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Africa, povera e inascoltata…

Ciò che è accaduto nei giorni scorsi sulle strade della Repubblica Democratica del Congo (due italiani, uno ambasciatore l’altro carabiniere in servizio, e il loro autista africano morti ammazzati in un agguato) è la tragica conferma che nel mondo, dichiarate o semplicemente sussurrate, sono in corso decine di guerre: alcune vistose e viste ovunque, altre sconosciute e neppure segnalate, altre ancora nascoste agli occhi dell’opinione pubblica ma ferocemente combattute tra villaggi e foreste dove l’occhio dei media non arriva. I dati, riferiti da alcuni giornali americani, sono drammatici, ma forse non così tanto da indurre qualcuno a mettersi davanti al palazzo delle Nazioni Unite per gridare che le guerre distruggono, fanno perdere tutto e che è tempo di smetterla di intenderle come “accidenti incontrollabili” e, purtroppo, inarrestabili. “Quello che non facciamo noi umani, che pure dovremmo essere i primi a essere preoccupati di vivere in compagnia della guerra – ha scritto un missionario schierato in prima linea – lo fa invece papa Francesco, che continua a ripetere, chiedendolo come si chiede un favore “mai più la guerra, perché le guerre non risolvono niente, anzi fanno guadagnare le persone che non vogliono il bene dell’umanità”.

Metà delle guerre in corso interessano l’Africa; ogni guerra ha al suo interno motivi che sfuggono e altri che invece sono diretta conseguenza di ciò che è stato. Per esempio, il peso del giogo sopportato in tempo di colonizzazione selvaggia, ogni volta svela il suo lato peggiore. Come papa Francesco disse ai media rientrando dal suo viaggio in terra d’Africa, “quando avviene la liberazione di un popolo e lo Stato dominante vede che se ne deve andare — in Africa ci sono state tante liberazioni e Francia, Gran Bretagna, Belgio, Italia…, hanno dovuto andarsene —, c’è sempre la tentazione di andarsene con qualcosa in tasca. Prevale cioè il sì, io concedo la liberazione a questo popolo ma qualche briciola la porto con me… Per esempio, concedo la liberazione al Paese ma dal pavimento in su: il sottosuolo invece rimane mio. È un esempio, non so se è vero – spiegò in quella occasione il Papa -, ma c’è sempre questa tentazione. Credo invece che le organizzazioni internazionali debbano attuare anche un processo di accompagnamento, riconoscendo alle potenze dominanti quello che hanno fatto per quel Paese e riconoscendo la buona volontà di andarsene, aiutandole affinché se ne vadano totalmente, con libertà, con fratellanza. È un lavoro culturale lento, ma si deve andare avanti rafforzando le istituzioni internazionali: l’Onu e l’Unione Europea, perché siano più forti, non nel senso del dominio, ma nel senso di giustizia, fratellanza, unità per tutti”.

In questo procedere si registrano situazioni che generalmente si definiscono “colonizzazioni geografiche”, non più rilevanti ma comunque destabilizzanti. Invece, ci sono tante subdole e mostruose “colonizzazioni ideologiche” che, come ha detto il Papa “vogliono entrare nella cultura dei popoli e cambiare quella cultura e omogeneizzare l’umanità”. Qualcuno afferma che è il prezzo della globalizzazione. “Ma la vera globalizzazione – sostiene Francesco – non è una sfera, è un poliedro in cui ogni popolo, ogni nazione conserva la propria identità, si unisce a tutta l’umanità. Invece la colonizzazione ideologica cerca di cancellare l’identità degli altri per renderli uguali. “E i nuovi moderni invasori arrivano con proposte ideologiche che vanno contro la natura di quel popolo, contro la storia di quel popolo, contro i valori di quel popolo”. Da qui l’imperativo che Francesco riassume dicendo: “Dobbiamo rispettare l’identità dei popoli”.

Tutto questo, ma forse molto di più, riguarda l’Africa. Quell’Africa che nell’inconscio collettivo è terra di conquista e di sfruttamento. “Noi – dicono uomini e donne di buona volontà impegnati in terra di missione – dobbiamo liberare l’umanità da questo terribile inconscio collettivo, dobbiamo renderla felice perché libera di scegliere, aiutarla a sperare in un tempo dove nessuno sia costretto a vivere di stenti e di elemosine”. L’Africa che spera tempi nuovi deve essere ascoltata. Se non lo facciamo, il rischio di assistere ad altre tragedie diverrà purtroppo sempre più costante.

LUCIANO COSTA

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