Dopo quasi due mesi, giusto il tempo per disputare il campionato mondiale in Qatar, senza Italia ma con tanti italiani ugualmente disposti a schierarsi per i loro occasionali beniamini, è tornato ieri il campionato più intrigante che ci sia, in cui tutto e il contrario di tutto è possibile. Sembrava tutto nelle mani di un Napoli scatenato e invece ieri ecco che l’Inter sgambetta gli euforici napoletani rimettendo in discussione il loro dominio. Non solo: rifioriscono il Milan e anche la Juventus se la cava. Il resto è tutto nella normalità. Siccome il calcio e il suo campionato non mi scaldano più di tanto (ho un debole per la Juve, è vero, ma è più memoria che affetto), leggo volentieri la storia centenaria della Juventus messa in prosa da un valente commentatore. “Quest’anno calcistico – ha scritto – è quello del centenario del regno juventino sotto il casato degli Agnelli”, che sono i veri reali d’Italia, innamorati del calcio e dei bianconeri fin dal 1923. “24 luglio 1923 è la data fatidica, il giorno in cui il cavaliere Edoardo Agnelli, dottore in legge, diventa presidente della società bianconera subentrando a Gino Olivetti” scrivono Italo Cucci e Nicola Calzaretta nel volume dedicato all’evento (1923-2023 Agnelli Juventus. La famiglia del secolo). Quel Gino Olivetti, undicesimo presidente della Juventus (fondata nel 1897) al quale successe Edoardo Agnelli – figlio del senatore Giovanni, il padre patron della Fiat – era a sua volta il fondatore di Confindustria, nato da genitori ebrei che per sfuggire alle leggi razziali riparò in Argentina, dove morì nel 1942. Ma questa è un’altra storia. Mentre, tornando a Edoardo, il primo rampollo degli Agnelli che prese in mano la Juventus, questi lo fece su imbeccata della classe operaia. Fu infatti il difensore vercellese Antonio Bruna, tesserato per la Juventus e tuta blu alla Fiat (con tanto di permesso per allenarsi con i bianconeri firmato dal senatore Agnelli) a sobillarlo con la lusinga e a dirgli: “Avvocato Edoardo, sarebbe un grande onore averla come presidente”. E così, a 31 anni, il vicepresidente della Fiat e delle officine di Villar Perosa, da sempre la seconda casa bianconera, da uomo di sport, appassionato di calcio e motori, oltre che di viaggi, si mise al timone di quella che con il tempo e le gesta gloriose dei suoi campioni sarebbe diventata la Vecchia Signora del calcio italiano.
Dicono gli storici e annota il cronista del tempo che “Edoardo assunse la carica con lo spirito battagliero in stile Ford, cioè abituato ad ingranare subito la quarta”, Infatti, comprende che il calcio italiano ha bisogno di accelerare come i maestri inglesi, di uscire quindi dal grigio dilettantismo e puntare a una solare dimensione professionistica. Per cominciare, costruisce un nuovo stadio e subito dopo ingaggia uno stratega di panchina proveniente dall’allora nobile scuola ungherese, tale Jenò Karoli. Il mister magiaro portò in dono a Torino il fuoriclasse Ferenc Hirzer, il capitano dell’Ungheria. Tutti gli uomini del Presidente operativi in Sudamerica gli recapiteranno poi dei pezzi pregiati per la sua nuova officina bianconera: gli oriundi Orsi, Monti, Cesarini che andarono ad affiancare i talenti nostrani Combi, Rosetta, Calligaris e Munerati. Uno squadrone capace di conquistare cinque scudetti di fila nel lustro d’oro 1930-’35 (solo la Juve del terzo millennio, guarda caso sotto Andrea Agnelli, ha fatto meglio, con 9 titoli consecutivi su 36 complessivi anche se gli juventini ne rivendicano 38).
Ed è qui che origina il leggendario “stile Juventus” della Fidanzata d’Italia: “Sempre uguali i dirigenti, sempre fedeli i soci, sempre uniti i giocatori, mai troppo lodati, mai troppo rimproverati, in quest’ambiente vi è una cosa: l’educazione non solo sportiva, ma anche sociale”. Era di luglio il giorno in cui quello stile venne introdotto da Edoardo Agnelli e sempre a luglio, del ‘35, il Presidente volò nel mondo dei più: morto a bordo di un idrovolante ammarato all’idroscalo di Genova, insieme al pilota Ferrarin. Aveva 43 anni l’Avvocato senior, l’età più o meno in cui l’Avvocato jr, Giovanni (secondo dei sette figli che Edoardo ebbe con la moglie, l’americana Virginia Bourbon del Monte, principessa di San Faustino), chiuse il tempo delle mele e dell’ozio da dolce vita per dedicarsi all’azienda motoristica della dinastia e anche alla Juventus, che di fatto aveva ereditato da orfano adolescente.
