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Bambini, spesso solo vite strappate…

I bambini… Innocenti che sorridono alla vita, fiori che sbocciano e rallegrano le famiglie che li accolgono, benedizioni che si irradiano su tutto ciò che incontrano, doni preziosi, gioia dei genitori, consolazioni dei nonni, medicine miracolose per dare vita agli anni. I bambini… Risorsa per l’umanità, certezza di futuro, fondamenta di ogni città e paese pensati per accogliere e proteggere. I bambini… Anche, purtroppo, merce di scambio, oggetti di guerra, soggetti di offese e contese, corpi da sciupare, giocattoli da consumare per aumentare profitti e ricchezze di qualcuno, corrieri obbligati ad alimentare la catena della distribuzione truffaldina, candide anima gettate nell’inferno di giorni voraci e impietosi, cadaveri che il mare ha rigettato sulla spiaggia e che sulla spiaggia sono rimasti in attesa che qualcuno, passando, si accorgesse di loro.

Ieri, attorno al bambino sopravvissuto alla tragedia della funivia Stresa-Mottarone, si sono accese le fiamme della solidarietà concreta. Questa mattina, prima notizia del primo telegiornale, l’arresto di un cinquantenne perché accusato di abusi compiuti su bambini ha messo in dubbio la possibilità che tanta solidarietà diventi modo di vivere costante e accettato da tutti. Qualche settimana fa, nel rapporto sullo stato dei bambini del mondo, era possibile leggere quali e quante bassure si riversano sopra di loro: centosettanta milioni di bambini sfruttati nelle miniere (ad esempio dove si estrae il coltan, materiale indispensabile per produrre i nostri smartphone) e nei campi (al servizio di un’industria agroalimentare che sovrappone gli schemi globali del profitto alle necessità delle comunità locali), obbligati a produrre merci da offrire sui mercati del mondo; chissà quanti altri bambini (impossibile fare un calcolo anche solo approssimativo) separati dai genitori, sfruttati sessualmente, privati della scuola (dice il rapporto che undici milioni di bambine sono state espulse dalla scuola durante la pandemia e non vi rientreranno), gettati allo sbaraglio, resi orfani di affetti e di qualsiasi possibilità di buon futuro. Eppure, come ha scritto Chiara Graziani a commento del rapporto “i laboratori di futuro esistono (come quelli inventati a Scampia, quartiere desolato di Napoli, dove oggi si respirano e si alimentano nuove speranze); e i bambini sono la loro scommessa”.

Ciononostante troppi bambini, ogni giorno vengono “reclutati e addestrati per uccidere” obbligati essi stessi “a combattere per non morire”. Si stima che in tutto il pianeta ci siano circa 250 mila minori impiegati in operazioni di guerra, sfruttati come soldati e costretti a commettere crimini indicibili. “Alcuni – si legge nelle cronache che superano la barriera dell’indifferenza e che diventano notizie in pagina -, sono piccolissimi, hanno persino meno di 6 anni, segno evidente di come l’infanzia non sia uguale per tutti…”.

Secondo l’Unicef “sono almeno 18 i Paesi nei quali, dal 2016 ad oggi, è stato documentato l’impiego di minori in conflitti armati: Afghanistan, Camerun, Colombia, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, India, Iraq, Mali, Myanmar, Nigeria, Libia, Filippine, Pakistan, Somalia, Sudan, Sud Sudan, Siria e Yemen. Malgrado gli sforzi per contrastare questo fenomeno, il numero di casi registrati è costantemente aumentato dal 2012 al 2020. Tra Africa e Medio Oriente, il 40% degli arruolati sono bambine, spesso vittime di stupri. Solo nel 2019 — sempre secondo l’Unicef — sono stati reclutati circa 7.750 minori, utilizzati da decine fra guerriglieri, gruppi armati ed eserciti regolari”. Secondo fonti dell’Onu “la Somalia è fra i Paesi più coinvolti, con oltre 1.500 bambini soldato, per lo più rapiti da al-Shabaab e costretti a combattere. In Repubblica Centrafricana, dove i minori sono usati da tutti i principali attori del conflitto interno in corso dal 2013, il fenomeno ha ormai assunto i contorni di un’emergenza umanitaria”. Tutto questo benché tra i 17 obiettivi dello sviluppo sostenibile fissati dall’Onu per il 2030 vi sia quello che prevede “misure immediate ed efficaci per garantire il divieto e l’eliminazione delle peggiori forme di lavoro minorile, compreso il reclutamento e l’uso di bambini soldato”.

Il 12 febbraio scorso, in occasione della Giornata internazionale contro l’uso dei bambini soldato (ma non è un mondo civile quello che ha bisogno di una giornata apposita per dire ciò che invece dovrebbe essere parte naturale del vivere quotidiano), papa Francesco non ha esitsato adire che “chi mette armi nelle mani dei bambini, invece di pane, libri e giocattoli, commette un crimine non solo contro i piccoli, ma contro l’intera umanità”.

Poi, ai bambini-soldato si aggiungono i bambini-migranti, i più vicini a noi, quelli che Frabrizio Peloni ha definito in un reportage recente “abbandonati, intrappolati, rifiutati, spaventati, affamati, infreddoliti, senza protezione, assoggettati a violenze inaudite, vittime di abusi”. Da dove vengono questi bambini-migranti? Arrivano seguendo la rotta balcanica, da Turchia e Grecia, o quella nordafricana attraverso il Mediterraneo (occidentale e centrale) oppure da quella atlantica, che dalle coste della Mauritania e del Senegal conduce alle isole Canarie. Tutte le rotte hanno l’Europa come comune destinazione finale. “Solo in Italia – secondo l’ultimo rapporto annuale dell’Unicef -, dal 2014 al 2020 sono stati circa 75.000 i bambini e gli adolescenti non accompagnati sbarcati lungo le coste del Paese. E son o bambini-adolescenti che nei loro viaggi spesso rimangono bloccati in Paesi di transito, come la Bosnia ed Erzegovina, la Grecia e la Turchia, il Marocco, la Tunisia o la Libia, dove il traffico di esseri umani è un grande business. Poi c’è la rotta dei dreamers, seguita dalle popolazioni del Sud America e dell’America centrale che inseguono il sogno americano. E poi c’è l’esodo dal Venezuela: oltre 4 milioni di persone, tra cui 1,1 milioni di minori, che negli ultimi cinque anni hanno lasciato il Paese latinoamericano per via della fortissima recessione.

E poi… Poi mille altre storie che dicono come sia facile lasciarsi coinvolgere dalle emozioni del momento e come sia tremendamente difficile passare dalle emozioni agli impegni concreti, quelli necessari per garantire ai bambini del mondo di vivere felici, di giocare spensierati, di crescere sapendo che la società, cioè noi, a ciascuno di loro garantirà pari dignità e pari opportunità.

LUCIANO COSTA

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