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Chiacchiere da Carnevale…

Oggi il Carnevale chiude la sua strana parentesi ed è consentito ridere. Dunque, ridiamo, ridiamo, che poi, fra un anno, il medesimo tornerà e proverà di nuovo a dirci che non vale scherzare quando non è certo che lo scherzo sia uno scherzo e non un fatto reale temporaneamente travestito da scherzo. Più o meno come ieri l’altro ieri e tanti giorni prima lo sono state le piazze, i lungomare, i lungolago, le vie dello shopping, quelle dello struscio e poi le stazioni sciistiche e le stazioni di bus tram e metro finalmente libere di essere aggredite. Siamo stati e siamo incoscienti, oppure perfettamente coscienti che la nostra incoscienza potrebbe portarci a sbattere contro uno dei tanti virus e rispettive varianti in circolazione. Però, chi se ne frega. Importante è assaporare quella libertà costretta a starsene lontana non per scelta ma perché così hanno stabilito divieti, norme, obbligazioni, tamponi e via discorrendo. Poi, finita le festa e letto l’ultimo bollettino allora son guai, grida e stridore di denti, imprecazioni e promesse.

Vogliamo tutti star bene. Anzi, tutti hanno il diritto di star bene. Ma come, dove, quando, perché? C’è chi, per esempio, per star bene ho bisogno di andare a sciare, per sciare ho bisogno che i tenutari degli impianti li facciano trovare aperti e funzionanti, per soddisfare la mia voglia pazza di sciare qualcuno deve provvedere a mettere intorno al mio sciare un bar, forse una paninoteca, magari una piadineria, meglio ancora una tavola calda, oppure – e sarebbe il massino – un ristorantino in cui atmosfere e prelibatezze siano coniugabili e gustabili fin o al punto di spalancare le porte ai sogni e alle diavolerie più diverse. Invece, ecco che alla voglia di sciare appena liberata da lacci e lacciuoli imposti da professoroni ed esperti di virus è stata repressa, annientata, vilipesa e strapazzata da quel testa di politico che senza preavviso ha firmato l’ordinanza che tradendo l’annunciato ha imposto l’annuncio di chiusura.

“Per il bene di tutti”, hanno detto e con assai poco garbo spiegato i responsabili della pubblica salute. Va bene! Ma, vivaddio, chi pensa e provvede agli operatori turistici, ai titolari degli impianti di risalita, agli albergatori, ai baristi, ai maestri di sci, ai portatori di barelle, ai venditori di strumenti adatti a sciare, ai fisioterapisti (insomma, sciando si può cadere o prendere una botta o una storta, quindi c’entrano anche loro), a quelli che vivono di riflesso allo sci (imbonitori, bigliettai, pistaioli, guidatori di gatti, acconciatori di neve, pizzaioli, camerieri, guide, animatori, fornai, gelatai e via discorrendo), magari anche ai distributori di carburante costretti a muoversi dal basso all’alto con indubbia fatica e costi direttamente proporzionali alle altezze raggiunte (tradotto significa che il carburante, chissà perché, in montagna è più caro che in pianura), ai meccanici che provvedono a far correre automobili e camper in su e in giù della montagna, ai ferrovieri che portano i treni fin dove la montagna comincia o addirittura dentro le sue viscere, agli annessi e connessi (tipo pubbliche relazioni, immobiliaristi, affittuari, consulenti, inviati, corrispondenti, operatori tv, commercialisti, dazieri, riscossori di tasse e balzelli, medici, infermieri d’ospedale (si cade e ci si rompe, qualcuno dovrà pur aggiustare).

Insomma, chi aiuterà questo universo produttivo (che poi, alla fine, si riflette nello Stato, lo stesso soggetto che prima ha chiuso per impedire la diffusione del virus e che al divieto imposto ha dovuto subito o quasi far corrispondere ristori sotto forma di euro sonanti, ma che alla fine, da tutto l’ambaradan messo in scena, caverà risorse con cui continuare a fare lo Stato) a sopravvivere?

Per il Carnevale ero solito lasciare il quotidiano per infilarmi in un irreale domani in cui la maschera diventava il volto e il volto, per un attimo, raffigurava tutt’altro, magari uno spensierato viaggiatore, un furbo opportunista, un buono per tutte le stagioni, un angelo pasticcione o un figlio di utopia. Per questo Carnevale, il primo dell’era pandemica, nessuna evasione, neppure quattro passi fuori porta, neanche il tempo per spargere manciate di coriandoli nel cielo che staziona sopra il prato in cui bizzarre margherite, fuori tempo e stagione, già fanno le fusa con l’erba ancora addormentata. In questo Carnevale strano e malato “me ne sto fermo in attesa del momento in cui “attraversare la vita sarà nuovamente un atto d’amore e non semplicemente un lento sfollare…” verso chissà quali orizzonti.

In un solito Carnevale avrei accettato senza lamenti d’essere dentro una bolla popolata da scherzi e risate; in questo Carnevale ammalato mi pongo invece domande senza fine e risposta sulla natura e sui i rapporti che con essa, io e voi, chiunque siate, dovremmo stabilire.

“Al cielo non si comanda”, dicevano i vecchi. Così tutto ciò che veniva dal cielo – virus, pioggia, fulmini, neve, grandine, vento, nebbia, ghiaccio… – era considerato per quello che era: un dono quando serviva, un danno se era esagerato, una maledizione se imperversava senza sosta, una tragedia se impediva le normali attività… Adesso che al cielo è (quasi) possibile e ammesso comandare, quel che di esagerato viene dal cielo è considerato un bubbone a cui non il buon senso o la moderazione dei singoli, bensì la logica dell’ombrello pubblico deve porvi rimedio.

Ragion per cui, se piove o se domina la siccità, se nevica o non si vede un fiocco neppure a pagarlo, se il fuoco non sta al suo poto e invece esce libero e giocondo a fare strage di foreste e case, se la terra trema senza preavviso o con preavviso non tenuto in debita considerazione, se il petrolio rincara, se automobili-frigoriferi-televisori-lavatrici-friggitrici-cucine-scarape-vestiti-cinture-piallatrici e qualunque altro oggetto ritenuto se non proprio utile almeno comprimario all’esistenza restano invenduti, se le acciaierie producono fumi oltre che ferro destinato alle fabbriche che a loro volta dovranno trasformarlo in oggetti da mettere sul mercato, se, se e ancora se…, proprio in ossequio a quella “ragion per cui” sopraddetta , qualcuno dovrà rimediare.

Oggi finisce il Carnevale; domani incomincia la Quaresima, che ha valore per i cristiani (tanto o poco fedeli poco importa) chiamati a viverla secondo carità e misericordia. Oggi e domani sono giorni di attesa: uno vuole finisca il putiferio interiore causato dalle risate strozzate in gola dalla paura d’essere improvvisamente contagiati da irreparabile malessere; l’altro spera incominci un tempo nuovo, magari quello portato in dote dal Governo presieduto da Mario Draghi, l’unico che i complimenti li ha ricevuti da destra e anche da manca.

Ho perso la bussola e, quindi, anche l’orientamento. Resto comunque convinto che non tutto è perduto. Infatti, come dice il saggio, il sole sorgerà anche domani e sarà per tutti e di tutti. Ovviamente, sono parole scritte da uno “scrittorello” qualunque, di passaggio, inatteso o forse atteso, comunque solitario, uno che “sa individuare e scegliere le parole da salvare dal flusso indistinto della comunicazione mondana e dall’inesorabilità del tempo che scorre”, niente di più.

LUCIANO COSTA

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