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Che cosa resterà dell’Ucraina?

Oggi alle tredici scade l’ultimo ultimatum della Russia al popolo ucraino che ancora difende l’acciaieria di Mariupol. Dopo ci sarà soltanto posto per bombe, missili, cannonate, gli ingredienti della distruzione e della morte assicurata. Che mondo è quello che non vede l’assurdità di tali gesti? Che Russia è quella che dopo ave misurato gli orrori della dittatura oggi impone un’altra dittatura a un popolo che invece vuole vivere in libertà e in democrazia? Che Europa è quella che manda aiuti e armi e poi non va unita e decisa fino a Mosca per obbligare Putin a ragionare e così smetterla di opprimere un popolo debole sebbene coraggioso? Che America è quella che assicura armamenti all’Ucraina assediata dalla Russia ma tentenna sulla necessità invece urgente di andare, anche lei, a Mosca e così stanare il dittatore Putin dal delirio d’onnipotenza in cui ormai da cinquantacinque giorni vive ordinando lo scempio di chiunque non gli sia fedele?

Dall’acciaieria assediata e diventata una vera trappola mortale, si alza un grido di aiuto che cerca di arrivare il più in alto possibile, oltre le traiettorie dei missili, fino al Papa, “ultimo baluardo della speranza”. Sembra quasi di udire il rimbombo dell’artiglieria che martella inesorabile dietro le parole del lungo, dignitoso e disperato appello rivolto a Francesco dalle “madri, mogli e figli dei difensori di Mariupol”. Questo popolo di Mariupol dice in coro: “Francesco, aiutaci, solo tu puoi mettere fine alla guerra, solo tu puoi fermare lo sterminio”. L’appello al Papa è racchiuso in una lettera portata a Roma da un giornalista ucraino. Nelle due pagine c’è lo spaccato di quello che le cronache raccontano ormai da troppe settimane sull’agonia della città-martire del conflitto ucraino. Dalla lettera emerge una città “ridotta in cenere”, sotto attacco “24 ore su 24”, epicentro di “una catastrofe umanitaria senza precedenti nell’Europa del 21.mo secolo”. Dentro questa città resiste l’acciaieria Azovstal diventata oggi il fronte dello scontro decisivo, al cui interno, accanto all’esercito ucraino, ci sono ancora circa mille civili.

In questa cornice, a Mariupol e in ogni angolo d’Ucraina, sono sempre più gravi le condizioni dei bambini colpiti dal conflitto. L’Unicef, pur non potendo confermare le notizie circolate in questi giorni, che parlano di oltre duecentomila minori ucraini in balia delle truppe di Mosca, dice di essere a conoscenza di bambini “costretti a muoversi, insieme al resto della popolazione, verso i confini della Federazione Russa”. Secondo l’Unicef il numero di bambini uccisi dall’inizio del conflitto sarebbe ben superiore ai trecento dichiarati, mentre sono di sicuro più di sette milioni gli sfollati interni, di cui 2,5 milioni bambini, e 11 milioni le persone che hanno lasciato le proprie case. In più, vi sono adesso oltre 5 milioni e mezzo di bambini che non vanno più a scuola”.

L’Ucraina è ridotta a brandelli e la terra che la circonda è solo un parcheggio di macerie. Domani o chissà quando, quando la guerra smetterà di intonare il suo canto di morte, l’Ucraina sarà una nazione esistita e non più esistente. Al suo posto ci saranno una distesa di niente, un insieme di buche, un susseguirsi di pietre senz’anima, tante croci per ricordare i morti e nessun segno di pietà per i sopravvissuti. Allora qualcuno scriverà che l’Ucraina, nell’anno 2022, è stata costretta a misurare sulla sua pelle il peso delle piaghe che già afflissero e sconvolsero l’Egitto; allora sarà obbligatorio ubbidire a quel che la Bibbia (vedi il libro dell’Esodo) comanda al popolo ebraico: narrare ai suoi figli la storia della schiavitù e della liberazione dei loro antenati, riflettere sulle piaghe che segnarono quel tempo.

Come sempre all’alba, guardando le distruzioni mandate in onda, ho dato spazio alle riflessioni. Una, proposta da un ebreo, metteva in primo piano la testimonianza dei saggi che hanno cercato di comprendere il senso e il messaggio delle piaghe. Secondo lo scrittore ebreo, la prima piaga, ovvero le acque d’Egitto trasformate in sangue, è un messaggio chiarissimo: il sangue versato non può essere cancellato, e quello che oggi colora l’Ucraina rimarrà indelebile. Seguono i conflitti del ventesimo secolo e quelli attuali che “ci permettono – scrive l’ebreo – di scoprire un certo sottile rapporto tra loro e il racconto biblico delle piaghe”.

Per esempio: Eugène Ionesco, uno dei grandi padri del teatro dell’assurdo, che nel suo Il rinoceronte, scritto nel 1959, racconta come gli abitanti di un’intera città si trasformano in rinoceronti e diventano così “specchio di una società che distorce i valori etici abbracciando uno dei totalitarismi più disastrosi”. E’ la raffigurazione della quarta piaga, che secondo lo studioso ebreo “è l’invasione di animali nelle case e nei luoghi pubblici, forse inviati da Dio per spingere la società egizia a riconoscere che il suo comportamento umano era sceso a un livello bestiale”. Poi, La peste (libro critto da Albert Camus nel 1947), induce a riflettere sulla molteplicità di messaggi che la pandemia, allora come adesso, porta con sé. Ma la nona piaga, quella delle tenebre che avvolgono tutto e tutti, dice che “i conflitti armati d’oggi, pieni di meschinità e ambizioni deliranti, indubbiamente fanno sprofondare le società in un buio totale dove, come accadde in Egitto, non ci si vede più l’un l’altro”.

Di quante piaghe dovremo essere ancora afflitti per capire che non nella guerra ma nella pace risiede il destino di noi esseri umani?

LUCIANO COSTA

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