Alle quattro di questa mattina, 24 febbraio 2022, Putin è apparsoalla televisione delle (sue) russie per annunciare al popolo che l’Occidente non capiva, che il governo di Kiev sosteneva l’insostenibile e che, dunque, l’unica soluzione era la guerra. Addio mediazioni, addio a qualunque ipotesi di pace immediata, spazio soltanto alle armi. Vergogna, sgomento, rabbia: davvero il passato non ha insegnato nulla? Davvero popoli che pure hanno tradizioni pacifiche e spirito cristiano mai soggiogato hanno cancellato la speranza per far posto alla forza bruta delle armi? No, non è possibile. Soprattutto perché, al di là di ogni umana azione, anche la più illogica, c’è, rimane e deve esserci quel margine di assoluto che impone riflessioni e rispetto per chi, senza colpa, vive dentro quelle situazioni di guerra create da incomprensioni mai sopite e da concetti che se da una parte, oggi quella dell’Ucraina (nazione libera che non vuole sottomettersi all’impero russo) reclamano libertà e democrazia, dall’altra vengono sopraffatti dal volere di un capo che non solo si è autoproclamato padrone e zar della Russia, ma che pretende assoluta e totale adesione al suo volere. Alle quattro di questa mattina chi stava davanti al televisore o già impegnato in faccende mattutine ha misurato sulla sua pelle il terrore provocato dall’annuncio che laggiù, in terra ucraina, parlavano soltanto le bombe, gli spari, i carrarmati, gli aerei armati e pronti a sganciare micidiali ordigni, i ficili e le mitraglie imbracciati da soldati ai quali nessuno aveva spiegato perché avrebbero dovuto sparare e contro chi ma solo ordinato di eseguire gli ordini. Alle quattro di questa mattina, 24 febbraio dell’anno 2022, è di nuovo andata in scena la follia della guerra.
Scrivendo quando l’orologio segnava soltanto la mezzanotte del 23 febbraio 2022, avevo rivolto pensieri, riflessioni e attenzioni all’invito che papa Francesco aveva fatto affinché tutti gli uomini di buona volontà, credenti o non credenti che fossero, dedicassero un giorno di preghiera e digiuno per chiedere al Dio di tutte le consolazioni la pace e la concordia tra i popoli.
Scrivevo che Giorgio La Pira, con la semplicità che solo gli innamorati del Vangelo (e lui, innamorato di quelle pagine lo era per davvero) possiedono, un giorno lontano, aveva spiegato ai giovani che gli chiedevano che cosa dovevano fare per costruire una società degna d’essere vissuta, rispose che bastava incominciare “a pulire la strada perché chiunque potesse percorrerla senza temere di inciampare e di cadere”. Un giovane, chiaramente insoddisfatto, gli disse allora che non bastava, che era troppo poco… “Si incomincia dal poco – gli spiegò il buon politico fiorentino -, il resto viene di conseguenza. E se questo resto lo cerchiamo nelle pagine del Vangelo, allora tutto diventa possibile, naturale, addirittura normale”. La Pira, che presto sarà proclamato Beato, era uno di quei viandanti che il giorno lo aprivano pregando, rivolgendo lo sguardo verso l’Alto, mettendosi in ascolto di ciò che il Cielo suggeriva, lasciando che tra la terra e il cielo ci fosse l’invocazione al Dio di tutte le consolazioni, capace di mettere armonia dove regnava il disordine e condivisone fraterna dove c’era posto soltanto per il proprio tornaconto. “Davvero un grande quel La Pira” ha scritto un giovane di ritorno da una gita a Firenze in cui, oltre l’arte, aveva incontrato la storia di persone “degne d’essere conosciute e apprezzate”.
Ricordavo anche che sentendo ieri papa Francesco parlare col cuore in mano ai tanti convenuti in San Pietro per l’udienza del mercoledì, ripetendo che non la guerra ma la pace è ciò che serve all’Ucraina, alla Russia, all’Europa e al mondo intero, ho rivisto Giorgio La Pira mentre, inginocchiato, invocava pace e concordia per tutti: per i vicini come per i lontani, per i forti e per i deboli, per chiunque possedesse sogni da imprestargli per rendere migliore il futuro. Ieri Francesco ha detto: “Ho un grande dolore nel cuore per il peggioramento della situazione nell’Ucraina. Nonostante gli sforzi diplomatici delle ultime settimane si stanno aprendo scenari sempre più allarmanti. Come me tanta gente, in tutto il mondo, sta provando angoscia e preoccupazione». Papa Francesco, stupendo chi l’ascoltava, ha così invitato “a trasformare il prossimo 2 marzo, mercoledì delle ceneri, in una Giornata di digiuno per la pace”. L’appello, nella sua semplicità, è di quelli che non può lasciare indifferenti. Infatti, chiama credenti e non credenti a rispondere con le pacifiche armi della preghiera e del digiuno “all’insensatezza diabolica della violenza”.
