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Bimbi che crescono in carcere. Vergogna!

Non importa quanti sono o se sono soltanto ventiquattro, anche se fosse soltanto uno, quel bambino costretto a crescere in carcere nel grembo della madre o accanto alla madre condannata, è un ‘offesa alla civiltà, al diritto, alla giustizia, al buon senso e alla pietà che mai può mancare nella Legge degli uomini. Invece… Ecco le immagini, appena velate per impedire di riconoscere i bimbi, che raccontano storie di ordinaria malvagità. Nei giorni scorsi la questione doveva essere affrontata e risolta con l’adozione di una legge giacente, scritta per dire basta ai bimbi in carcere e per avviare soluzioni alternative alla detenzione di donne incinta e di madri. Doveva essere una formalità approvarla, invece, l’introduzione di troppi distinguo (messi in campo dalla Lega e accettati da Fratelli d’Italia), ha fatto naufragare una proposta che avrebbe dato al Paese, se non tutta almeno parte della dignità perduta. Vergogna! “Se ne riparlerà e la norma originale sarà presentata alla Commissione Giustizia della Camera per l’approvazione”, ha fatto sapere il capo del Governo. Nel frattempo, i bimbi cresceranno dove le madri sono rinchiuse: in carcere. Con le concessioni previste dall’Istituto a custodia attenuata per detenute madri (ICAM), una struttura costituita in via sperimentale nel 2006 per consentire alle detenute madri che non possono usufruire di alternative alla detenzione in carcere di tenere con sé i loro figli.

Se interessa, ma deve interessare chiunque possieda e conservi un briciolo di umanità, l’ordinamento carcerario italiano prevede che le madri detenute con prole inferiore ai sei anni debbano usufruire di trattamenti alternativi alla detenzione, finalizzati a non traumatizzare eccessivamente i figli, che fino a quell’età devono in ogni caso rimanere sotto la tutela del genitore di sesso femminile se è quest’ultima a chiederlo espressamente. Questi trattamenti alternativi riguardano ad esempio il soggiorno in reparti particolari, detti “a custodia attenuata”, meno duri rispetto al carcere vero e proprio, dove “l’ambiente – è scritto nella norma – deve essere accogliente e più simile ad una vera casa, proprio per evitare che i bimbi soffrano l’esperienza della carcerazione forzata”. Purtroppo, in Italia “, di Centri a custodia attenuata ne esistono pochi. Uno si trova a Milano. E in quel centro le “recluse” possono soggiornare con i loro figli sino al compimento del sesto anno di età. L’ICAM di Milano è una struttura che non ricorda in alcuna maniera il carcere: è simile ad un asilo nido, in cui i bambini possono trascorrere serenamente il periodo di “carcerazione” insieme alle loro madri; dispone di camere confortevoli e luminose, ambienti personalizzati, infermeria, ludoteca, biblioteca e aula formativa per le donne, cucina attrezzata e soggiorno appositamente concepiti per consentire alle madri detenute con bambini piccoli una vita più dignitosa. Di centri simili n e servirebbero di più e collocati dove più evidente è il disagio. Invece… Invece, una politica distratta non bada al grido di dolore che i bimbi portano con sé.

Così ieri, appena dopo la sospensione del provvedimento proposto dall’opposizione, Laura Liberto, Coordinatrice nazionale dell’Associazione “Giustizia per i diritti – CittadinanzAttiva”, ha scritto una lettera aperta (pubblicata da “Avvenire” ma neppure menzionata da altri mezzi di informazione) per esprimere il dolore nel veder soffocata per meri calcoli politici una proposta in grado di cambiare le cose. Dice la lettera:

“Abbiamo dovuto assistere a un triste epilogo, almeno per il momento, per la proposta di legge sulla tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori; un epilogo che ci lascia estremamente amareggiati, perché arresta un percorso, portato avanti negli anni, di positiva collaborazione tra Parlamento e organizzazioni della società civile. La presenza, a oggi sono 24, di bambini costretti a trascorrere i primi anni di vita negli istituti penitenziari assieme alle madri detenute è una contraddizione inaccettabile del nostro sistema; un paradosso sul quale negli ultimi anni ci siamo impegnati, attraverso la campagna «L’infanzia non si incarcera» e in sinergia con altre organizzazioni, per richiamare l’attenzione pubblica e delle istituzioni e per formulare e sollecitare l’adozione di soluzioni di sistema idonee a risolverlo definitamente. Ciò nella convinzione che la tutela della salute psicofisica dei bambini debba prevalere su ogni altra ragione o interesse pubblico e debba costituire il principale, se non l’unico, criterio guida per la costruzione di misure dedicate.

Su questo terreno ci siamo impegnati nel tempo nella formulazione e richiesta di soluzioni concrete e in una proficua e intensa collaborazione con i deputati che, nella scorsa legislatura, hanno lavorato alla proposta di legge tesa a rimuovere quegli ostacoli e quei limiti, di natura giuridica ed economica, che continuano a produrre nuovi ingressi di bambini in carcere al seguito delle madri. Tra le più apprezzabili, in particolare, le disposizioni rivolte a sostenere e promuovere il sistema delle “case famiglia” protette come modello alternativo alle soluzioni detentive di madri e bambini, comprese quelle della detenzione cosiddetta attenuata in ICAM.

La proposta di legge, che nella scorsa legislatura non aveva potuto completare il suo iter in seguito alla caduta del governo Draghi, è stata ripresentata nella legislatura corrente, su iniziativa della deputata del Partito Democratico Serracchiani, e si trovava fino ad oggi all’esame della Commissione Giustizia della Camera, che avrebbe dovuto licenziare in questi giorni il testo per il successivo passaggio in aula. Contrariamente alle nostre aspettative, l’esame del provvedimento ha subito una prima battuta d’arresto a causa della presentazione di alcune proposte emendative, da parte di una deputata di Fratelli d’Italia, che stravolgevano totalmente l’impianto originario del testo, contraddicendone finalità e motivazioni. Per queste ragioni, avevamo rivolto un appello al presidente e ai componenti della Commissione, unitamente a un gruppo di 14 Associazioni e di Garanti dei diritti delle persone detenute, perché si recuperasse il provvedimento nella sua versione iniziale.

Nonostante questo, quegli emendamenti sono stati riformulati in senso ulteriormente peggiorativo. Da un lato, si è proposto il ricorso in automatico, in presenza di recidiva, alla detenzione in Icam di madri e bambini, alimentando, nella direzione opposta a quella originaria, nuovi ingressi in contesto detentivo. Dall’altro, si è proposta addirittura una modifica in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena, prevedendo l’ingresso in carcere anche per le donne in stato di gravidanza e le madri di bambini con meno di un anno di età. Un peggioramento gravissimo, quindi, della normativa già vigente. Iniziativa, quest’ultima, presentata come misura «contro le donne borseggiatrici», che strumentalizzerebbero le gravidanze per evitare il carcere. Iniziativa, pertanto, che lascia sconcertati per il substrato di pregiudizio e propaganda che sottende e che meriterebbe una levata di scudi unanime, anzitutto da parte di tutte le donne parlamentari.

Le forze politiche cha hanno determinato l’affossamento, in seguito al ritiro a questo punto inevitabile, dell’intera proposta di legge, si sono assunte la responsabilità di aver arrestato un percorso di civiltà, che mirava unicamente a superare il problema dell’incarcerazione dell’infanzia. Come CittadinanzAttiva continueremo il nostro impegno per tenere viva l’attenzione sul problema dei piccoli detenuti e perché si recuperi il lavoro finora fatto”.

LUCIANO COSTA

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