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Dalla Russia senza more…

Giro panoramico sul mondo inquieto, irrequieto, tormentato, vilipeso, offeso, impaurito, sbandato, preoccupato di in un oggi che non ragiona e di un domani che resta invisibile e probabilmente sarà anche invivibile…. Rifletto su quel che ho sentito dire ieri da Putin, folle zar di una Russia che si sta auto-cancellando dal consesso mondiale, a proposito di uso della bomba atomica (“tanto – ha spiegato ai suoi gerarchi e fedelissimi – nel 1945 l’hanno usata per primi gli americani”) per difendersi dagli ucraini da lui trasformati in aggressori benché tutti sappiano che sono soltanto un popolo offeso e aggredito per sete di potere e di rivalsa contro ogni tentativo di marcare la divisione con chi, come lui, usa la violenza e la guerra come arma di persuasione.

“Quei territori sono nostri per sempre” ha detto. Però, su quale diritto fonda la sua pretesa non l’ha detto e non lo dirà mai, soprattutto perché non esiste diritto ma solo perversione e sete di potere se si va a invadere per soggiogare una nazione libera e democratica.  Putin l’ha fatto 220 giorni fa contro l’Ucraina. E continua a farlo nonostante le risoluzioni di condanna approvate dalle Nazioni Unite, incurante degli inviti alla ragione rivoltigli dal mondo, sordo alle invocazioni pressoché quotidiane di papa Francesco, refrattario a ogni parola che assomigli a quella che indica la via della pace, lontano dalla Ragione e da qualsiasi riferimento alle ragioni della politica, tronfio del suo potere e delle sue ricchezze, assurdo assertore dell’io e solo io… Che cosa possa ancora succedere nessuno lo sa.

Di certo l’Ucraina muore e la Russia si bea di questa orrenda sorte riservata a una Nazione colpevole di essere confinante, divenuta libera e democratica e perciò, agli occhi del dittatore, colpevole di alto tradimento, quindi da punire e da sottomettere così da impedirle di scegliere amici e alleati che non siano quelli da lui medesimo voluti e imposti. Continuo a chiedermi: ma che Russia è questa che osservo da lontano e che qualche anno fa, vista da vicino, mi era apparsa rinnovata, orgogliosamente aggrappata alla libertà ritrovata, felice di gridare a noi visitatori “democracia” intendendolo però detto all’italiana: “democrazia”?

Di sicuro non è quella cercata, immaginata, cercata e voluta dal coraggioso Garbaciov; neppure quella che di fronte alla caduta del muro di Berlino accettò di mettere la parola fine alla dittatura; neanche da lontano quella Russia che apriva le frontiere e accettava che i turisti stessero sulla piazza Rossa in compagnia di gente che voleva e desiderava assaporare le novità portate fin lì da occidentali abituati a vivere in libertà. Oggi quella che vedo da lontano è una Russia che non tornerei a visitare… Peccato, perché le notti di Mosca, a luglio e dicembre, erano davvero straordinarie, le facce dei russi che volentieri offrivano vodka sinceramente propense a farti sentire uno di loro, amico gradito e chiese, palazzi, monumenti, musei, parchi, stazioni della metropolitana, cupole, matrioske, anziani e anziane ciondolanti lungo il fiume quadri di vita emozionanti…

Oggi la Russia di Putin è l’opposto di un Paese Civile. E’ invece la Russia che usa il bastone contro i suoi dissidenti, che non vuole proteste, che non ascolta le voci che gridano libertà, che non vogliono la guerra, che chiedono pace per l’Ucraina e per tutti i popoli che vivono in quell’Est sconfinato… che vorrebbero finalmente guardare a un futuro degno d’essere vissuto, cioè libero, democratico, felice, impegnato a costruire e non a distruggere, orgoglioso di condividere ciò che la sua terra gli dona in abbondanza – grano, frumento, gas petrolio, materie prime essenziali e chissà quant’altro -, frutto del lavoro di uomini e donne, utilizzabile per il bene comune.

Forse, ma solo forse, accadrà domani o nel tempo che verrà e che ci sarà concesso.

Nel frattempo, la Russia di Putin, che usa gas e petrolio, grano e frumento, uomini e donne, giovani e vecchi, bombe e missili per fare la guerra, si mostra al mondo con la veste peggiore e al mondo riunito all’ONU (l’Organizzazione delle Nazioni Unite) dice “nessuno ci può fermare”. Difficile dire, dopo quel che è successo alle condotte sottomarine (guasto, sabotaggio, atto terroristico inventato o subito non si sa: accuse incrociate, nessuna verità) se nel Baltico il gas tornerà a scorrere e a portare il necessario per riscaldare popoli e nazioni.

Ieri la nostra Europa unita e libera, pur preoccupata per ciò che sta accadendo e che sta subendo a causa dell’intransigenza russa a qualsiasi invito al dialogo e alla pace, non è stata capace di lasciare da parte i singoli egoismi per sottoscrivere un patto in grado di mettere fine al ricatto del gas proveniente dalla Russia di Putin il folle e così porre le basi necessarie per un ritorno alla normalità. Oggi alcuni quotidiani e commentatori italiani, a proposito delle divergenze registrate tra i ventisette dell’Unione Europea, titolano, parlano e insistono su quella che definiscono “la nuova sconfitta del presidente del Consiglio Mario Draghi”, dimissionario, in carica per svolgere gli affari ordinari e per consegnare ai nuovi arrivati le redini del Paese.

“La politica, in questo Paese –ha scritto ieri Fabrizio Roncone – è una burrasca continua, il bene e il male si sovrappongono, diventano spesso indistinguibili, e tutti ci siamo rassegnati ad andare comunque avanti, senza farci troppe domande, senza voltarci… Invece, servirebbe fermarsi per guardarsi indietro e pensare un’ultima volta che siamo stati capaci di rinunciare a un premier come Mario Draghi, che siamo stati capaci di questo…  Non possiamo derubricare una follia così a semplice incidente del destino… È purtroppo vero che Draghi, con uno stillicidio quotidiano di stupide richieste, insolenze e vigliaccherie, lo hanno costretto ad andarsene. Lui, il più bravo, quello che i potenti del pianeta ascoltano e talvolta temono…”.

A quale futuro stiamo andando incontro? La risposta è singola. La speranza che sia un buon futuro, costruito nella pace e nella concordia, qui come altrove, è di tutti.

LUCIANO COSTA

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