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Addio, Regina! Ti sia lieve la terra…

Guardare il palazzo e non vedere la regina; scrutare il pennone più alto del castello e accorgersi che la bandiera non sta al suo posto, lassù in alto, ma a mezz’asta; osservare la gente che guarda il balcone centrale, quello delle grandi occasioni, pur sapendo che ora è chiuso e solitario; accorgersi che tutto è pianificato, ordinato, pensato per fornire l’immagine della perfezione… La regina è morta, l’inno nazionale diffuso a reti radiotelevisive unificate è il requiem laico innalzato a memoria, il silenzio calato su città e paesi dice che “London Bridge is down” (“il ponte di Londra è crollato”), un enigma verbale che alla maniera del più classico codice segreto mette la parola fine – the end – ai settant’anni di regno assoluto e incontrastato della regina: Elisabetta, figlia della terra di Albione, regina saggia e pratica, dolce e arcigna, assoluta e popolare, democratica e monarchica, elegante e sobria, sorridente e inarrivabile, forse anche bizzarra (mille e mille cappellini-foulard-borsette-scarpe-bastoni-ombrellini-ninnoli e gioielli portati, ma mai esibiti, la dicono lunga sul suo sottilissimo e pregevolissimo senso dell’umorismo), comunque felice (di esistere, di partecipare, di ricevere inchini e baciamano, di concedere carezze, di vedere il mondo passare in fretta senza per questo scomporsi più di tanto…), felice anche di nascondere dolori e sofferenze così che i sudditi potessero essere confortati e rassicurati sul cammino da compiere…

La Regina se ne è andata come qualsiasi comune mortale – un dolore, un nuovo acciacco, il peso degli anni, il prevalere del destino su ogni certezza terrena, la soave arroganza dell’Angelo mandato ad annunciarle che un angolo di paradiso era pronto ad accogliere anche lei… – e come qualsiasi mortale di certo convinta che un giorno in più non le sarebbe dispiaciuto. Invece… Addio, Regina! Ti sia lieve la terra destinata a coprirti e ti sia benigno il giudizio che il Supremo pronuncerà. Addio, Regina! E perdona, se puoi, le parole fuori posto, i ricordi melensi e melliflui, i ghirigori mandati in onda, le ricostruzioni dell’esistenza fatte per mostrare le crepe e non per medicarle e archiviarle, le lacrime improvvisate, il cordoglio di maniera, la preghiera forzata di suffragio, la corsa al nuovo posto in cui adagiarsi per non perdere il privilegio acquisito, la miseria umana che mentre piange la partenza della regina già pregusta l’arrivo del re. “Morto il Re, viva il Re”: è così che si archivia la storia.

Ho visto la Regina, ma forse era solo la sua ombra, quando l’amico fotografo partito da Brescia per cercare fortuna in Inghilterra si ritrovò col titolo di reporter appiccicato al bavero e quindi abilitato a entrare e ad uscire dai sacri palazzi. Mi aveva detto: “Vieni a Londra, vedrai il mondo e la Regina”. Andai a Londra, vidi il mondo suddiviso in mille sfaccettature e mille razze, ognuna complementare all’altra, tutte insieme alla ricerca di buon futuro: era un mondo di ricchi e poveri, di felici e infelici, di miseria e di nobiltà, era un mondo racchiuso in una città in cui bianchi neri gialli nativi indigeni indiani apolidi e senza fissa dimora avevano accoglienza. Invece, della Regina vidi forse la raffigurazione classica o forse solo la sua ombra. Un’altra volta, in viaggio culturale, mi ritrovai con altri ventimila ad ammirare il cambio della guardia immaginando che dietro la tenda del balcone centrale si materializzasse la regina. Non accadde nulla. Però, quei sudditi che di buon’ora guardavano al Palazzo per vedere se la bandiera regale fosse al suo posto, lì per confermare che la regina era viva e felice, erano tanto teneri da indurmi a essere solidale e partecipe della loro felicità (felicità di avere una regina lontana ma vicina: sogno e realtà…). Poi, visite brevi, fughe verso il nord, soste sulla costa, visioni di castelli, ricerca di fiumi popolati da salmoni, scoperta di distillati al sapore di fieno (whisky, che diamine!), una volta dentro il massimo stadio possibile e immaginabile (Wembley, chi altro?), due volte a vedere i templi universitari, altre a rincorrere il tempo per misurare quanto fosse lungo e largo il Tamigi, altre ancora a cercare marmellata di arance amare e sigari esclusivi… Mai, invece, per cercare di vedere la regina. Che, guarda caso, vidi, da lontano, in quel di Milano…

Elisabetta, dal 1952 è stata regina di Gran Bretagna e di oltre una dozzina di altri Paesi, tra cui Canada, Australia e Nuova Zelanda. All’inizio di quest’anno aveva festeggiato il suo 70° anno di regno. Il 6 febbraio scorso, nel mezzo delle celebrazioni per i 70 anni di regno, aveva ribadito che la sua vita sarebbe sempre stata consacrata al servizio dei suoi sudditi, rinnovando così la promessa fatta nel 1947, in occasione del suo 21mo compleanno. Nel 1952, con l’improvvisa morte del padre Re Giorgio VI e l’abdicazione dello zio Edoardo, divenne regina del Regno Unito di Gran Bretagna, e Irlanda del Nord, degli altri reami del Commonwealth e capo supremo della Chiesa di Inghilterra. Cammin facendo sposò Filippo, duca di Edimburgo, morto il 9 aprile del 2021, e divenne madre di Carlo, nato nel 1947, di Anna, nata nel 1950, di Andrea, nato nel 1960 e di Edoardo, nato nel 1964.

Il 2022 è stato segnato dai festeggiamenti per il giubileo di platino, ma anche dal Covid 10 che non ha risparmiato neppure la regina. Il suo è stato il regno più lungo della storia britannica. Il lutto per la sua morte durerà dieci giorni. Ma oggi il suo successore, il figlio Carlo, sarà proclamato re. Perché così vuole la prassi e così deve essere. La regina Elisabetta II è stata “la roccia su cui è stata costruita la Gran Bretagna moderna, lo spirito stesso della Gran Bretagna”, ha detto Liz Truss, premier appena incaricata di formare il nuovo governo. “La Gran Bretagna – ha aggiunto – deve unirsi per sostenere e offrire lealtà e devozione al nuovo re”.

Per la regina che se ne è andata, le parole commosse del cardinale Arthur Roche prefetto del Dicastero per il Culto divino e la Disciplina dei sacramenti: “Non solo si è dedicata senza riserve a servire il suo popolo – ha scritto con evidente commozione -, ma si è anche affidata alla protezione di Dio. La sua fede cristiana, espressa tante volte nei suoi messaggi annuali di Natale e in altre occasioni, sono stati momenti di straordinaria testimonianza della sua fede, del Vangelo e dei valori del bene comune, della vita familiare, della pace e della concordia tra i popoli. La sua gentilezza e la sua empatia per la gente, le sue doti di statista e l’amore per il suo popolo nei molti Paesi, culture e religioni del Commonwealth hanno testimoniato un legame ininterrotto e unico di dedizione al servizio degli altri. È stata molto amata da tutti. E sempre è rimasta fedele al giuramento fatto quando accettò di diventare regina, quando disse che l’intera sua vita, lunga o breve, sarebbe stata dedicata al servizio del popolo”.

Fine di una storia lunga, appassionata, bella e spesso mal raccontata o pretestuosamente esibita. Inizio di un’altra storia. Come sarà, però, nessun lo sa.

LUCIANO COSTA

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