Gianluca Vialli è morto ieri, a soli 58 anni, dopo una lunga malattia. Nato a Cremona il 9 luglio 1964, inizia la sua carriera calcistica con la maglia grigiorossa. Nel 1980 debutta in Serie A con la Sampdoria. Con l’amico Roberto Mancini, oggi allenatore della nazionale italiana, forma la coppia dei “gemelli del gol”. Anche grazie ai suoi gol, nel 1991, la squadra blucerchiata conquista il suo primo e finora unico scudetto. Nel 1992 sfuma a Londra il sogno di vincere la Coppa dei Campioni, vinta dal Barcellona contro la sua Sampdoria. Ma dopo il trasferimento alla Juventus, per Vialli arriva nel 1996 la sospirata vittoria in Champions League. Due anni dopo giunge il momento di dire addio al calcio giocato. Vialli appende le scarpe al chiodo ma resta a Londra, nelle vesti di allenatore del Chelsea. “Oggi è morto il calcio che ho amato – ha scritto Amedeo Lomonaco su Vatican News -. E anche Gianluca Vialli raggiunge quello spicchio di cielo in cui brillano per sempre campioni destinati a lasciare, non solo nel popolo degli sportivi, ricordi indelebili”. Negli ultimi anni, segnati dalla malattia, quel giocatore forte e ammirato tante volte nel pieno del suo splendore era diventato fragile. Stava perdendo una battaglia che non poteva vincere… Il cancro ha prevalso sulla sua forza e sulla sua determinazione, ma non ha vinto. Gianluca, infatti, vive adesso e vivrà per sempre circondato dall’amore incondizionato di generazioni di sportivi. Il suo ricordo lo affidiamo alle righe scritte da Marco Bencivenga, direttore del quotidiano “La Provincia di Cremona”.
Vialli, quello che ha fatto Goals…
«Quando ho saputo di essere malato mi sono dato due obiettivi a lunga scadenza: non morire prima dei miei genitori e accompagnare all’altare le mie figlie». Gianluca Vialli non potrà realizzare i suoi ultimi desideri, i più intimi e naturali per ogni uomo, padre e figlio. I muscoli e la forza mentale del campione non gli sono bastati per vincere la battaglia con il tumore al pancreas che durava dal 2017.
In realtà, «il cancro non è questo grande nemico da sconfiggere: è una sfida per cambiare sé stessi», aveva scritto con estremo coraggio Gianluca nell’ autobiografia intitolata «Goals», riuscito gioco di parole a cavallo fra due lingue. Se in italiano «gol» è solo il pallone che finisce nella porta avversaria, in inglese lo stesso termine ha un significato più ampio e profondo: indica un traguardo, un’aspirazione, un punto d’arrivo.
Usato al plurale – goals – si può tradurre in «obiettivi» e racchiude tutto ciò che noi italiani chiamiamo semplicemente «voglia di vivere», quell’energia e quell’entusiasmo che hanno sempre caratterizzato Gianluca, il ragazzo di campagna cresciuto a Cremona e diventato cittadino del mondo, da 26 anni residente a Londra, ma con il cuore sempre qui, dove resteranno per sempre le sue radici.
Rovesciare la prospettiva e trovare un senso nuovo alla vita capita a tante persone, dopo una diagnosi infausta. Tutti sappiamo di avere un tempo limitato. Ma un conto è andarsene a cent’anni, tutt’altro a 58, come Gianluca. O a venti, come i giovani che perdono il controllo di un’auto e vanno a sbattere contro un muro, un albero o un camion. E non hanno scampo. A vent’anni non si ha neppure il tempo di rendersene conto. A 58 si è lucidissimi: in un istante si capisce cosa significa morire. Cosa si perde. Quanto male fa e quanto dolore dà. Non appena i medici pronunciano il loro verdetto, la mente riavvolge il nastro della vita, fotogramma per fotogramma: sogni, emozioni, lacrime, risate, gioie, dolori. Vittorie, sconfitte.
Vale per ogni malato e ancor più per un campione dello sport, che a vent’anni è re del mondo, a trenta raggiunge l’apice della carriera e a 35 è già considerato un ferro vecchio. Salvo non si inventi una nuova vita: allenatore, manager, dirigente, commentatore tv. O semplicemente marito, padre, amico. Gianluca Vialli si era speso a 360 gradi, dopo essere stato un campione assoluto sul campo: aveva allenato, commentato, accompagnato. E «riscoperto» il bello della famiglia. Eh sì, perché giocare a calcio è bello, regala soldi e successo, ma in cambio chiede molti più sacrifici di quanti se ne possano immaginare.
Dopo aver debuttato nella Cremonese e aver vinto quasi tutto con la Sampdoria dei miracoli, la Juve del potere consolidato e il Chelsea dei nuovi ricchi, Gianluca era tornato idealmente a indossare la maglia azzurra della Nazionale, la più amata di tutte. Dal debutto nelle giovanili al trionfo di Wembley, come «capo delegazione» federale. Sempre protagonista, con stile inimitabile e mentalità vincente, ma anche i piedi ben piantati per terra. Con l’umiltà di chi non dimentica il punto di partenza.
A Cremona Gianluca non tornava soltanto a casa: a Cremona tornava bambino, quel ragazzino con i riccioli e il sorriso furbo che fratelli e amici più grandi consideravano il cucciolo della compagnia. Ma con la personalità del predestinato. A casa e al campetto di Cristo Re lo chiamavano «topolino». O «la peste», come ha ricordato l’amico Antonio Cabrini nella struggente lettera di incoraggiamento inviatagli meno di un mese il quotidiano della sua città natale.
Quando tornava a Cremona, Gianluca riabbracciava la famiglia e gli amici di sempre, riassaporava il sapore del salame nostrano, della mostarda e dei marubini. E non è un caso se dopo la conquista dell’Europeo – e quell’iconico abbraccio a Roberto Mancini – aveva scelto il santuario più vicino a casa per dire «grazie di tutto». Al destino, agli amici, alla Beata Vergine della Speranza di Grumello Cremonese. A Dio. Certo, negli ultimi tempi rivederlo sofferente – con il viso scavato, gli occhi stanchi, il maglione indossato per nascondere i chili persi – stringeva il cuore. Eppure Gianluca non cercava commiserazione. Anzi, era lui a fare coraggio agli altri, a trovare la forza per un autografo, un selfie o un sorriso. Nel telefonino conserverò come una reliquia il suo ultimo messaggio whatsapp: ore 14.22 del 16 dicembre. “Grazie!!!” e l’emoji delle dita incrociate ripetuto tre volte, in risposta al mio “Siamo tutti al tuo fianco”.
Ora che la Grande Partita è finita, Cremona perde il suo figlio prediletto, il calcio internazionale un campione assoluto, la famiglia un figlio, un marito e un padre. Oggi è il giorno delle lacrime. Per Vialli, il campione che si è arreso a un avversario sleale e bastardo. Oggi piangiamo Gianluca, il bambino di Cristo Re diventato campione e rispettato in tutto il mondo. Quando le lacrime si asciugheranno resterà il ricordo di un uomo speciale e averlo avuto, conosciuto e ammirato ci ripagherà dell’infinito dispiacere di averlo perso.
MARCO BENCIVENGA
Direttore “La Provincia di Cremona”