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Acqua pulita al mulino dell’informazione…

Nel suo piccolo, anche il nostro Bresciadesso, cercando con forza di star lontano dai gorghi e dalle ammucchiate generiche di parole, porta acqua al mulino dell’informazione. Per noi non si tratta di sommare notizie, ma di entrare in questa o quella notizia per coglierne significati e proporre così qualche utile riflessione. Ovviamente, non siamo tutto: però cerchiamo di essere qualcosa di importante, capace di colloquiare lasciando spazio al lettore e consentendogli così di esser arbitro e giudice di ogni parola usata. Ma perché questa premessa? E’ presto detto: troppa informazione buttata in pasto al pollaio, troppe parole vacue in libertà, assai poco rispetto per il pubblico uditore e lettore, evidente pretesa di possedere il diritto di dire e disdire, preoccupante convinzione di essere l’informazione e non la penna o la bocca che la offrono spogliandola però, come insegna il manuale, di opinioni e personali visioni… Ecco, l’insieme di queste e altre considerazioni, giustificano la premessa e suggeriscono – a noi e a chiunque faccia informazione – di usare penna e bocca soltanto dopo averle esercitate a proferire parole rivestite di umanesimo e di verità. In fondo, significa dare senso compiuto al mestiere di scrivere e di parlare. Così, oggi, più della guerra orrenda che da sessantacinque giorni impedisce un vivere normale, interessa la riflessione, quella che non fa di tutte le erbe un fascio preferendo fare sintesi e così dare risalto agli impegni che portandoci fuori e lontano da qualsiasi ipotesi guerresche alimentano la ricerca di una pace convinta e duratura: in Ucraina come ovunque le armi e non la ragione abbiano il sopravvento. E perché il ruolo informativo abbia ragioni da spendere, eccoci a proporvi di leggere quel che Gerolamo Fazzini, un acuto osservatore della realtà, ha scritto a proposito dei modi radicalmente diversi di fare informazione.

… per aiutare a comprendere la realtà

La pandemia prima e la guerra in Ucraina poi hanno confermato che esistono modi radicalmente diversi di fare informazione, con ripercussioni sociali di segno opposto. Da un lato c’è chi, cercando di documentare onestamente la realtà (al netto di possibili errori che tutti gli umani compiono), serve la collettività e contribuisce ad alimentare un sano dibattito delle idee. Dall’altro lato assistiamo, invece, a un giornalismo che, puntando su una semplificazione che sfiora la banalizzazione e sull’eccessiva spettacolarizzazione, pare più preoccupato di ottenere audience e profitti che di generare benessere sociale grazie a un’informazione di qualità. Non si tratta di adottare un approccio manicheo. Ma è indubbio che vi siano differenze sostanziali, nei prodotti giornalistici e nelle intenzioni di chi li realizza, a seconda che il destinatario dell’informazione sia considerato, in primis, cliente oppure cittadino. Può essere d’aiuto, a tal fine, una doppia citazione da altrettanti testi di Adam Smith, il padre della politica economica moderna. Nel suo La ricchezza delle nazioni leggiamo una frase divenuta famosa: «Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dalla cura che essi hanno per il proprio interesse». Una consolidata tradizione di pensiero ha trasformato queste parole in un dogma secondo il quale le leggi dell’economia capitalista sarebbero ingranaggi perfetti e immodificabili. Applicando tale schema al giornalismo, ne viene che, per conquistare il destinatario (utente del Web, lettore, spettatore, ascoltatore…), valgono tutte o quasi le tecniche adatte a sedurre il cliente.

C’è però un’altra frase significativa, sebbene assai meno nota, che Smith scrive in Teoria dei sentimenti morali. Dice così: «Per quanto l’uomo possa essere considerato egoista, nella sua natura ci sono chiaramente alcuni principi che lo fanno interessare alla sorte degli altri, e che gli rendono necessaria l’altrui felicità». Quindi, felicità pubblica e comune prosperità sono i concetti-chiave alla base dell’Economia civile, radicalmente alternativa alla concezione che regge lo schizofrenico sistema economico imperante. Ora. Non occorre essere studiosi dei media per constatare che mai come oggi la credibilità del sistema informativo, in Italia e non solo, è avvertita in notevole calo rispetto a pochi anni fa. Il problema è assai più complicato e radicale della progressiva – forse inarrestabile – crisi che attraversa la carta stampata e vede un drammatico calo di copie e di introiti pubblicitari. La piaga delle fake news è solo la punta dell’iceberg di un ‘disordine informativo’ che – insieme all’altro enorme problema, l’iper-informazione digitale – rischia di allontanare progressivamente molti dal giornalismo, sulla base della diffusa convinzione che un’informazione affidabile sia più un mito che realtà. Chiediamoci, allora: cosa accomuna le varie forme di fake news, siano esse generate a scopo politico, economico, militare? Che servano a portare voti al Trump di turno, a rafforzare il consenso del presidente russo Vladimir Putin o a spostarli sul Leave (come in occasione del referendum sulla Brexit) oppure che portino vantaggi ad un’azienda o a un partito, in comune le fake news hanno il fatto di trattare l’utente-destinatario non come un cittadino con i suoi diritti e doveri, quanto – piuttosto – come il semplice terminale di un meccanico do-ut-des (soldi in cambio della merce-notizia), oppure un potenziale elettore e via dicendo. Ciò spiega la deriva in corso, in cui fake news e click baiting sono strumenti, di volta in volta, utili a conquistare traffico, pubblico, consenso politico.

Al contrario, proviamo a chiederci: cosa accomuna esempi felici e nuovi, dal solution journalism al giornalismo costruttivo, dallo slow journalism al giornalismo della speranza? Risposta: il fatto di guardare al destinatario non solo come a un mister X senza volto, ma come un cittadino, con diritti e doveri. La mia ipotesi di lavoro è che, per restituire credibilità all’informazione, si debba ripartire dalle fondamenta, perché altrimenti, come ha detto Arthur Sulzberger, ex presidente del New York Times, «è come spostare i mobili all’interno del Titanic che affonda». E dunque, se davvero vogliamo voltar pagina, va recuperata la centralità del cittadino (perciò parliamo di giornalismo civile) che, ovviamente, è pure soggetto economico in quanto cliente. Si tratta, quindi, di provare ad applicare al mondo dell’informazione alcune acquisizioni dell’economia civile: un approccio originale, genuinamente made in Italy, grazie al quale – sulla scia di intuizioni che hanno secoli di storia alle spalle – si sta cercando di coniugare oggi concetti che a molti paiono antitetici, quali profitto e bene comune. Ma che, al contrario, possono convivere dentro un orizzonte valoriale nuovo e più ampio, nel quale gli stakeholder sono molteplici e contemplano pure le nuove generazioni e l’ambiente.

GEROLAMO FAZZINI

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