Lascio le questioncelle italiche per lo più intrise di parole che si rincorrono, si confondono e che si chiamano crisi politica, politici inadeguati, elezioni, candidati costruiti a tavolino e fatti passare come espressione della volontà popolare, crisi, paure, aumenti, vacanze, ritorno a scuola, lavoro che adesso abbonda ma non trova risposte, giovani allo sbaraglio, famiglie allo sbando, violenza senza limiti, arroganza, clima impazzito, imprese sportive, pandemia, virus vecchi e nuovi, promesse finte-false-esaltanti-deprimenti-esilaranti… e chi più ne ha più ne metta. Tralascio anche riflessioni sull’Europa che c’è e che a volte non c’è, sulla guerra d’occupazione condotta proditoriamente dalla Russia contro l’Ucraina (una guerra devastante, orribile, ingiustificata, senza senso, semplicemente dettata dalla bramosia di potere di un folle…) e contro chiunque la sostenga. Evito commenti sulle pretese che la Cina avanza su Tawan e dintorni ma stupisco per il silenzio (imposto dal regime, non v’è dubbio) delle masse cinesi rispetto alle azioni condotte in loro nome da folli capi imbevuti da folli ideologie. Tralascio commenti su quel che accade negli Usa anche perché son sicuro che sarà la Democrazia a commentare e a giudicare quel che un suo ex, se non folle almeno discutibile, ha fatto e continua a fare usando frange di popolo che coltiva estremismo come sua arma e vanto.
Guardo invece alle tante, troppe, guerre in corso nel mondo, alle devastazioni conseguenti, alle popolazioni stremate dalla mancanza di cibo e acqua… Guardo oggi in particolare al Tigray, quell’angolo di Etiopia in cui la morte ha preso il posto della vita… Poi, insieme a Teodros Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms, mi pongo un interrogativo violento e dilaniante: è forse il colore della pelle la causa della totale distrazione nei confronti di quanto accade nel Tigray? Il direttore generale dell’Oms, eritreo e di etnia tigrè, si rivolge alla comunità internazionale con evidenti accuse di razzismo e denuncia ancora una volta la crudeltà inimmaginabile di una crisi umanitaria, quella nella regione dell’Etiopia teatro del confitto tra governo e ribelli, che definisce la peggiore di qualsiasi altra nel mondo, in cui 6 milioni di persone vivono da 21 mesi sotto assedio, tagliate fuori da tutto.
Da nessuna parte, è l’accusa di Ghebreyesus, si parla del Tigray, gli aiuti, interrotti per molto tempo, hanno iniziato ad arrivare solo negli ultimi mesi, ma continuano ad essere insufficienti, la popolazione non ha accesso alle medicine e alle telecomunicazioni, non ha cibo e le è impedito di uscire dalla regione. “In nessuna parte del mondo – sono le parole del direttore dell’Oms – si può vedere un tale livello di crudeltà”. Il conflitto nel Tigray è iniziato nel novembre del 2020, con una operazione militare lanciata dal premier etiope Abiy Ahmed dopo i presunti attacchi del Fronte popolare di liberazione del Tigrè contro le forze nazionali di sicurezza etiopi a Macallè, la capitale della regione. “Il risultato è che la popolazione del Tigré – spiega Ghebreyesus – è ora alle prese con multiple epidemie di malaria, antrace, colera, diarree e altre malattie”. La sola soluzione, è la sua conclusione, è la pace.
Ma chi costruirà pace per il Tigray, per l’Etiopia, per l’Ucraina, per il Medio Oriente e per quelle nazioni e popoli che nel più assoluto disinteresse sperano ogni giorno che nasca un tempo nuovo? “Costruire e diffondere pace è compito di tutti…”: facile a dirsi, tremendamente difficile da tradurre in atti concreti. Però, non sarà il disinteresse a far cambiare le cose.
L. C.