Attualità

Amaro spettacolo al Senato

Ho sfogliato all’alba i giornali, guardato i telegiornali, ascoltato i radiogiornali: tutti avevano la stessa data – venerdì 14 ottobre 2022 – i giornali odoravamo ancora d’inchiostro, tutti insieme, indistintamente, raccontavano l’insediamento del nuovo Parlamento italiano e facendolo traboccavano di stupore, sudavano fatica, mettevano in fila disordinata elogi, condanne, polemiche, rivendicazioni, disaffezioni, diversificazioni, dubbi, approvazioni, soddisfazioni, rabbie, rimorsi, rimpianti, osanna, maledizioni, parole di ogni tipo e sentore, tutte per dire e disdire: dire che c’erano patti, accordi, intese (vivaddio quelle parole le avevano gridate in tutti in modi in campagna elettorale) e che i patti e poi ecc. ecc. non sono stati rispettati… Ogni mezzo di informazione sfoggiava il suo titolo: “fumata nera”, “falsa partenza”, “la maggioranza non c’è più”… Ma poi, anche tagli e ritagli sui patti andati in fumo alla prima occasione utile e attesa per dimostrare il nuovo corso della politica. Invece…

Invece, quel che si diceva fossero patti inattaccabili, stabiliti secondo l’insegnamento di Cicerone – “pacta sunt servanda”, i patti devono essere rispettati -, hanno scricchiolato sotto il peso di ripicche e veti incrociati messi in mostra dai vincitori della tornata elettorale e in qualche modo aggiustati da sparuti sconosciuti provenienti dalle fila degli sconfitti. Così, con licenza politicamente poco poetica oggi, quel devono messo da Cicerone per legare l’indissolubilità dei patti, dovrebbe semplicemente essere tradotto con dovrebbero.

Però, non ho voglia di gettarmi nella mischia dei commenti e delle analisi, sul modo di procedere; e neppure ho voglia di criticare, tanto meno di elogiare; e anche non voglio mischiarmi alla ciurma di ciarlatani, saltimbanchi e peones (servi inutili, porta acqua, galoppini, garzoni ubbidienti, strumenti necessari alla sopravvivenza dei capi…)  loro sì, poveretti, addolorati per la piega stramba assunta dal corso del giorno (tradotto significa che la nuova maggioranza (assoluta, totale, inequivocabile, voluta dal popolo elettore, che diamine) doveva dimostrare la sua compattezza e la forza dei suoi numeri, mentre invece ha dovuto patire l’influsso delle schede bianche, del non voto, del ricorso al gioco del rimpiattino, delle plurime votazioni prima di approdare all’elezione di Ignazio Benito La Russa (detto l’istrione, soprannominato ascella sudata dal perfido Fiorello, chiamato affettuosamente dagli amici notturni e diurni Benitino in omaggio al Benitone, quello del balcone, di cui era seguace… definito dalla futura premier Giorgia Meloni “patriota e servitore della patria” ecc. ecc.) a presidente del Senato (con voti non tutti suoi, e così striminziti da far sorgere il dubbio che essendo i suoi già carta straccia per superare il quorum necessario siano arrivati i cosiddetti voti di soccorso, ovviamente espressi da altrettanti cosiddetti franchi tiratori, altrimenti detti traditori).

Ovviamente, non è andata meglio alla Camera. Anche lì gli accordi sono evaporati lasciando campo libero alle schede bianche e al nulla di fatto. Oggi gli onorevoli deputati ricominceranno da dove avevano finito: dal nulla stabilito dal non voto, dalla cancellazione dei candidati proposti, dalla caduta del presupposto che avendo la maggioranza assoluta tutto era possibile, purtroppo anche di scivolare fin sotto le comode poltrone dell’aula.

