Gli Stati Uniti d’America, che grande Nazione! Modello di democrazia e di libertà, ma anche deposito di contraddizioni che mettono in evidenza la sua fragilità; capace di stare nel mondo per garantire pace e stabilità ma regolarmente trascinata nelle guerre più assurde; ricca al punto da non temere pandemie di qualsiasi dimensione ma sempre preoccupata di misurare la povertà; forte nel difendere i diritti ma debole nell’opporsi ai sostenitori della diversità come garanzia e ai predicatori di sventura che s’annidano nel suo tessuto sociale; aperta al mondo, eppure, da parte di quel mondo, spesso rifiutata; maestra di vita felice, ma incapace di mantenere evidente quella felicità; patria di popoli diversi che però diventano unico popolo quando il canto della libertà e della democrazia conferma che di un siffatto popolo il mondo non può farne a meno.
Elogio degli Stati Uniti d’America? Forse. Oppure occasione per mettere in evidenza alcune evidenti contraddizioni. Una, di recentissima fattura, riguarda la paura di qualcosa che è raggrumato attorno alla grande potenza sua antagonista: la Cina. Questa paura ha prodotto nei giorni scorsi un’alleanza con Australia e Regno Unito, soprattutto strana perché fondata sulla fornitura di sottomarini atomici, quindi di difesa e offesa, che di certo non alimentano la voglia di andare da quelle parti a passare le vacanze. “Il pericolo è l’egemonia cinese – dicono gli esperti – e la mossa serve a far sapere che in quella zona di Oceano Pacifico nessuno può impunemente fare quel che vuole”. Quindi, ancora una volta, gli USA si vestono da sentinelle? Forse no, ma è certo che agli occhi del mondo quello è il suo ruolo.
Erano sentinelle anche in Afghanistan, gli americani, lo sono stati per vent’anni credendo di portare libertà e democrazia, convinti così di sconfiggere definitivamente il terrorismo. Invece, eccoli gli americani di ieri alle prese con accuse di abbandono, di diserzione e di debolezza.
Verrebbe da dire: povera America! Sì, davvero povera America se corri a mostrare i muscoli piuttosto che a cercare risposte che consentano di guardare al futuro con giusta serenità. Incominciando, ovviamente, dall’interno. Per esempio, guardando all’emergenza migranti che al confine col Messico, per altro già disastrato da arrivi e respingimenti disordinati, contava ieri 10.000 persone, in maggioranza originarie di Haiti, ammassate dalle autorità del Texas sotto un ponte che collega la città di Del Rio con quella messicana di Ciudad Acuña, nello Stato frontaliero di Coahuila. Lì i migranti, provenienti anche da Cuba, Venezuela e Nicaragua, dopo aver attraversato il fiume Rio Grande, hanno trovato un improvvisato campo di accoglienza sotto il ponte, senza servizi di base, con temperature vicine ai 40 gradi. Dicono le cronache americane che “i flussi migratori registrati verso gli Stati Uniti sono enormemente cresciuti negli ultimi mesi”, che “il confine tra Texas e Messico ha registrato un numero record di arrivi da quando il presidente democratico, Joe Biden, è entrato in carica a gennaio”…
Verrebbe da ripetere: povera America! Povera America se non guardi oltre le barriere delle tue carceri per vedere da vicino il dramma di persone condannate a morte nonostante che ovunque sia deprecata la condanna di chicchessia a morte. Ho letto che da più di dieci anni, l’unico contatto fisico concesso a un condannato a morte, tale John Ramirez, è quello con le guardie carcerarie quando gli mettono ai polsi le manette. L’uomo è in carcere dal 2007 e attende l’esecuzione della condanna a morte in un penitenziario del Texas. La sua esecuzione era prevista l’8 settembre ma è stata rimandata per un motivo che ha molto a che fare proprio con il contatto fisico. L’uomo, che ha da poco fatto causa allo Stato texano per non aver accolto il suo ultimo desiderio di avere al suo fianco, pronto a stringergli la mano, toccargli la spalla e pregare per lui il pastore di una chiesa battista nel momento dell’iniezione letale. Proprio per questa non accettazione della sua ultima volontà l’esecuzione è stata rimandata. Secondo il suo avvocato, il rifiuto ricevuto è una violazione del diritto ad esercitare la sua religione. La corte suprema degli Stati Uniti ha deciso che il caso del signor Ramirez verrà discusso a ottobre o a novembre. Secondo il pastore della chiesa battista, permettere un contatto fisico al momento di morte del detenuto è fondamentale: “Il tocco umano è più di qualcosa di fisico, è il modo con cui Dio ci ha creato…”. L’uomo, che nel 2004 uccise un suo simile e per questo dopo una lunga latitanza venne condannato a morte, è in carcere in attesa dell’esecuzione dal 2007.
Ecco, mi verrebbe da aggiungere che non è povera quell’America che ferma la mano del boia aderendo al diritto di un condannato di avere al suo fianco qualcuno che gli tenga la mano e preghi per lui e con lui. Ma questa è l’altra faccia dell’America. Che molti vedono e apprezzano, ma che tantissimi si ostinano a non vedere e a disprezzare.
LUCIANO COSTA