Dare per avere, avere per dare…

Se sia più importante la politica, oppure la salute e le disgrazie, ma anche le guerre, o la disperazione di uomini e donne in fuga, la tracotanza dei governanti, o le chiese (cattedrali, sinagoghe, moschee, templi, cappelle e qualunque altra cosa adibita a culto), le varie e variopinte religioni, la spocchia dei potenti o l’aridità e avidità dei ricchi, per non dire della dabbenaggine petulante dei poveri… ecco, se sia tutto ciò importante e addirittura determinante non lo so e nessuno probabilmente lo sa. Però, da quasi sempre i temi son quelli attorno ai quali, salvo eccezioni riservate ai morti ammazzati, ai disastri e alle tragedie, ruotano i titoli di giornali e media. La prevalenza di un tema piuttosto di un altro è casuale, però sempre e comunque direttamente proporzionale alle idee di chi dirige la struttura informativa.

Una fonte importante di notizie degne d’essere commentate, piaccia o dispiaccia, sono gli apparati cattolici in cui giornalisti, massmediologi, notisti, editorialisti, studiosi e professori cercano quella porzione di verità (voleva dire cercano la Verità, ma anche in questi ambiti è meglio non esagerare e neppure dato per scontato che Essa stia da una parte piuttosto che dall’altra) degna di avere un posto preminente nel quotidiano svolgersi dell’umana avventura. Da due anni a questa parte la notizia attorno alla quale ruotano il giorno e la notte, è quella di un virus fatto di morti, di sopravvissuti e di vivi, di cure e di vaccini, pieno di obblighi da assolvere e di speranze da coltivare, arricchito dalle certezze della scienza e dall’insipienza di chi crede di poter sbrigare da solo la faccenda.

Oltre il virus c’è posto per tutto il resto, incominciando con la politica che fa-disfa-ricuce-propone-dispone dibattendosi in un groviglio di guai che la rissosità dei politicanti non aiuta certo a sgarbugliare, proseguendo con guerre-ammazzamenti-disgrazie-tragedie-sommosse-invocazioni, aggiungendo cronache dettagliate su convegni-summit-conferenze-riunioni dedicati a salvare quel che resta della madre terra, finendo con l’inevitabile conta dei fondi necessari (e invece solo parzialmente disponibili) per cambiare la situazione e l’altrettanto inevitabile invocazione rivolta a chi può, di mettere a disposizione anche solo il suo superfluo.

Ieri un commentatore esperto ha scritto che “anche dove si cercano soluzioni onorevoli o anche solto onorevoli compromessi, ricchezza e povertà si scontrano, ricchi e poveri si guardano ma i primi non vedono i secondi e i secondi ritengono i primi usurpatori di beni che dovrebbero essere di tutti”. Sempre ieri, a margine di un dibattito estemporaneo dedicato al “provvedere ai bisogni di chi da solo non ce la fa”, sono emerse le solite argomentazioni: perché i poveri restano sempre poveri? perché non si danno una mossa per partecipare direttamente al mercato del lavoro? perché ai poveri non si danno i necessari mezzi per non sentirsi sistematicamente poveri? perché chi è ricco lo è sempre di più e perché chi non ha è destinato ad avere sempre di meno?

Questioni fondamentali, ma neppure tanto nuove. Nel 1765, ad esempio, tale Antonio Genovesi, occupandosi dell’impiego di poveri e vagabondi, iniziava le sue “lezioni di economia civile” in questo modo: “In ogni paese vi è, dove più, dove meno, sempre un dato numero di poveri, e di mendicanti. Se si potessero far entrare nella massa de’ lavoratori e de’ renditori, si farebbero due beni. I) Si accrescerebbe la rendita generale della nazione. II) E si farebbe un gran servizio al buon costume. Perché molti de’ mendicanti sono in grado di lavorare meglio, che ogni altra persona; e la maggior parte, dove non trovano a vivere di limosine, vivono di furto. La massima adunque del minimo possibile degli oziosi, massima fondamentale in economia, deve farvi pensare tutti i politici”.

A duecentocinquantasei anni di distanza, tra i ragazzi e i giovani che anche ieri gridavano al cielo “vogliamo salvare la terra”, c’era chi, alla maniera del fu Antonio Genovesi, suggeriva di mandare poveri, migranti, disperati, malfattori, nullafacenti a lavorare per il bene comune ottenendo in cambio quel salario minimo, o reddito di cittadinanza altrimenti lasciati cadere nel mucchio senza ottenere nulla in cambio. Credo che per salvare la terra e chi la abita dal degrado a cui l’abbiamo sottoposta non serva patteggiare quel che si dà rispetto a quel che si riceve in cambio…

LUCIANO COSTA

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