Così è andata e così la racconto. Se volete dettagli o filastrocche infarcite dalle solite giustificazioni, cercatele sfogliando, guardando e ascoltando: non rimarrete delusi. Se volete martoriarvi le ginocchia e poi dichiarare che tutto sommato è meglio che la martellata sia finita lì sulle ginocchia piuttosto che appena più in su, nella zona dei cosiddetti testicoli, ascoltate pazientemente chi dai teleschermi e dalle radio farà a gara nell’ammucchiare parole, dolci o pepate poco importa, per dire che Tizio ha ragione ma che Caio non ha torto, o viceversa, concludendo che alle tante già viste altre ne vedremo: belle o brutte, affare loro. Perché in fondo, ma proprio in fondo, dietro l’angolo c’è chi se la svigna dicendo “chi se ne frega?”.

Però, oltre il guazzabuglio e le brutte figure offerte al mondo da un Parlamento inquieto già alla prima occasione e ancor prima di prendere confidenza con le poltrone, c’è del buono. Il discorso della senatrice Liliana Segre (senatrice a vita, novantadue anni portati con grandissima dignità, superstite dell’Olocausto e testimone attiva della Shoah italiana e per questo presidente della Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza) che ieri, essendo l’anziana di turno presiedeva la prima seduta del Senato, è di quelli che non possono essere messi all’archivio con un semplice applauso, con un mazzo di fiori, con qualche sorriso, col rispetto dovuto alla vecchiaia… No, quel discorso di ieri deve esser messo in evidenza, letto e riletto, consegnato agli eletti e al popolo, messo nelle mani dei giovani, perché sappiano e possano riflettere. Dovrebbe, ma pochi giornali e pochi mezzi di in formazione l’hanno messo in pagina per intero. Sì, qualche accenno, molti elogi, alcuni passi rimarcati…. E il resto? Lo spazio che è sempre avaro e preferisce titoloni e poche righe di commento, ha impedito che le parole della senatrice fossero messe in pagina per esteso…

Allora lo facciamo noi, noi di bresciadesso, semplicemente perché crediamo che il buono della politica deve sempre essere messo in evidenza, da qualunque parte provenga.

LUCIANO COSTA

Ecco il testo del discorso con cui la senatrice a vita Liliana Segre ha aperto la seduta del Senato dedicata all’elezione del presidente.

IL CORAGGIO DELLA VERITA’

Colleghe Senatrici, Colleghi Senatori,

rivolgo il più caloroso saluto al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e a quest’Aula. Con rispetto, rivolgo il mio pensiero a Papa Francesco. Certa di interpretare i sentimenti di tutta l’Assemblea, desidero indirizzare al Presidente Emerito Giorgio Napolitano, che non ha potuto presiedere la seduta odierna, i più fervidi auguri e la speranza di vederlo ritornare presto ristabilito in Senato. Il Presidente Napolitano mi incarica di condividere con voi queste sue parole: “Desidero esprimere a tutte le senatrici ed i senatori, di vecchia e nuova nomina, i migliori auguri di buon lavoro, al servizio esclusivo del nostro Paese e dell’istituzione parlamentare ai quali ho dedicato larga parte della mia vita”. Rivolgo ovviamente anch’io un saluto particolarmente caloroso a tutte le nuove Colleghe e a tutti i nuovi Colleghi, che immagino sopraffatti dal pensiero della responsabilità che li attende e dalla austera solennità di quest’aula, così come fu per me quando vi entrai per la prima volta in punta di piedi.

Come da consuetudine vorrei però anche esprimere alcune brevi considerazioni personali.

Incombe su tutti noi in queste settimane l’atmosfera agghiacciante della guerra tornata nella nostra Europa, vicino a noi, con tutto il suo carico di morte, distruzione, crudeltà, terrore…una follia senza fine. Mi unisco alle parole puntuali del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: “la pace è urgente e necessaria. La via per ricostruirla passa da un ristabilimento della verità, del diritto internazionale, della libertà del popolo ucraino”.

