Ognuno ha un suo dio da invocare-pregare-odiare-amare-insultare; chiunque ha un dio a cui rivolgersi, anche chi dichiara di non averlo, di non credere che vi sia (dire il contrario “è irrazionale, contro la ragione che ammette il visibile e mai l’aspettato, l’opposto dell’intelligenza…”, sostengono costoro), di non ammetterlo tra le sue possibilità e opportunità, anche lui, il più acerrimo negazionista, per il solo fatto di spendere qualche attimo della sua esistenza per negarne l’esistenza, un dio ce l’ha. Infatti, il problema non è dimostrare l’esistenza di questo o quel dio, ma stabilire oltre ogni dubbio che egli non esiste. Soprattutto adesso, in un giorno – venerdì santo per tanti se non per tutti – che mette al centro la morte di un Giusto, che sbatte in prima pagina il mistero racchiuso nella Croce sulla quale un Giusto sta per essere inchiodato. Comunque lo si guardi, è fuor di dubbio che si tratta di un giorno particolare, diverso, del quale è impossibile non accorgersi.
Oggi milioni di uomini e donne sparsi nei cinque continenti, grazie alla mondovisione, si troveranno, magari soltanto per un attimo, a fare i conti con la “Via Crucis” che Papa Francesco guiderà percorrendo, a Roma, le strade e i viottoli che si snodano attorno al Colosseo. Quelle immagini, cercate o subite poco importa, obbligheranno ciascuno a porsi la più semplice delle domande: “Perché? Chi è e che cosa rappresenta quell’uomo crocifisso?” Naturalmente ci vuole fede per rispondere che quell’uomo è Gesù Cristo, il Messia, il Salvatore del mondo, il Giusto che si è caricato sulle spalle la colpa perché fosse ristabilita l’Alleanza con Dio. Ma anche per chi non possiede il dono della fede, quell’uomo crocifisso rappresenta ben più di un semplice condannato a morte, se non altro perché di lui si parla da più di duemila anni. E non in termini puramente storicistici. Infatti, lo “scandalo” che accompagna quella Crocifissione, mentre giustifica la pietà e la fede popolare, sollecita dubbi ulteriori in chi si dice immune a tale sentire.
Ho letto all’alba, mentre cercavo notizie sul cinquantunesimo giorno di guerra in Ucraina, che “nessuno può restare insensibile di fronte a un giusto, chiunque esso sia, che viene ammazzato temendo possa essere ostacolo alla libertà e alla verità”. Poi, accanto alle notizie dal fronte, c’era quella che annunciava il rinnovarsi, al Colosseo di Roma, della Via Crucis guidata dal papa e diffusa in mondovisione, secondo alcuni commentatori “semplicemente stupefacente” per via della decisione di far accompagnare le stazioni dalle meditazioni scritte da persone che la loro vita la vivono da normalissima famiglia: una coppia di giovani sposi, una famiglia in missione, sposi anziani senza figli, una famiglia numerosa, una famiglia con un figlio disabile, una famiglia che gestisce una casa famiglia, una famiglia con un genitore malato, una coppia di nonni, una famiglia adottiva, una vedova con figli, una famiglia con un figlio consacrato, una famiglia che ha perso una figlia e una famiglia di migranti, una famiglia russa e ucraina…
In più, quella scelta di affidare il commento alla tredicesima stazione a due donne, una russa e l’altra ucraina… Scelta illuminata e illuminante, aperta al futuro, invocante pace e concordia tra i popoli e le nazioni, oppure provocazione? Ognuno scelga la risposta. Ma prima, se possibile, si fermi ad ascoltare le voci delle due donne, una russa e l’altra ucraina, che invitano a riflettere sul dramma che la guerra sta alimentando… Dicono:
“La morte intorno. La vita che sembra perdere di valore. Tutto cambia in pochi secondi. L’esistenza, le giornate, la spensieratezza della neve d’inverno, l’andare a prendere i bambini a scuola, il lavoro, gli abbracci, le amicizie… tutto. Tutto perde improvvisamente valore. “Dove sei Signore? Dove ti sei nascosto? Vogliamo la nostra vita di prima. Perché tutto questo? Quale colpa abbiamo commesso? Perché ci hai abbandonato? Perché hai abbandonato i nostri popoli? Perché hai spaccato in questo modo le nostre famiglie? Perché non abbiamo più la voglia di sognare e di vivere? Perché le nostre terre sono diventate tenebrose come il Golgota? Le lacrime sono finite. La rabbia ha lasciato il passo alla rassegnazione. Sappiamo che Tu ci ami, Signore, ma non lo sentiamo questo amore e questa cosa ci fa impazzire. Ci svegliamo al mattino e per qualche secondo siamo felici, ma poi ci ricordiamo subito quanto sarà difficile riconciliarci. Signore dove sei? Parla nel silenzio della morte e della divisione ed insegnaci a fare pace, ad essere fratelli e sorelle, a ricostruire ciò che le bombe avrebbero voluto annientare”.
Se vi resta tempo, passate al commento della quattordicesima stazione, non a caso affidato a una famiglia di migranti, che dice:
“Ormai siamo qui. Siamo morti al nostro passato. Avremmo voluto vivere nella nostra terra, ma la guerra ce lo ha impedito. È difficile per una famiglia dover scegliere tra i suoi sogni e la libertà. Tra i desideri e la sopravvivenza. Siamo qui dopo viaggi in cui abbiamo visto morire donne e bambini, amici, fratelli e sorelle. Siamo qui, sopravvissuti. Percepiti come un peso. Noi che a casa nostra eravamo importanti, qui siamo numeri, categorie, semplificazioni. Eppure siamo molto di più che immigrati. Siamo persone. Siamo venuti qui per i nostri figli. Moriamo ogni giorno per loro, perché qui possano provare a vivere una vita normale, senza le bombe, senza il sangue, senza le persecuzioni. Siamo cattolici, ma anche questo a volte sembra passare in secondo piano rispetto al fatto che siamo migranti. Se non ci rassegniamo è perché sappiamo che la grande pietra sulla porta del sepolcro un giorno verrà rotolata via“.
Domani, questo o quel dio di tutti e di nessuno, risorgerà. Credere o non credere dipende dalla capacità di vedere oltre ogni confine visibile. Personalmente vedo ogni volta un lume acceso che mi invita ad andare per scoprire. Forse domani, magari perché è già Pasqua, scoprirò che quel piccolo lume indica anche la pace possibile.
LUCIANO COSTA