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Andare a scuola: con o senza smartphone?

Primo giorno di scuola, primi sospiri, prime lacrime, prime rivincite, prime delusioni,.. Di tutto un po’. Niente di più e niente di meno di quel che avveniva. Però, alla prima campanella dell’anno 2021, con quel carico di messaggi, avvertenze, raccomandazioni, obblighi da soddisfare, niente era scontato. Colpa dei tamponi da fare e dei certificati da esibire, ma anche delle paure coltivate e mai sufficientemente sopite. Però, e meno male, la paura dell’ingresso è durata soltanto un attimo. Passata la soglia, infatti, certificati, tamponi, gren pass e timori di chissà quali sconquassi svanivano. I ragazzi erano quelli di sempre: allegri, spensierati, chiassosi, capaci di abbracciarsi e di mettere gioia e gioco al posto di noia e pigrizia. Primo giorno di scuola come tanti altri primi giorni di scuola? “Cambia l’approccio – ha detto ieri una dirigente scolastica -, ma per fortuna resta inalterata la voglia di esserci”. Buon segno? “Forse sì. Sempre che la normalità recuperata non venga di nuovo scombussolata, prima dal virus e poi dalle norme…”.

Tutti in classe, dunque? Ipoteticamente, sì. Entravano i ragazzi, ma mentre genitori e nonni stavano fuori era come se tutti fossero al fianco dei ragazzi appena affidati alla scuola. Perché era chiaro che la scena era lì per ricordare che tutti avevano vissuto la stessa esperienza scolastica. “E tutti, con l’esperienza della classe (fatta di un luogo, un insegnante, tanti compagni, delle materie da apprendere e poi ripetere) ben presente nella memoria, eravamo parte di un rito che si rinnovava pur restando uguale…”. La classe ritrovata, o appena incontrata, come lezione di vita.

“La classe, però – ha scritto la professoressa Enza Corrente Sutera – non è una stanza contenitore, l’aula, buona per ogni momento formativo, che produce formazione per un intreccio felice tra le comunicazioni che facilita, i rapporti che mette in essere, l’incrocio positivo tra diritti e doveri, i vincoli che fa rispettare, i contenuti che trasmette e che fa ricevere. Piuttosto è l’intreccio di relazioni tra insegnante e alunni, la vivacità tra il manifestarsi dei dubbi e le risposte di chiarimento, le lacune che si superano, i contenuti delle discipline che si trasmettono che, oltre ogni freddo dogmatismo, liberano la rigida trasmissione del sapere permettendo alla cultura di diventare elemento di formazione vitale, proprio mentre l’essere tutti, docente e discenti, volti verso una stessa finalità cognitiva (l’uno insegnando, gli altri apprendendo) ne attua una vera finalità etica, anche nel superamento di differenze e contrasti”.

Ragionando su così alti concetti, ho anche assistito al battibecco tra un insegnante e un genitore a proposito di cellulare e smartphone da tenere in cartella o da lasciare fuori dall’aula. Non entro nel merito. Se fosse di mia competenza non vieterei a priori, direi piuttosto che un uso moderato e responsabile dei mezzi è auspicabile nella misura in cui si tenga conto della buona o cattiva educazione ricevuta prima e non certo il primo giorno di scuola. Di fronte al dilemma da primo giorno di scuola, ho ricordato un piccolo recente libro (Vietato ai minori di 14 anni) edito da De Agostini, provocazione dello psicoterapeuta dellʼetà evolutiva Alberto Pellai per bandire il cellulare da casa e scuola oratorio e luoghi di socializzazione incontrollata, almeno fino alla terza media. Secondo l’esperto lo smartphone e i marchingegni collegati “non sono adatti ai loro bisogni di ragazzi”. Infatti, sostiene il professore “lo smartphone riduce la probabilità di successo scolastico; interferisce con lo sviluppo della mente in età evolutiva; impatta sulla salute; crea ansia e dipendenza; genera diseducazione sessuale e interferisce con il sonno; influisce sulle reazioni emotive e sulle relazioni con gli altri”.

Se la tesi del professore sia esagerazione messa lì a sostegno della causa (forse buona o forse pretestuosa) o semplicemente la verità riscontrata e riscontrabile, è difficile dirlo e ancor di più spiegarlo. Di certo, se si volessero elencare le ragioni per cui bisognerebbe non dare (o togliere) lo smartphone agli adolescenti, non basterebbe un’enciclopedia. Per capirci qualcosa bisognerebbe partire innanzitutto dal vissuto reale. “Oggi – dice il professore – ci confrontiamo con la presenza universale e totalizzante dello smartphone, un fenomeno che riguarda noi adulti in primis e poi i minori a partire da un’età sempre più bassa: basta pensare che sono regolarmente online circa 1,2 milioni di bambini di età compresa tra i 3 e gli 8 anni. Il mercato, d’altronde, è potentissimo: i piccoli ci sono finiti dentro, rappresentano un target ad altissimo profitto, col risultato culturale drammatico che i soggetti in età evolutiva sono ormai visti come soggetti che producono profitto e non più come soggetti in formazione”.

Purtroppo, al di sotto dei quattordici anni, “lo smartphone, col suo tutto e subito a portata di dito, dai bambini e dagli adolescenti non può essere gestito, semplicemente perché non hanno ancora gli strumenti per farlo. Eppure – sottolinea l’esperto – permettiamo che lo strumento entri nella vita dei nostri figli e la fagociti. I bambini ne escono azzerati dal punto di vista sociale ed emotivo, più immaturi, incapaci di affrontare la realtà, sempre più arrabbiati”. Seguono esempi illuminanti, o disarmanti a secondo del punto di vista: poverino, rimarrebbe isolato completamente… abbiamo comunque dato delle regole e lui lo usa in modo responsabile… al ristorante o quando siamo a casa dei nonni non possiamo farne a meno, si annoierebbe…. Ma è davvero così? La sensazione è che spesso i genitori rinuncino a mettere in campo alternative pratiche alla scelta di dare lo smartphone. Servirebbe invece parlare con gli altri genitori, della classe o del quartiere, confrontarsi… Infatti “più gli adulti hanno le idee chiare, più i figli potranno usufruire di un ambiente di crescita in cui limiti e confini saranno facili da rispettare”.

Tutto chiaro? Per niente. I ragazzi del primo giorno di scuola non lo sanno, ma sullo smartphone e il suo utilizzo la guerra è in corso. Per adesso, comunque, godersi il ritorno a scuola in presenza è una bella sensazione. Il resto, anche l’eventuale armistizio tra chi vuole e chi nega i nuovi strumenti di comunicazione, verrà di conseguenza.

LUCIANO COSTA

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