La notizia dell’arresto del famoso latitante supera ogni altra notizia. Eccolo l’ultimo “padrino” mafioso, eccolo in prima pagina, con titoli che inneggiano la fine di una carriera orrenda in cui delitti e stragi erano norma, con fondi e fondini per dire che trent’anni di latitanza lasciano margini ampi di riflessioni, non tutte positive, sulla capacità dello Stato, cioè di noi tutti, di impedire che qualche suo furfante sfugga ai rigori della legge non per qualche giorno o mese, ma per decenni. “E’ la mafia…” scrivono oggi in tanti, che è subdola, radicata, misteriosa, avvolgente, maligna, melliflua al punto di indurre alcuni o tanti che la avvicinano e ne godono i servigi a ritenerla addirittura benefica…
Il capo delle mafie Matteo Messina Denaro oggi è il detenuto numero tal dei tali, domiciliato in luogo sconosciuto, assistito come si conviene ma impedito a compiere liberamente gesti e a profferire, altrettanto liberamente, parole. Da oggi il mafioso sarà libero soltanto di contare i giorni che lentamente (il sistema ha sempre bisogno di tempi lunghi) ma inesorabilmente (la lentezza non impedisce al sistema di fare il suo corso) lo avvicinano al Tribunale a cui toccherà l’onore e l’onere di giudicarlo.
Per adesso la domanda è e resta questa: l’arresto del latitante più famoso e temuto significa che la mafia è finita, che i mafiosi sono spazzatura, che la Legge ha vinto vince e vincerà? In attesa di risposta, mi consola sapere che in questa nostra bella Italia, restano adesso soltanto quarantun latitanti, furfanti matricolati ai quali il tempo (chissà come e quando, non importa) non regala libertà incondizionata, ma solo l’attesa di incontrare qualcuno che porgendogli le manette gli assicura la giusta punizione.
LUCIANO COSTA
Il giorno dopo l’arresto del mafioso…
FORSE SI TRATTA SOLTANTO DI COINCIDENZA, ma proprio il giorno dopo l’arresto del mafioso che per trent’anni, vestito da latitante, s’è preso gioco della Giustizia, dei giudici, degli inquirenti, dei politici (non di tutti i politici, ma di alcuni, forse anche tanti) e dei cittadini, un rilevante atto politico, solenne e temuto si propone all’attenzione: oggi, martedì’ 17 gennaio 2023 centesimo giorno del governo Meloni, il Parlamento si riunisce in seduta comune per eleggere dieci membri del Consiglio superiore della Magistratura, “quelli – come ha ieri spiegato Stefano De Martis – che nel linguaggio corrente vengono definiti laici per distinguerli dai venti togati eletti direttamente dai magistrati. L’appuntamento – aggiungeva il notista politico – è in sé di primaria rilevanza istituzionale per la stessa natura dell’organo, di cui agli articoli 104 e 105 della Costituzione. Al Csm, infatti, spettano, le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati, a tutela della loro autonomia e indipendenza. Non a caso a presiederlo di diritto è il Capo dello Stato”.
Nell’attuale circostanza (compresa quella dell’arresto del famoso mafioso latitante per trent’anni) si sommano a questo elemento di base altri fattori di particolare interesse. “È la prima volta, infatti, che si riuniscono in seduta comune le due Camere a ranghi ridotti e il totale dei parlamentari sarà equivalente alle dimensioni della sola assemblea di Montecitorio prima del taglio numerico. Un motivo pratico in più per riflettere – nella prospettiva delle riforme di cui tanto si parla – sulla possibilità di incrementare i casi in cui il Parlamento delibera in questo formato unitario, magari per ovviare ad alcuni dei problemi connessi con il cosiddetto bicameralismo perfetto. Per esempio, visto che ormai sono anni che la legge di bilancio viene di fatto approvata da una sola Camera, con l’altra costretta a una mera ratifica – ha scritto De Martis -, potrebbe essere ragionevole e più rispettoso affidare il compito direttamente al Parlamento in seduta comune. Un altro motivo di speciale interesse riguarda il comportamento dei gruppi parlamentari nei confronti della prima decisione squisitamente istituzionale della legislatura, fatta eccezione ovviamente delle nomine iniziali relative agli assetti delle Camere”.
La riforma Cartabia dello scorso giugno (e ora rimessa in discussione dal nuovo Governo) ha introdotto tra le altre novità la possibilità di presentare candidature libere. Sul sito della Camera compaiono tante auto-proposte di professori universitari in materie giuridiche e di avvocati con almeno quindici anni di esercizio – questi i requisiti che la Costituzione prevede per i membri laici del Csm –, ma appare improbabile che qualcuno di essi possa essere eletto a scapito dei candidati indicati dai gruppi. I partiti sono comunque chiamati a dare prova di serietà e di senso di responsabilità scegliendo personalità adeguate ed evitando forzature. La richiesta di un quorum di tre quinti (dei membri nei primi due scrutini, dei votanti in quelli successivi) è funzionale alla ricerca di accordi oltre i limiti esclusivi della maggioranza.
“Quella che sostiene l’attuale governo – sottolinea l’esperto -, avrebbe bisogno dell’apporto di almeno una componente dell’opposizione, ma al di là dei calcoli aritmetici sarebbe un bel segnale per il Paese se i gruppi trovassero già al primo giro un accordo rispettoso allo stesso tempo della rappresentanza parlamentare e del pluralismo delle forze in campo. Sia pure in termini diversi, un problema di equilibrio si riproporrà più avanti con l’elezione del vicepresidente, che ha un ruolo cruciale nel Csm e che secondo la Costituzione dev’essere scelto tra i membri di nomina parlamentare ma con il voto dell’intero Consiglio in cui i togati sono in maggioranza. Un doppio passaggio destinato a incidere non poco sul futuro di uno dei comparti più delicati e nel contempo più stressati della nostra democrazia. Domani, forse e solo nel caso non siano nel frattempo intervenuti motivi di rinvio, ne sapremo di più.
(l. c.)