Oggi sono particolarmente emozionata di fronte al ruolo che in questa giornata la sorte mi riserva. In questo mese di ottobre nel quale cade il centenario della Marcia su Roma, che dette inizio alla dittatura fascista, tocca proprio ad una come me assumere momentaneamente la presidenza di questo tempio della democrazia che è il Senato della Repubblica. Ed il valore simbolico di questa circostanza casuale si amplifica nella mia mente perché, vedete, ai miei tempi la scuola iniziava in ottobre; ed è impossibile per me non provare una sorta di vertigine ricordando che quella stessa bambina che in un giorno come questo del 1938, sconsolata e smarrita, fu costretta dalle leggi razziste a lasciare vuoto il suo banco delle scuole elementari, oggi si trova per uno strano destino addirittura sul banco più prestigioso del Senato!

Il Senato della diciannovesima legislatura è un’istituzione profondamente rinnovata, non solo negli equilibri politici e nelle persone degli eletti, non solo perché per la prima volta hanno potuto votare anche per questa Camera i giovani dai 18 ai 25 anni, ma soprattutto perché per la prima volta gli eletti sono ridotti a 200. L’appartenenza ad un così rarefatto consesso non può che accrescere in tutti noi la consapevolezza che il Paese ci guarda, che grandi sono le nostre responsabilità ma al tempo stesso grandi le opportunità di dare l’esempio.

Dare l’esempio non vuol dire solo fare il nostro semplice dovere, cioè adempiere al nostro ufficio con “disciplina e onore”, impegnarsi per servire le istituzioni e non per servirsi di esse. Potremmo anche concederci il piacere di lasciare fuori da questa assemblea la politica urlata, che tanto ha contribuito a far crescere la disaffezione dal voto, interpretando invece una politica “alta” e nobile, che senza nulla togliere alla fermezza dei diversi convincimenti, dia prova di rispetto per gli avversari, si apra sinceramente all’ascolto, si esprima con gentilezza, perfino con mitezza.

Le elezioni del 25 settembre hanno visto, come è giusto che sia, una vivace competizione tra i diversi schieramenti che hanno presentato al Paese programmi alternativi e visioni spesso contrapposte.  E il popolo ha deciso. È l’essenza della democrazia. La maggioranza uscita dalle urne ha il diritto-dovere di governare; le minoranze hanno il compito altrettanto fondamentale di fare opposizione. Comune a tutti deve essere l’imperativo di preservare le Istituzioni della Repubblica, che sono di tutti, che non sono proprietà di nessuno, che devono operare nell’interesse del Paese, che devono garantire tutte le parti. Le grandi democrazie mature dimostrano di essere tali se, al di sopra delle divisioni partitiche e dell’esercizio dei diversi ruoli, sanno ritrovarsi unite in un nucleo essenziale di valori condivisi, di istituzioni rispettate, di emblemi riconosciuti.

In Italia il principale ancoraggio attorno al quale deve manifestarsi l’unità del nostro popolo è la Costituzione Repubblicana, che come disse Piero Calamandrei non è un pezzo di carta, ma è il testamento di 100.000 morti caduti nella lunga lotta per la libertà; una lotta che non inizia nel settembre del 1943 ma che vede idealmente come capofila Giacomo Matteotti. Il popolo italiano ha sempre dimostrato un grande attaccamento alla sua Costituzione, l’ha sempre sentita amica. In ogni occasione in cui sono stati interpellati, i cittadini hanno sempre scelto di difenderla, perché da essa si sono sentiti difesi. E anche quando il Parlamento non ha saputo rispondere alla richiesta di intervenire su normative non conformi ai principi costituzionali – e purtroppo questo è accaduto spesso – la nostra Carta fondamentale ha consentito comunque alla Corte Costituzionale ed alla magistratura di svolgere un prezioso lavoro di applicazione giurisprudenziale, facendo sempre evolvere il diritto.

Naturalmente anche la Costituzione è perfettibile e può essere emendata (come essa stessa prevede all’art. 138), ma consentitemi di osservare che se le energie che da decenni vengono spese per cambiare la Costituzione – peraltro con risultati modesti e talora peggiorativi – fossero state invece impiegate per attuarla, il nostro sarebbe un Paese più giusto e anche più felice.

