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Alla ricerca di un’economia finalmente civile

E’ in corso a Firenze, dove si concluderà domani, la terza edizione del Festival Nazionale dell’Economia Civile. “Alla ricerca di senso: persone, lavoro, relazioni” è il tema attorno al quale in tanti – esperti, politici, sindcalisti, preti e volontari impegnati nel sociale – stanno cercando di dare una visione di ciò che è o dovrebbe essere l’economia, almeno quella economia pensata e attuata per fare il bene di tutti. Un “festival” indubbiamente importante, però non celebrato come evento fondamentale per capire dove stiamo andando. La grande stampa sta offrendo briciole e non resoconti meditati e tradotti per diventare pane quotidiano; i grandi mezzi televisivi girano alla larga preferendo cronache nere e rosa, con un occhio parzialissimo alle classifiche che disegnano un’Italia che cresce e decresce accentuando disparità e diversità. Francesco Riccardi, tra i pochi a raccontare quel che sta accadendo a Firenze, si è chiesto “che cos’è l’economia civile?” e ha risposto dicendo che per capirlo è più facile partire da cosa non è.

L’economia civile, innanzitutto, non contempla quel che è stato attuato dalla Gkn, una fabbrica di proprietà di una potente multi-nazionale che ha sede a Campi Bisenzio, vicino a Firenze, tristemente nota per aver licenziato i suoi quattrocento lavoratori con un’e-mail, senza un minimo confronto con i sindacati, avendo deciso di chiudere per riaprire in un altro Stato della Ue pronto a offrire sostanziosi incentivi pubblici e di un dumping (termine utilizzato nel settore dell’economia per definire la politica commerciale predatoria consistente nella procedura di vendita di un bene o servizio su di un mercato estero spesso incontrollabile) che applicato al salario significa al ribasso piuttosto che in linea con il diritto alla giusta retribuzione. Questo modo di agire, hanno detto a Firenze gli esperti “è l’emblema in negativo di un sistema economico vecchio, in cui la finanza è fine a se stessa e non al servizio del lavoro, l’imprenditore non ha volto né un vero insediamento; dove una comunità non c’è o se c’è non viene considerata”.

L’economia civile è invece l’esatto contrario. Vale a dire “è ricerca di senso, è generatività, cioè capacità di incidere sulla vita degli altri, è attivazione, partecipazione, costruzione di un modello a quattro mani, in cui accanto a Stato e mercato agiscono imprese responsabili e cittadini attivi per promuovere il lavoro di qualità, la sostenibilità ambientale, in definitiva una maggiore soddisfazione di vita e felicità”.

Dentro il festival è sfilata la terza edizione della ricerca sul BenVivere effettuata dal quotidiano cattolico Avvenire con il supporto della Scuola di Economia Civile e il contributo di Federcasse. BenVivere, se interessa, è uno studio che cercando di rispondere alla domanda “che cosa fa di un territorio un posto ideale in cui trascorrere la propria vita?”, mette in fila credito e discredito delle varie città italiane. La classifica generale vede il Centro e il Sud d’Italia accorciare le distanze con il Nord, ma la città al primo posto resta Bolzano avendo alle spalle, e questa è una novità, Prato che diventa la “regina” dei territori dell’Italia centrale. In linea con le due precedenti edizioni, è stata anche stilata una seconda classifica, accanto a quella generale, per valutare la “generatività in atto” nei territori italiani e approfondire i recenti indicatori statistici che cercano di misurare il cosiddetto benessere “multidimensionale”, in cui alle tradizionali variabili legate alla salute, alla disponibilità di un lavoro e al patrimonio, si aggiungono la qualità delle relazioni, della vita affettiva e sociale. Bolzano, Trento e Verona continuano a svettare nella classifica della “Generatività in atto”, mentre a occupare le ultime posizioni sono ancora le province della Sardegna. In questa classifica, tanto per ubbidire al titolo del blog, Brescia figura al settimo posto.

“Il terzo rapporto sul BenVivere delle province italiane – scrivono gli autori – ha l’ambizione di ridurre la parte non emersa dell’icerberg identificando ed introducendo due potenziali variabili di solito non osservabili e non osservate che stanno ricevendo attenzione crescente da parte degli studiosi come la generatività e la resilienza, focalizzando l’attenzione sulla loro importanza nello spiegare le dinamiche economiche sociali e di benessere di individui e territori. Nei dati analizzati nel rapporto la generatività è innanzitutto misurata a livello individuale come combinazione di creatività personale e attenzione all’impatto sociale positivo delle proprie scelte, mentre la resilienza, sempre a livello individuale, come la capacità di un individuo di ritornare al più presto possibile alla situazione precedente dopo aver subito uno choc”.

Il rapporto, effettuato su oltre 300mila osservazioni individuali rilevate in 31 Paesi europei più Turchia e Israele (e separatamente sul campione di migliaia di cittadini italiani), dimostra  che la generatività individuale incide positivamente su soddisfazione e ricchezza di senso di vita, resilienza, fiducia interpersonale (e dunque capitale sociale) e cittadinanza attiva e responsabile.

“A loro volta – sottolineano gli esperti – i dati indicano che le persone più resilienti sono più felici, e questo quasi per definizione dato che la capacità di rialzarsi al più presto possibile dopo uno dei numerosi piccoli e grandi colpi negativi che la vita ti propone implica una minore porzione della propria vita vissuta al tappeto e dunque maggiore soddisfazione di vita”.

Le evidenze rilevate a livello territoriale segnalano, al di là delle singole storie interessanti di cadute e ascese delle singole province, un parziale processo di convergenza Nord-Sud in gran parte determinato dall’eterogeneità dell’effetto della prima ondata del Covid-19 che ha colpito in modo molto più duro il Nord del Paese. Le implicazioni sociali di questo rapporto sono chiare e rimarcano l’assoluta importanza e urgenza di politiche che contribuiscano ad accrescere il potenziale di generatività di individui e territori, ovvero la loro combinazione di creatività e impatto sociale. Esempi concreti sono le politiche di longevità attiva e di formazione permanente per gli adulti sempre più importanti per una popolazione che invecchia, le politiche per contrastare l’inverno delle nascite, quelle di contrasto alla piaga dei Neet (i giovani senza lavoro e prospettive) attraverso percorsi di orientamento e alternanza scuola-lavoro.

Resta molto da fare, però le indicazioni che emergono dal rapporto indicano una strada da seguire. “Più in generale – hanno detto e stanno dicendo a Firenze – dovremmo imparare a valutare la qualità delle nostre politiche pubbliche attraverso la lente della generatività”. Il che vuol dire uso intelligente dello smart working, armonizzazione tra vita di lavoro e di relazioni, percorsi di co-progettazione e co-programmazione tra terzo settore e amministrazioni locali, partecipazione e cittadinanza attiva e iniziative verso la transizione ecologica che coinvolgono cittadini e imprese nell’aumento della capacità produttiva da fonti rinnovabili come le comunità energetiche. Per non dire della riforma fiscale, tema che andrebbe inquadrato ponendosi l’obiettivo di una fiscalità generativa che liberi energie e creatività di cittadini e imprese.

Facile a dirsi, difficile da attuare. O no?

LUCIANO COSTA

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