Sessant’anni fa… Non avevo ancora diciotto anni, ma mi sentivo padrone del tempo e del mondo senza possedere neppure un orologio e un granello di sabbia; immaginavo che tutto fosse possibile e fattibile; ero innamorato senza però avere la possibilità di mettere nella mani dell’amata pensieri e desideri; venivo da famiglia praticante e forse un po’ bigotta, ma solida e salda nei principi e nei valori; crescevo respirando l’aria buona che investiva la parrocchia del paesello e il suo piccolo ma importante oratorio, luogo d’incontri e di giochi, scuola di vita e di umanesimo, avviamento al sociale… Questo mi assegnava il titolo di cristiano (però, bastava essere battezzati, aver fatto la prima comunione e ricevuto la cresima per ottenerlo), forse una formalità, che però faceva la differenza, almeno se davi valore a ciò che di buono e sacro, tra casa e chiesa, ti veniva insegnato.
Non avevo ancora diciotto anni, però già sapevo coniugare lavoro e studio, sogni e realtà, possibile e impossibile… Era il tempo che salutava l’avvio del Concilio Vaticano II (avvento di nuova speranza); era il tempo di Giovanni XXIII (il papa buono, che parlava alla luna e al mondo chiamando la prima sorella e l’altro compagno di viaggio), di Kennedy e Kruscev (l’americano e il russo, l’uno contro l’altro armati), che di fronte a Cuba inscenarono un memorabile braccio di ferro, prima vera contesa atomica (i missili sovietici diretti all’isola furono bloccati e rimandati indietro dopo un braccio di ferro durato sedici giorni), del mondo diviso a metà da una già allora stupida guerra fredda e bollente, ma anche di canzoni e di sogni messi in circolo da menestrelli che immaginavano città e paesi semplicemente affratellati e in pace…
Era l’11 ottobre del 1962 e a Roma iniziava il Concilio Vaticano II, la più grande assise nella storia della Chiesa Cattolica, un evento che, provenendo da lontano (le novità spesso covano a lungo prima di arrivare a maturazione), gettava semi nuovi su terreni vecchi ma ancora buoni per dare frutti. Quel Concilio disegnava ciò che avevo e avevamo sognato: una Chiesa di tutti e per tutti.
In questi primi giorni di ottobre dell’anno 2022, come è noto, la situazione del conflitto scatenato dalla Russia in terra ucraina ha conosciuto una drammatica escalation (l’ordine del folle zar Putin di lanciare missili e bombe per punire la nazione invasa ha sommato nuove vittime innocenti e distrutto quel che restava di città e paesi ma a chi giova?) e tutto il mondo è ormai con il fiato sospeso: l’incubo di una guerra nucleare si è fatto molto più vicino diventando un’ipotesi concreta e altamente probabile.
Nel mese di ottobre di sessant’anni fa il mondo si è trovato nella stessa situazione, causata in quel caso dalla crisi dei missili cubani che contrapponeva Usa e Urss in un duello che sembrava impossibile da fermare. Invece, racconta la storia, la crisi fu superata e fu importante, tra gli altri fattori, l’intervento di Papa Giovanni XXIII, che obbligò Kennedy e Kruscev, i due capi, a scendere a patti. Oggi papa Francesco, come allora fece papa Giovanni XXIII, si sta spendendo senza risparmio al fine della ricerca di una possibile via di mediazione e di soluzione del conflitto che porti a una pace giusta e stabile.
In quei giorni dell’autunno di sessant’anni fa, un giovane ebreo ventunenne del Minnesota, compose una delle sue ballate più celebri, A Hard Rain is gonna fall (Una dura pioggia cadrà). Quel giovane menestrello si chiamava Bob Dylan e aveva scritto quella canzone per mettere in guardia il mondo dal pericolo di annientamento totale… “Era d’autunno – spiegò Dylan ai giornalisti che lo interrogavano – e in tanti ci chiedevamo preoccupati se la fine del mondo fosse prossima. Avremmo mai visto l’alba del giorno seguente? Cosa potevamo fare? Come potevamo controllare le persone che erano in procinto di annientarci?”. Sessant’anni fa quella canzone diede un pugno alla normalità del disimpegno e fece una carezza al dovere di impegnarsi perché il mondo fosse di pace e non di guerra. Dopo sessant’anni quella canzone è ancora attuale. Non la ricordate? Ecco, ve la propongo come meditazione proprio quando il calendario dice che dall’inizio della guerra di occupazione voluta dalla Russia contro l’Ucraina sono passati 230 giorni…
Dice la canzone:
“oh, dove sei stato, figlio mio dagli occhi azzurri?