“Il nonno di cui portava il nome – racconta il giornalista – e che lo aveva eletto a nipote prediletto, quando aveva 15 anni gli disse che la Juventus ti vorrebbe nel suo consiglio direttivo…”. Il Senatore gli stava regalando il giocattolo domestico e l’Avvocato assunse la presidenza per il settennale 1947-’54, conquistando due scudetti. Alla festa del suo primo tricolore, stagione 1949-’50, prese parte anche il “geometra” Pietro Rava, uno dei ragazzi del ‘38, campione del mondo con la Nazionale del tenente degli Alpini Vittorio Pozzo. Il suo nome per sempre sarebbe rimasto nella storia azzurra… Però, con poca fortuna e scarsa gratitudine. Tanto è vero che anche la Vecchia Signora, così nobile e atteta alla forma, si scordò di lui, che sedotto e abbandonato confessava: «Ho amato la Juve al punto da sacrificare anche la mia vita privata. Se la domenica si perdeva, al lunedì si stava in casa. Eppure la società quando ho smesso non ha fatto nulla per me…”.
Eppure la Juventus degli Agnelli, quanto a storia e tradizione non ha eguali da noi. Nel ’55 quando l’Avvocato si smarca dal ruolo di presidente lascia oneri e onori al fratello Umberto che, nell’altro settennale al comando, 1955-’62, può contare su Giampiero Boniperti, capitano di lungo corso e bomber scaltrissimo, capace di farsi pagare dall’Avvocato il bonus-gol in “vacche grasse” (da uomo del contado di Bomporto sapeva selezionare scegliendo solo quelle gravide) per la disperazione del fattore di corte. Boniperti nel periodo di Umberto Agnelli presidente vince 3 dei 5 scudetti conquistati in una carriera da “una maglia una vita”, orchestrando a centrocampo una squadra che aveva il suo terminale stellare nel funambolico antenato di Maradona, l’argentino terribile Omar Sivori e il gigante buono gallese, John Charles. Sivori è stato il primo Pallone d’oro juventino che ha aperto una strada lastricata di gloria agli altri campioni dell’era Agnelli che ha visto altri aurei campioni omaggiati da France Football: Paolo Rossi, Michel Platini, Roberto Baggio, Zinedine Zidane, Pavel Nedved e Fabio Cannavaro.
E con Cannavaro, l’azzurro bianconero campione del mondo nel 2006, l’anno dello scandalo di Calciopoli e la retrocessione in B della Juventus, si interrompe bruscamente la saga degli Agnelli. Lo stile Juventus che era stato difeso e sbandierato in tutto il suo splendore e in tutto il mondo nel ventennio (19711990) della presidenza dell’uomo di fiducia, Giampiero Boniperti, era stato svenduto al sistema Moggi. Il potente “Big Luciano” dal 1994 al 2006 ha fatto le fortune e le tregende processuali del club bianconero condannato all’inferno dei cadetti, da dove però era tornato più forte e vincente di prima. Ora l’ultima bella epoque bianconera, quella di Andrea che si è appena conclusa lascia delle ombre che sono al vaglio della giustizia e riaprono la pagina oscura della “maledizione” degli Agnelli.
Una maledizione che passa attraverso la vita splendida e luminosa, ma con un finale assai triste e solitario come è stata la parabola dell’Avvocato. Morto nel 2003, almeno gli è stata risparmiata l’onta della B, ma Gianni Agnelli se ne è andato con lo strazio di un padre che nel 2000 aveva dovuto riconoscere il cadavere del figlio, il 46enne Edoardo, ritrovato sotto il ponte di Fossano. Suicidio o morte di un Agnelli suicidato? Il mistero rimane. È sicuro invece che quello stile Juve è finito con l’uscita di scena della figura carismatica e assai piena di stile dell’Avvocato, con la sua erre moscia, la cravatta sul pullover e l’orologio sul polsino… Con la morte di Gianni Agnelli (seguita un anno dopo da quella del fratello Umberto) si chiudeva anche il cerchio della “maledizione degli Agnelli” che per eventi tragici ha il suo corrispettivo solo con quella dei Kennedy. Una scia luttuosa iniziata con la morte accidentale dell’Avvocato senior e poi proseguita con la fine precoce di Giovannino, figlio di Umberto e fratello di Andrea, destinato a diventare il leader assoluto della real casa e che invece nel 1997 morì stroncato da un male incurabile a soli 33 anni. E allora, nei giorni di inchieste e accuse sulla presunta “malafinanza”, il tifoso bianconero può solo consolarsi rileggendo questa storia straordinaria della Juventus degli Agnelli, che anche sotto la nuova regia di John Elkann – il favorito del nonno, l’Avvocato – ha mantenuto nel suo dna il principio base dello stile della Vecchia Signora, che recita perenne: “Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta”.
E ieri la Juventus ha di nuovo vinto rimettendosi così in corsa verso la vetta. Chissà…
(A cura di LUCIANO COSTA)