Se potessi e ne avessi competenza obbligherei i nostri politici (e forse allargherei l’orizzonte anche a quelli che girano intorno al mondo), a dedicarsi al curling, strano sport che ieri ha regalato all’Italia un’olimpica medaglia, qualcosa di assolutamente diverso dal solito correre-calciare-pedalare-tirare-colpire-centrare-bucare-nuotare-saltare-arrampicare-scivolare-pattinare-galleggiare-affondare o tirar palline da un campo all’altro, di certo un modo di impegnarsi che all’uso del muscolo associa l’uso dell’intelligenza (la sola arte adatta a stabilire che un lancio, una spazzata, un svirgolata oppure un soffio determinino la linea essenziale per conquistare il punto.
Fino all’altro ieri sapevo che lassù tra i monti esisteva questo passatempo imparentato col ghiaccio e di sicuro sebben lontanamente con il nostrano e paesano gioco delle bocce. Adesso, appena dopo le appassionate attese di risultati positivi provenienti dalla più stana e stramba olimpiade della neve mai andata in scena, so per certo che quel passatempo è ogni volta una lezione di stile, di pensiero, di azione coordinata, di intelligente ricerca di come quando e quanto spingere il sasso affidandogli il compito di recare punti e lieti messaggi di vittoria.
Ovviamente, ho anche appreso che il curling, detto anche “bocce su ghiaccio”, è uno sport di squadra nel quale si gioca su pavimenti ghiacciati e con pesanti pietre (stone in inglese) di granito levigate, dette semplicemente pietre, dotate di un’impugnatura che serve per spinta, volano e magico volante. I giocatori, suddivisi in due squadre, fanno scivolare queste pietre su un pavimento di ghiaccio verso un’area di destinazione, detta casa, contrassegnata da tre anelli concentrici. Le due squadre, ognuna composta da due o quattro giocatori, lanciano a turno le pietre con un effetto detto roteare (curl in inglese), grazie al quale la pietra percorre una traiettoria curvilinea. Ogni squadra ha a disposizione otto lanci per ogni intervallo (end in inglese) di gioco, in cui ogni giocatore lancia due pietre. Lo scopo del gioco è di accumulare, nel corso della partita, un punteggio maggiore dell’avversario. I punti si calcolano in base al numero di pietre più vicine al centro della casa alla conclusione di ogni mano. Una mano si completa quando entrambe le squadre hanno lanciato tutte le proprie pietre. Un gioco può essere costituito da dieci o da otto mani. La traiettoria curvilinea della pietra lanciata può essere ulteriormente influenzata dall’azione delle scope da curling, che vengono usate per abradere la superficie del ghiaccio di fronte al sasso alterandone le caratteristiche. Strategia e gioco di squadra determinano il percorso ideale e il posizionamento della pietra in ogni lancio; il compito della squadra è far sì che la pietra arrivi nel punto desiderato. Per la strategia e la tattica applicata questo sport è soprannominato “scacchi” sul ghiaccio”.