Il pensiero corre inevitabilmente all’art. 3, nel quale i padri e le madri costituenti non si accontentarono di bandire quelle discriminazioni basate su “sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali”, che erano state l’essenza dell’ancien regime. Essi vollero anche lasciare un compito perpetuo alla “Repubblica”: “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Non è poesia e non è utopia: è la stella polare che dovrebbe guidarci tutti, anche se abbiamo programmi diversi per seguirla: rimuovere quegli ostacoli!

Le grandi nazioni, poi, dimostrano di essere tali anche riconoscendosi coralmente nelle festività civili, ritrovandosi affratellate attorno alle ricorrenze scolpite nel grande libro della storia patria. Perché non dovrebbe essere così anche per il popolo italiano? Perché mai dovrebbero essere vissute come date “divisive”, anziché con autentico spirito repubblicano, il 25 Aprile festa della Liberazione, il 1° Maggio festa del lavoro, il 2 Giugno festa della Repubblica? Anche su questo tema della piena condivisione delle feste nazionali, delle date che scandiscono un patto tra le generazioni, tra memoria e futuro, grande potrebbe essere il valore dell’esempio, di gesti nuovi e magari inattesi.

Altro terreno sul quale è auspicabile il superamento degli steccati e l’assunzione di una comune responsabilità è quello della lotta contro la diffusione del linguaggio dell’odio, contro l’imbarbarimento del dibattito pubblico, contro la violenza dei pregiudizi e delle discriminazioni.

Permettetemi di ricordare un precedente virtuoso: nella passata legislatura i lavori della “Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza” si sono conclusi con l’approvazione all’unanimità di un documento di indirizzo.   Segno di una consapevolezza e di una volontà trasversali agli schieramenti politici, che è essenziale permangano. 

Concludo con due auspici. Mi auguro che la nuova legislatura veda un impegno concorde di tutti i membri di questa assemblea per tenere alto il prestigio del Senato, tutelare in modo sostanziale le sue prerogative, riaffermare nei fatti e non a parole la centralità del Parlamento. Da molto tempo viene lamentata da più parti una deriva, una mortificazione del ruolo del potere legislativo a causa dell’abuso della decretazione d’urgenza e del ricorso al voto di fiducia. E le gravi emergenze che hanno caratterizzato gli ultimi anni non potevano che aggravare la tendenza. Nella mia ingenuità di madre di famiglia, ma anche secondo un mio fermo convincimento, credo che occorra interrompere la lunga serie di errori del passato e per questo basterebbe che la maggioranza si ricordasse degli abusi che denunciava da parte dei governi quando era minoranza, e che le minoranze si ricordassero degli eccessi che imputavano alle opposizioni quando erano loro a governare. Una sana e leale collaborazione istituzionale, senza nulla togliere alla fisiologica distinzione dei ruoli, consentirebbe di riportare la gran parte della produzione legislativa nel suo alveo naturale, garantendo al tempo stesso tempi certi per le votazioni.

Auspico, infine, che tutto il Parlamento, con unità di intenti, sappia mettere in campo in collaborazione col Governo un impegno straordinario e urgentissimo per rispondere al grido di dolore che giunge da tante famiglie e da tante imprese che si dibattono sotto i colpi dell’inflazione e dell’eccezionale impennata dei costi dell’energia, che vedono un futuro nero, che temono che diseguaglianze e ingiustizie si dilatino ulteriormente anziché ridursi. In questo senso avremo sempre al nostro fianco l’Unione Europea con i suoi valori e la concreta solidarietà di cui si è mostrata capace negli ultimi anni di grave crisi sanitaria e sociale.

Non c’è un momento da perdere: dalle istituzioni democratiche deve venire il segnale chiaro che nessuno verrà lasciato solo, prima che la paura e la rabbia possano raggiungere i livelli di guardia e tracimare. 

Senatrici e Senatori, cari Colleghi, buon lavoro!

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