LA PREVALENZA DEL CRETINO c’è e si vede. Seguono domande inquietanti: possibile che non si possa essere uomini e donne, con medesimi diritti, con difetti e pregi, ma comunque e sempre uguali, punto e basta? Questione di civiltà? Se così fosse mai capiterebbe di sentire coniugare la civiltà a seconda dei casi. Invece, ancora serpeggia, tra gente civile mica tra gente balorda, la divisione: uomini prima e donne dopo, uomini che possono e donne che non possono fare-dire-pensare-agire-muoversi, uomini che vanno e donne che restano, uomini che si ubriacano e donne che non possono farlo perché magari qualche pezzo forte rimbambito in libera uscita approfitta del loro stordimento, uomini che corteggiano le donne e poi donne che vengono fatte a pezzi-offese-abusate-maltrattate- ferite-picchiate-violentate e soggiogate dalla violenza cieca di questo o quell’uomo. Che mondo è quello che permette simili idiozie? Anche il nostro, purtroppo. In più, in questo nostro mondo, c’è chi azzarda giudizi e giustificazioni che definire stupidi è poco. Per esempio il pensiero assai poco pensato, espresso in tivvu (rete 4) da uno (tale Andrea Gianbruno) che sarà pure il compagno di vita dell’attuale Premier, ma che comunque resta un venditore di stupidità, che dice: “Forse dovremmo essere più protettivi nel dialogo e nel lessico. Se vai a ballare, tu hai tutto il diritto di ubriacarti – non ci deve essere nessun tipo di fraintendimento e nessun tipo di inciampo – ma se eviti di ubriacarti e di perdere i sensi, magari eviti anche di incorrere in determinate problematiche perché poi il lupo lo trovi”. Giudicate voi. Poi, però, in fretta, liberi di cambiare canale. Ovviamente, il bellimbusto parlava ampliando parole già sentite e scritte. Ma il suo direttore rsponsabile (che poi è una figura obbligatoria all’interno di qualsivoglia edizione) dove era? E perché non è intervenuto? E’ intervenuta invece un’esponente del Pd per dire al conduttore “guarda che sei fuori giri” e ai suoi seguaci di smetterla di “giudicare le donne e i loro stili di vita”, perché “è una concezione sbagliata del rispetto e della libertà delle persone. E un’idea di educazione che va esattamente nel senso contrario a quello che serve. A quello lì -ha aggiunto la politica – dico quindi che occorre educare i ragazzi al rispetto, non le ragazze alla prudenza, insegnare loro il valore del consenso, non alle ragazze quello della diffidenza, ma il diritto all’esistenza libera e non il comportamento dimesso. Se una ragazza alza un po’ il gomito può aspettarsi un mal di testa, non uno stupro”.
IL PAKISTAN FA NOTIZIA non solo per le misure restrittive violente e innaturali attuate contro le donne, ma anche per la sua fragilità, per la fame patita da milioni di abitanti, per la mancanza d’acqua potabile, per l’impossibilità della gente di curarsi e per la precarietà del suo territorio vieppiù esposto ai capricci del tempo. Così, a un anno dalle devastanti inondazioni che hanno sommerso numerosi villaggi del Pakistan provocando circa 1.700 morti e coinvolgendo oltre 30 milioni di persone, ancora 8 milioni di pakistani continuano a non avere accesso all’acqua potabile. La metà di queste persone sono bambini: lo denuncia una nota del Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). Più di un milione e mezzo di bambini necessitano inoltre di interventi nutrizionali salvavita nei distretti più colpiti dalle alluvioni, mentre come purtroppo spesso accade nella difficile congiuntura internazionale l’attuale appello dell’Unicef di 173,5 milioni di dollari per fornire supporto salvavita è finanziato solo al 57%. Gli sforzi per il recupero e la riabilitazione rimangono sottofinanziati, dunque, mentre nuove alluvioni nei giorni scorsi hanno interessato la regione orientale del Punjab provocando più di 100.000 sfollati. Il Pakistan rientra tra i dieci Paesi al mondo dei più esposti al cambiamento climatico. Già nel 2010 venne duramente colpito dai monsoni, che provocarono circa 2.000 vittime, e questi eventi si alternano oggi con sempre maggiore frequenza e violenza a ondate di calore estremo.
