Le firme a sostegno di un referendum che stabilisca la fine del divieto di coltivare e usare cannabis – una droga, una delle tante, non certo una medicina – sono arrivate puntuali e subito messe in vista per significare che gli italiani “sono finalmente maturi” e capaci di decidere da soli se, come e quando “farsi una canna”. Non ho dimestichezza con simili riti, appartengo cioè a quella minoranza che fortunatamente e certo non per meriti acquisiti, non ha provato l’ebrezza dello sballo. Ho però più volte ascoltato e interrogato gli esperti sul fenomeno, sui rischi connessi e sugli ipotetici ed eventuali benefici. “Fenomeno inventato – mi hanno detto in coro -, dato che si tratta di un uso che altera la normalità degli individui e che arreca danni gravissimi; rischi palesi e sempre gravissimi; benefici inesistenti sebbene vi sia chi ritiene l’esaltazione momentanea prodotta dalla droga la dimostrazione della sua potenza”. Ho anche più volte chiesto ai giovani presi nel vortice della droga, trovati per strada o cercati nelle comunità terapeutiche di recupero (quella organizzata da don Redento era l’insieme più azzeccato di utopia e di medicina; quella della suora pazzerella un’isola impervia ma salutare e benefica; quella di San Patrignano una roccaforte civile…) di spiegare le loro ragioni e le loro paure ricevendo risposte spesso agghiaccianti, del tipo “non sapevo che farmene della vita e allora ho sfidato l’impossibile, quell’aldilà in cui tutto era facile e ammesso…”, oppure orientate al “del mio cervello e delle mie vene ne faccio quel che mi pare…” a cui seguiva l’immancabile invito a girare al largo e a farsi “i c…. tuoi”.
Oggi come ieri tra le pieghe di articoli e parole emerge il dato allarmante: troppa droga e troppi che si drogano. Che fare? “Liberalizzare…”, dice qualcuno; “responsabilizzare…” dicono altri; “punire è l’unica soluzione…” sentenziano in molti. Qualche anno fa fece scalpore lo slogan che diceva “drògati e sai che cosa può capitarti”. I mezzi di informazione, oggi forse con meno forza di ieri, non risparmiano notizie sui “drogati”, famosi e non, e sui danni che le polverine, l’erba, la paglia, le punture e le pasticche possono provocare. Notizie, abbondanti, anche sulle retate, le perquisizioni e le indagini effettuate dalle Forze dell’Ordine. Il tutto con dovizia di argomentazioni, alcune sociologiche, altre mediche, altre ancora semplicemente giustizialiste… Alle argomentazioni tecniche appartengono le spiegazioni relative alle droghe sintetiche – quelle che si producono miscelando vari elementi chimici facilmente reperibili in drogheria o tra gli alambicchi che completano il gioco del “piccolo chimico” -, sempre e comunque bombe innescate, sempre più simili alle parole che si usano per scrivere e per titolare quel che poi deve essere pubblicato.
Se vi va di provare a giocare con titoli e parole, cercate tutto ciò che si riferisce al pianeta droga e mescolatelo: ne vedrete delle belle. Provando il gioco mi è capitato di vedere lo storto come se fosse dritto, il male come se fosse bene, le droghe (cannabis, ecstasy, crak, cocaina, eroina, amfetamine varie, alcool e chi più ne ha più ne metta) tal quali a pasticche e iniezioni medicamentose. Invece il risultato era una poltiglia gelatinosa, orribile a vedersi almeno quanto orribile da trangugiare, un insieme di affermazioni che mettevano in risalto l’assurdità di una comunicazione preoccupata soltanto di regalare ai giovani evasioni a buon mercato, ma terribili. Se vi interessa, giocando a mescolare titoli e sottotitoli ottenni una sintesi, che ancora custodisco, utile a dimostrare la superficialità che aleggiava dentro e fuori le pagine della comunicazione. Ho riletto quella sintesi e sebbene scritta ieri l’ho trovata ancora attuale. Quindi ve la propongo come piccola e laica meditazione sul pianeta droga e sue vicinanze…
Diceva:“Testimonial anti-droga cercasi”, ma “non sono un guru, sono un artista”; dunque “toglietemi tutto, ma non il mio…” orologio, soprattutto perché importante è “viaggiare alla velocità della mente”, sicuri di evitare “necrologie e partecipazioni”, convinti che “crescere fa parte delle nostre radici”, sempre che le radici affondino in “sesso, web e ironia”; e se non sei convinto ecco “un corso autodidattico multimediale per raggiungere con successo i tuoi obiettivi”, “alla faccia dei timidi”, tanto “non c’è nulla di cui vergognarsi”, infatti “la sensualità del ballo, il toccarsi, il sudare insieme sono elementi di dolcezza che sfidano il soprannaturale”; allora “che aspetti ad andare in rete?”. “Non cercare paragoni”, “non pensarci su”, ragazzo “chiama il numero verde” e sentirai, “nel dramma del silenzio” che “non ha funzionato”, che tutti “si giocano il futuro” tra “insulti e tanti fischi”. Ammettilo, affermalo, gridalo: “Qui ci rimetto solamente io” e “brividi e felicità” sono soltanto “sorrisi&striscioni”; siamo “asini” senza “valore aggiunto”, abitanti di “killing zones” false, “mentitamente danzanti e musicali”, nelle quali non si è “coccolati dentro”, dove si è solo parte di “un’avventura alienante”, dove è facile fare “boom”; ragazzo, “non rispondere con un rifiuto”, “il maltempo semina morte” e “neanche il dolore ferma gli sciacalli”; ragazzi, “scatenatevi con i giochi”, datevi “regole dal volto umano”, non fate vincere “la linea della disperazione” altrimenti, tutti insieme “rischiamo la distruzione di una generazione”, diventiamo “giovani-zombie” ai quali sarà negato “credere nel futuro”; e se “per l’ultimo vuoi un evento esplosivo” ecco la “fiction”, ecco “un viaggio”, oppure un “reality”… Ma se tutti fossero solo “zone di buio fra tanti fasci di luce”, che fare? “Non occorre essere aquile per capirlo”…
Fine del paradosso e anche del gioco. Ora, se volete, giudicate. Ma per non essere “tutti morti ad un passo della salvezza”, piuttosto che affidarsi al referendum pro cannabis, sarà il caso di andare di nuovo “tutti in piazza contro le droghe”, qualunque sia il nome con cui vengono pubblicizzate.
LUCIANO COSTA