Ho letto all’alba quel che “Il Corriere della Sera” ha scritto a proposito di curling e l’ho trovato eloquente, addirittura illuminante. Secondo l’articolista “fino a ieri il curling lo si trattava come una bocciofila d’alta quota, passatempo per sedentari e pretesto per battute liberatorie: «Datti al curling!», «Oh, saresti scarso anche a curling!», «Dopo la medaglia d’oro nei cento metri, non ci resta che vincere quella del curling». Ed eccola qui quella medaglia. E’ al collo di una coppia dove si capisce subito che chi comanda è lei, Stefania che con Amos forma la coppia che ha stupito e appassionato. Stefania e Amos, due ventenni, e questo è già il primo colpo di scopa ai pregiudizi. Si può essere giovani e innamorarsi di uno sport che sembra un gioco per anziani ma non lo è, perché la boccia del curling si chiama stone, pietra, mica per caso: pesa oltre diciotto chili e per riuscire a spingerla senza perdere l’equilibrio bisogna avere cosce d’acciaio, forgiate da estenuanti serie di squat (esercizio multi-articolare considerato fondamentale nell’allenamento per dare massa e forza a cosce e glutei). E non basta muoverla bene quella pietra, se poi non le danzi davanti, spazzando freneticamente il ghiaccio per non farle perdere velocità. Si scivola e si cade di continuo, tanto che alla fine si è pieni di lividi. Altro che barzelletta. Il curling è sport vero per atleti veri e con una certa propensione al martirio. La vittoria olimpica gli consegna un’aura di sacralità che lo innalza immediatamente nella considerazione generale. Da oggi nessuno si permetterà più di fare battute sul curling. Il rovescio della medaglia – conclude l’articolista – è che i politici a caccia di “piace” a buon mercato si sono improvvisamente scoperti suoi grandi appassionati. Salvini, per esempio (così, per citarne uno), dice di averlo sempre seguito. Ma a giudicare da come scivola, non si direbbe che abbia imparato granché”.
Quanto all’obbligo di corsi di curling per i nostri politici, la motivazione della proposta è nella sostanza del gioco medesimo: non si si gioca in solitario; ogni lancio è la somma di intuizioni matematiche e di filosofia applicata al gesto; ogni corsa della pietra è un inno alla precisione; ogni spazzata davanti alla pietra che corre e scivola è l’aggiunta del tanto di umano sapiente necessario per raggiungere lo scopo; ogni posizione conquistata ubbidisce al progetto che prevede la costruzione finale di una casa (così si chiama il cuore da conquistare) degna d’esser abitata; si vince usando, però contemporaneamente e con assoluta coordinazione di tempi-azioni-voglia e intenzioni, testa, cuore, intelligenza, braccia e gambe. Tutto il resto verrà, sicuramente, di conseguenza.
Se le cose stanno così, la conclusione fatela voi. Vale a dire: mettete al posto dei giocatori di curling i politici – prima quelli più in alto e poi tutti gli altri – e invitateli ad applicare le regole del gioco alle loro quotidiane azioni. Se lo faranno vedranno subito che un Governo regge e governa soltanto con la consapevole partecipazione di chi gioca; che il Parlamento – nel gioco detto casa – è la misura della partecipazione attiva e non solo nominale degli eletti, quindi deputati alla gestione della res pubblica; che il Pese (nel gioco detto pista di ghiaccio) merita attenzioni, carezze e regole certe; che chi abita quel Paese, cioè noi, deve essere rispettato e amato; che le aggregazioni partitiche (il gioco non le prevede: lì servono soltanto unità, condivisone, servizio generoso e sacrificio costante) sono l’attimo (spesso solo fuggente) di una corsa elettorale mentre dovrebbero essere la somma di pensieri, riflessioni ed elaborazioni finalizzate alla gestione della Buona Politica; che i risultati positivi (in questo caso l’agognata medaglia d’oro) si conquistano insieme.
Provo allora a mettere Sergio Mattarella, il Presidente della Repubblica, al posto Stefania, la reginetta riconosciuta della partita giocata e Mario Draghi, il Presidente del Consiglio dei Ministri, al posto di Amos, il principe forzuto che le pietre le solleva e le lancia come se fossero piume da affidare al vento, ottenendo un quadro di sicuro affidamento e di rassicurante futuro. Poi: metto tutti gli altri (segretari di partito, capi di movimenti, addetti a manovrare gruppi e gruppuscoli) a scopare il ghiaccio insieme ai loro soci al fine di renderlo agevole alla corsa delle pietre appena lanciate. Quindi: mi siedo e aspetto di veder passare la Nave Paese che va spedita lasciando dietro di sé i resti di coloro che al bene comune (di tutti) hanno sostituito il loro. Infine: buon viaggio e buona partita a curlig. E che il buon Dio ce la mandi buona!
LUCIANO COSTA