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Da una parte la guerra, dall’altra la siccità…

Oggi è il trentaquattresimo giorno della guerra che la Russia ha scatenato contro l’Ucraina; la guerra è al centro dell’attenzione, polarizza discorsi, mette in circolo riflessioni e opinioni, deprime chi non riesce a capacitarsi dell’idiozia che la ispira e inebria coloro che tra le pieghe del conflitto intravedono la possibilità di “fare buoni affari”, ovviamente vendendo armi e non caramelle; la guerra è soggetto e oggetto del quotidiano tran tran; la guerra incupisce il pranzo, rattrista la cena, ammutolisce la colazione… Ieri, tra i libri accumulati e messi a riposare in un angolo, ne è sortito uno che raccontando la guerra del Vietnam (andata in scena negli anni settanta del Novecento, preistoria) metteva in evidenza come proprio il ritrovarsela in casa, grazie alla televisione allora ancora senza la comodità del telecomando, a colazione pranzo e cena spinse le masse popolari a riempire le piazze del mondo per urlare e chiedere che quella sporca guerra (sono tutte sporche le guerre) finisse e con lei finisse anche il disgusto di averla ospite fissa al desco famigliare. Allora un truce umorista disse che “non l’orror e il cannon, ma una spaghettata quieta e senza contorno di bombe e bombardieri rinnovò il piacere di stare seduti in pace”.

Oggi all’alba, dopo la quotidiana razione di brutte notizie servita con l’aggiunta di un filo di speranza desunto dalla possibilità che i negoziati in avvio in Turchia portino dritti alla fine delle ostilità, ho ascoltato il lamento degli agricoltori per i quali la guerra quotidiana è adesso la siccità. “In Italia non piove seriamente da oltre cento giorni e questo è il tempo della semina – diceva un addetto ai lavori -; rischio è di veder polvere dove invece dovrebbe esserci il verde dei prati e dei campi destinati a produrre frumento e mais. Brutta prospettiva…”. Tanto butta da far dire al vecchio coltivatore diretto che “qui la guerra si chiama siccità”.

Ha scritto un esperto: “La siccità non è un concetto astratto, ma un effetto concreto che viviamo ogni giorno. Per chi abita nel Settentrione si avverte nella secchezza delle mani, del contorno occhi, delle labbra, si respira aria più arsa e più inquinata a causa dell’assenza di pioggia. Per chi vive nel Centro-Sud addirittura si presenta con il razionamento dell’acqua potabile. Per tutti noi italiani, gli effetti di uno tra gli inverni più secchi degli ultimi 65 anni sono la crescita del costo di frutta e verdura al mercato, gli alberi spogli lungo le strade di città, i terreni inariditi nelle campagne e la difficoltà crescente dell’approvvigionamento energetico. In questo caso, non a causa della guerra in Ucraina, ma per la penuria idrica che coinvolge fiumi e laghi, dato che il 16% dell’energia nazionale arriva da fonti idroelettriche”.

I dati parlano chiaro: da dicembre a fine febbraio l’Italia ha ricevuto il 60% di neve e l’80% di pioggia in meno rispetto alla media stagionale. A gennaio, per esempio, i millimetri di pioggia rilevati erano stati solo 4,8 mentre nello stesso periodo in passato se ne stimavano in media 46: dieci volte tanto. All’assenza di precipitazioni si associa un fine inverno straordinariamente caldo: una media stagionale di 1.7° C in più rispetto al trentennio 1981-2010. Le temperature anomale hanno interessato soprattutto il Nord (+2.3°C) e in particolare il Nord-Ovest (+2.6°C): il caldo anomalo ha colpito particolarmente il Piemonte e la pianura veneta.

Siccità vuol dire meno acqua. Anche per arterie fluviali come il Po (e i suoi affluenti), nel cui bacino si produce il 40% del Pil nazionale e che contribuisce all’approvvigionamento idrico di 16 milioni di persone. L’8 marzo scorso il Grande Fiume ha registrato i livelli delle portate più bassi degli ultimi trent’anni. La situazione preoccupa perché questa è la prima volta che la sofferenza d’acqua inizia a fine inverno, quando terreni e falde acquifere si riforniscono in vista dell’estate. Non solo il Po: in Italia si assiste a un impoverimento idrico dei nostri fiumi principali come l’Adige, l’Arno e il Tevere.

Per chi pensa che il meteo planetario sia ciclico, e se piove meno prima o poi ci sarà una compensazione dal cielo, vale la pena ricordare che le alte temperature e la riduzione delle precipitazioni che alimentano la siccità attuale non sono casuali: l’Italia è uno dei Paesi più sensibili alle variazioni climatiche indotte dalla posizione nel Mediterraneo, un hotspot a livello mondiale. Un’espressione riferita alle regioni planetarie che si stanno riscaldando più rapidamente di altre.

La siccità cresce a causa del riscaldamento globale e interessa tutta la Terra. Secondo il Wwf, si stima che circa 4 miliardi di persone vivano già una grave carenza d’acqua per almeno un mese l’anno e che la popolazione globale esposta a siccità estrema dovrebbe aumentare dal 3% all’8% nel 21° secolo. È chiaro quindi che si tratta di un problema globale che ha bisogno di piani transnazionali, ma a livello locale la risposta alla siccità è molto semplice: tutelare l’acqua e usarla in modo più efficiente. Soprattutto in Italia. A livello individuale, infatti, qui ognuno di noi ne consuma di più di tutti gli altri cittadini europei: circa 220 litri al giorno. La sprechiamo anche nella distribuzione: tra acquedotti malmessi e reti fatiscenti, ogni cento litri immessi nella rete di distribuzione 42 non arrivano ai rubinetti delle case. Secondo l’Istat, recuperando queste perdite si potrebbe garantire il fabbisogno di acqua a circa 44 milioni di persone in un anno. Bisogna poi ripensare le coltivazioni e i metodi di allevamento. Lungo la Penisola italica il settore agricolo assorbe il 60% dell’intera domanda di acqua del Paese.

Intanto sono più di cento giorni che non piove e la situazione si fa sempre più critica. Da una parte la guerra, dall’altra la siccità. E la Pace? Forse domani. E domani, forse, tornerà anche la pioggia.

LUCIANO COSTA

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