LA GUERRA SCATENATA DALLA RUSSIA contro l’Ucraina non conosce tregua. Tutt’al più s’avvertono segnali di stanchezza, quelli che secondi gli esperti potrebbero aprire varchi alla ricerca della pace. Ieri, per esempio, il premier ucraino dicendo “se arriviamo ai confini amministrativi della Crimea, penso che si possa forzare politicamente la smilitarizzazione della Russia sul territorio della penisola”, ha forse lasciato intendere una via di mediazione. Secondo li esperti “è possibile una soluzione politica rispetto ad un intervento militare per la liberazione delle zone occupate e annesse alla Russia nel 2014”. Infatti, le parole di Zelensky vengono interpretate dagli osservatori come un’apertura dell’Ucraina ad un possibile dialogo. Questa eventualità è ancora tutta da studiare e concretizzare, ma anche se per ora puramente teorica rappresenta un diversivo alla logica finora imperante dello scontro armato. E proprio la Crimea è oggetto in queste ore della controffensiva ucraina con operazioni sia di terra che aeree. Nel frattempo i giorni di guerra corrono verso il tragico traguardo dei “seicento”. Vergogna!
FORSE NON FA NOTIZIA, MA ILCHE IL PAPA vada in Mongolia, minuscolo Paese abbarbicato ai confini della grande steppa russa, è una notizia. E lo è perché già nel titolo dice in grande che Francesco viaggia per seminare pace e concordia. Durerà quattro giorni il viaggio del Papa in un Paese sconfinato, abitato da una piccola ma vivace comunità cattolica, attiva soprattutto grazie all’operato dei missionari. Partenza giovedì pomeriggio, rientro lunedì. “Sperare insieme” è il motto di questo quarto viaggio apostolico del 2023, il 43° del pontificato, all’insegna del dialogo con le altre religioni e della vicinanza al piccolo gregge cattolico. La visita di papa Francesco era già nei programmi irrealizzati di san Giovanni Paolo II, dopo che nei primi anni Novanta la presenza di missionari aveva fatto rinascere una comunità cristiana. Quella che riceverà l’abbraccio del Successore di Pietro nel cuore dell’Asia è una Chiesa «piccola nei numeri, ma vivace nella fede e grande nella carità». Francesco incontrerà non soltanto i 1.500 cattolici del Paese, ma tutto quel popolo «nobile» e «saggio» con la sua grande tradizione buddista.
Ma perché il Papa va in Mongolia? Perché dedica cinque giorni della sua agenda (due di viaggio più tre di permanenza) per visitare un gruppo così sparuto di cattolici? C’entra la “geopolitica” trattandosi di viaggio in un Paese che confina con la Federazione Russa e con la Repubblica Popolare Cinese? In realtà la motivazione del pellegrinaggio nelle periferie dell’Asia non ha risvolti “geopolitici”. Se però qualcosa andasse in questa direzione, ben venga. E sarà dunque il caso di riparlarne.
Intanto, questa è “una visita tanto desiderata”, che sarà occasione “per abbracciare una Chiesa piccola ma significativa”. Però, non la prima visita segnata da questa premessa. Per esempioo lunedì 30 novembre 1970 san Paolo VI compì un lungo viaggio arrivando fino alle isole Samoa, nell’oceano Pacifico. Durante la celebrazione della Messa nel villaggio di Leulumoega Tuai, sulla costa nord-occidentale dell’isola di Upolu, Papa Montini mise da parte il “noi” maiestatico allora usato dai pontefici e disse: «Non è il gusto di viaggiare e neppure un interesse qualsiasi che mi hanno portato presso di voi: io vengo, perché noi tutti siamo fratelli, o meglio perché voi siete miei figli e figlie, ed è giusto che, come padre di famiglia, di questa famiglia che è la Chiesa cattolica, mostri a ciascuno ch’egli ha diritto ad un eguale affetto. Sapete che cosa significa “Chiesa Cattolica”? Significa che è fatta per l’intero universo, che è fatta per tutti, che non è estranea in nessuna parte: ciascun uomo, qualunque sia la sua nazione, la sua razza, la sua età o istruzione, trova posto in lei». Ieri come oggi è la Chiesa «para todos», per tutti…
LUCIANO COSTA