oh, dove sei stato, mio caro ragazzo?
ho inciampato sul fianco di dodici montagne nebbiose
ho camminato e strisciato su sei strade tortuose
sono entrato nel mezzo di sette tristi foreste
sono stato di fronte a una dozzina di oceani morti
sono stato per diecimila miglia nella bocca di un cimitero
ed è una dura, ed è una dura, ed è una dura, ed è una dura
è una dura pioggia che cadrà
oh, cosa hai visto, figlio mio dagli occhi azzurri?
oh, cosa hai visto, mio caro ragazzo?
ho visto un neonato con lupi selvaggi tutti intorno
ho visto una strada di diamanti dove non c’era nessuno
ho visto un ramo nero con sangue che continuava a gocciolare
ho visto una stanza piena di uomini con i loro coltelli sanguinanti
ho visto una scala bianca tutta ricoperta d’acqua
ho visto diecimila persone che parlavano con le lingue spezzate
ho visto armi da fuoco e spade affilate nelle mani di bambini
ed è una dura, ed è una dura, ed è una dura, ed è una dura
è una dura pioggia che cadrà
e cosa hai udito, figlio mio dagli occhi azzurri?
e cosa hai udito, mio caro ragazzo?
ho udito il fragore di un tuono, urlava un avvertimento
ho udito il boato di un’onda che poteva sommergere il mondo intero
ho udito cento percussionisti le cui mani erano in fiamme
ho udito diecimila persone sussurrare e nessuno ascoltare
ho udito una persona morire di fame, ho udito molte persone ridere
ho udito la canzone di un poeta che è morto nel canale di scolo
ho udito il suono di un clown che piangeva nel vicolo
ed è una dura, ed è una dura, ed è una dura, ed è una dura
è una dura pioggia che cadrà
oh, chi hai incontrato, figlio mio dagli occhi azzurri?
chi hai incontrato, mio caro ragazzo?
ho incontrato un bambino accanto a un cavallino morto
ho incontrato un uomo bianco che faceva passeggiare un cane nero
ho incontrato una giovane donna il cui corpo bruciava
ho incontrato una giovane ragazza, mi ha dato un arcobaleno
ho incontrato un uomo che era ferito in amore
ho incontrato un altro uomo che era ferito dall’odio
ed è una dura, ed è una dura, ed è una dura, ed è una dura
è una dura pioggia che cadrà
oh, e cosa farai adesso, figlio mio dagli occhi azzurri?
oh, cosa farai adesso, mio caro ragazzo?
tornerò indietro prima che la pioggia inizi a cadere
camminerò nel profondo della più profonda foresta nera
dove le persone sono tante e le loro mani sono del tutto vuote
dove i proiettili di veleno stanno sommergendo le loro acque
dove la casa nella valle si incontra con l’umida sporca prigione
dove il volto del carnefice è sempre ben nascosto
dove la fame è brutta, dove le anime sono dimenticate
dove nero è il colore, dove niente è il numero
e lo racconterò e lo dirò e lo penserò e lo infonderò
e lo rifletterò dalla montagna così che tutte le anime possano vederlo
poi starò sull’oceano finché non comincerò ad affondare
ma saprò bene la mia canzone prima che inizi a cantare
ed è una dura, ed è una dura, ed è una dura, ed è una dura
è una dura pioggia che cadrà”.
Meditiamo, gente, meditiamo! Quel figlio dagli occhi azzurri chiede ancora di vedere sorgere pace e concordia…
LUCIANO COSTA