Andrea Tornielli, editorialista vaticano, a commento della proposta avanzata dal Papa, sottolineando come “la prospettiva di nuova guerra in Europa è un incubo per tutti, e in particolare per la generazione che ha conosciuto le speranze innescate dalla caduta del Muro di Berlino nel 1989”, ha ribadito che “la responsabilità della guerra è sempre di chi la fa invadendo un altro Paese”. Allo stesso modo Tornielli si è però domandato: “Qual è la strada per trovare una soluzione pacifica? E questa strada va ricercata dentro gli schemi bellici delle alleanze militari che si espandono e si restringono o piuttosto in qualcosa di nuovo in grado di farsi anche carico degli errori del passato (che non stanno da una parte sola) restituendo una prospettiva realistica alla speranza di una diversa convivenza fra i popoli?”.
Ma, resiste, c’è, è possibile la speranza di evitare un’altra orrenda guerra? Adriano Dell’Asta, docente di Lingua e Letteratura russa all’Università Cattolica, sottolinea che questo “è un momento drammatico, che rischia di diventare tragico e che però credo possa anche offrirci un’occasione per il rilancio di una convivenza civile e pacifica in tutta l’Europa. Intanto, c’è la gente che o soffrirà o potrà vivere. Perché l’alternativa è questa. Soffrire o vivere prima che le sanzioni entrino a fare i loro effetti. Ma comunque è gente che soffre già adesso: di paura, di separazioni. Gente che deve abbandonare tutto. Non sono soltanto i diplomatici occidentali che si spostano verso casa o altrove, ma è la gente…”. Gente che abita in Ucraina e in Russia, che ha una storia, una cultura, che spera tempi di pace e che si trova immersa in una crisi che rischia di distruggere qualsiasi speranza, di cancellare storia e memoria… “L’Ucraina – ha spiegato il professor Dell’Asta in una intervista rilasciata ad “Avvenire” – ha una sua storia. Ahimè, nel discorso del presidente Putin questa storia è stata ridotta a zero o ridotta a un prodotto della rivoluzione bolscevica. È una lettura storica che francamente non ha nessun fondamento nella realtà. L’Ucraina ha una tradizione antichissima. C’è una diversità di lingua evidente, di tradizioni, ma nonostante questa diversità anche oggi c’è la possibilità di una unità tra i due popoli. La Russia non è tutta schierata a favore di uno scontro. Ci sono russi non secondari, grandi intellettuali, grandi pensatori, che condividono il dolore e la vergogna per quello che sta accadendo. Certo, sono una minoranza… Ma nella Russia di oggi e nella storia della Russia c’è la possibilità di riscoprire delle prospettive diverse da quelle della contrapposizione e della guerra…”.
Papa Francesco ha proposto la preghiera e il digiuno come antidoti alla guerra. Il suo invito è stato subito accolto dai cristiani. Ma, basterà? Pur apprezzato dai non cristiani, l’invito di Francesco a pregare e a digiunare obbliga chiunque abbia a cuore le sorti del mondo a fermarsi per riflettere sul significato di pace e di pacifica convivenza.
La preghiera e il digiuno (“roba per bigotti creduloni” come dicono coloro che a Cristo guardano, tutt’al più, per riservargli qualche colpa e troppe disattenzioni) diventano il segno della partecipazione al dramma e della condivisione della grande speranza per una pace globale e duratura. “Nessuna bigotteria o ostentazione di una fede che va oltre ogni limite e al di là di ogni umano pensiero… solo un rivolgersi fiducioso a chi tutto può”, ha sottolineato ieri un giornalista cattolico invitato a spiegare il senso della proposta avanzata dal Papa. Dal canto suo il professor Dell’Asta ha ricordato quanto già accaduto quando, alla caduta del muro di Berlino, a uno dei responsabili della Stasi (la terribile forza di repressione allora dominante la Germania dell’Est)) venne chiesto se non si potevano opporsi alla caduta di quel muro o se non avessero mai pensato di reprimere le manifestazioni. Lui rispose: “Eravamo preparati a reprimere delle manifestazioni violente, ma la gente veniva avanti con le candele accese e non eravamo pronti a opporre la nostra forza a quella delle candele accese”. Non è fantasia, è successo e, perché no?, potrebbe accadere di nuovo.
Invece, ecco di nuovo i venti di guerra. Ma a chi giova questa infinita stupidità?
LUCIANO COSTA