanti ucraini da tutto il mondo lasciano affetti, benessere, ricchezza e comodità e tornano in patria per difenderla dall’invasore… Basta vedere quanti anziani, donne e civili ucraini inermi si riversano sulle strade occupate dai carri armati mandati da Mosca gridando di andarsene via. Sono fatti di un’evidenza eclatante di fronte ai quali i racconti che offrono una narrativa contraria appaiono in tutta la loro falsità. Qui c’è un popolo, l’Ucraina, che vuole essere libero di decidere il proprio futuro e resisterà fino alla fine… Per questo l’armata russa spara sui civili e li affama, devastando tutto, colpendo case, ospedali, scuole, chiese: perché Mosca sa che potrà vincere la battaglia ma non la guerra contro un popolo che vuole la libertà…”.

Nel 1992, appena trent’anni fa, quando la primavera bussava alla porta, proprio come adesso in Ucraina, piovevano bombe sulla gente in attesa di acquistare il pane messo a cuocere nei forni di Sarajevo. Quelle bombe sulla gente in fila per acquistare pane fu uno dei più tragici episodio dell’assedio di Sarajevo, capitale bosniaca, il più lungo assedio del XX secolo, durato dal 5 aprile 1992 al 29 febbraio 1996, con più di 12mila morti, oltre 50mila feriti, l’85% civili. Allora Sarajevo moriva sotto i colpi delle forze dell’Armata popolare jugoslava e serbo-bosniache. Oggi Ucraina muore sotto le bombe e i missili della Russia…

Allora Izet Sarajlić, un poeta che tutti conoscevano e apprezzavano col soprannome di Kiko, scrisse: “A Sarajevo / in questa primavera 1992, / tutto è possibile;/ fai la coda per comprare il pane / e ti ritrovi al Servizio traumatologia / con una gamba amputata. / E dopo asserisci / d’aver avuto anche fortuna”. Adesso non c’è poeta che scriva, però una bimba ha cantato i sogni dei piccoli e un pianista folle, trascinando tra bombe e divieti il suo strumento, ha suonato per di mostrare che niente può fermare il suono e il canto della pace.

LUCIANO COSTA

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