I titoli dedicati oggi da giornali e media alla questione migranti dicono e confermano i diversi punti di vista, spesso contrastanti e divisivi, che scuotono politici e politica. Spaziano i titoli dal necessario all’obbligato, dall’inutile all’esagerato e addirittura all’obbligatorio. In alcuni domina la paura, in altri la preoccupazione che siano troppi e sempre qui da noi, in altri ancora viene considerata l’ipotesi che quella definita “invasione” sia soltanto un’esagerazione. Per il Governo quella che si sta vivendo è una vera e propria emergenza. Ragion per cui ecco la delibera del Consiglio dei Ministri: stato di emergenza su tutto il territorio nazionale a seguito dell’eccezionale incremento dei flussi di persone migranti attraverso le rotte del Mediterraneo. Lo stato di emergenza, sostenuto da un primo finanziamento di cinque milioni di euro, avrà la durata di sei mesi.
Questo provvedimento, dice la nota informativa del Governo, permette di stanziare fondi ad hoc ma anche di attribuire poteri straordinari al governo, che può, quindi, emanare ordinanze derogando alle norme in vigore. Inoltre, sempre secondo chi governa, la dichiarazione dello stato di emergenza consente di assicurare risposte più efficaci e tempestive sul piano della gestione dei migranti e della loro sistemazione sul territorio nazionale. Le stesse fonti evidenziano che il numero degli sbarchi è largamente superiore rispetto al passato e anche che lo stato emergenziale potrebbe essere usato per mettere in atto espulsioni facili, magari senza considerare bene lo status legale o la situazione umana di chi è arrivato in Italia fuggendo da situazioni di guerra, fame, persecuzione, grave degrado umano o civile. Resta adesso da vedere come l’eccezionale provvedimento sarà applicato e con quali obiettivi. In realtà, anche di fronte a “invasioni” ben più consistenti di quelle che oggi vengono evidenziate e denunciate, “non sempre le esperienze di stato di emergenza del passato hanno conseguito risultati realmente positivi”. Un’evidente perplessità, invece, riguarda quella che il Governo definisce “impossibilità di accogliere” rispetto alla “possibilità di accogliere” che pure esiste, è evidente e, soprattutto, è fattibile.
Così il Governo ha deciso e così per i prossimi sei mesi dovrà essere. Però, che cosa significa “stato di emergenza” e che cosa si nasconde tra le sue pieghe? Per chi non lo sapesse o lo avesse dimenticato, “stato di emergenza” significa affrontare con mezzi e poteri straordinari una calamità, dalle crisi umanitarie agli eventi naturali come terremoti o alluvioni. È questo l’obiettivo della dichiarazione dello ‘stato di emergenza’: un atto amministrativo regolato dal codice di Protezione civile che va deliberato dal Consiglio dei ministri su proposta del presidente del Consiglio, così come avvenuto in queste ore per l’eccezionale incremento dei flussi di migranti attraverso le rotte del Mediterraneo.
Al momento in Italia sono in vigore circa una ventina di provvedimenti questo tipo, dall’emergenza dei profughi dell’Ucraina a diversi casi di alluvione, spesso decisi anche dopo la richiesta del presidente di una Regione o di una Provincia autonoma interessata. L’unico precedente in materia di migranti risale invece al 2011 con il governo Berlusconi e prevedeva un piano di equa distribuzione nelle regioni dei profughi provenienti dal Nord-Africa, anche se all’epoca la legge prevedeva norme diverse.
Lo stato d’emergenza nazionale è regolato dall’articolo 24 del Codice della Protezione civile sulla base di alcuni requisiti definiti nell’articolo 7: “emergenze di rilievo nazionale connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo che in ragione della loro intensità o estensione debbono, con immediatezza d’intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo”.
Con la dichiarazione dello stato d’emergenza può essere nominato un commissario cui spetta il compito di realizzare gli interventi previsti dalla dichiarazione: il superamento dell’emergenza, la riduzione del rischio residuo, il ripristino dei servizi essenziali e l’assistenza alla popolazione. In questo caso si delinea quindi un nuovo assetto temporaneo di poteri, con deliberazioni non soggette al controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti.
La delibera stabilisce inoltre uno stanziamento di risorse finanziarie da destinare agli interventi urgenti e da attingere nel Fondo per le emergenze nazionali, che può essere progressivamente incrementato nel corso della durata dello stato di emergenza. Il provvedimento può avere anche un rilievo solo locale o regionale. Quando è di tipo nazionale non supera i dodici mesi ed è prorogabile per altri dodici mesi al massimo: oltre questi tempi va varata una legge attraverso un passaggio parlamentare.
Da oggi valuteremo se e come le cose cambieranno. Se cambieranno, ovviamente. Perché, laggiù, oltre il mare, dove nasce e si sviluppa il desiderio di fuggire, le cause che inducono a fuggire restano immutate.
LUCIANO COSTA