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Democrazia da rigenerare

Il rischio è che la campagna elettorale si trasformi in una sorta di corsa a chi le spara più grosse e a chi quelle sparate se le beve senza neppure chiedersi se siano potabili. La promessa delle cure dentali gratuite per gli anziani, sentita ieri, è solo una parte delle sparate. Preceduta dalla promessa per pensioni minime a mille euro per tutti, quella del dentista a gratis mi è sembrata una battuta forse degna del peggior cabaret ma indegna per la massa di anziani interessati e ancora una volta esibiti come merce di scambio in una partita assurda quanto può essere assurda la pretesa di dare credibilità a chi promette la luna, un bene fuori portata e quindi non commerciabile, in cambio di un voto. Purtroppo, soprattutto in tempo di corsa elettorale, non esiste etica e le regole democratiche si dissolvono come neve al sole. Quindi, tutto è possibile anche che si affermi esattamente il suo esatto contrario. C’è poi la presunzione di conoscenza e di partecipazione ragionata assegnata al popolo elettore. Ma è una finzione, appunto qualcosa di presunto senza prova. La realtà risiede invece nell’ignoranza che continua a caratterizzare gran parte se non addirittura la maggioranza del popolo elettore: crede di conoscere i meccanismi che regolano la politica, ma non va mai al di là di ciò che gli appare davanti alla punta del suo naso; immagina di essere attore protagonista della democrazia, ma non muove un dito per dare forma, sostanza e credibilità a quella democrazia; pensa alla politica come servizio ma consente ai furbi di servirsi della politica per il suo tornaconto. Tutto questo rende precaria la democrazia e incerta la sua applicazione. Domani, alla conta dei voti, qualcuno si vanterà dei risultati conseguiti senza merito e li presenterà quali frutto della democrazia che ai cittadini permette di scegliere come vuole e come crede.

Secondo la Commissione delle Settimane Sociali (un organismo rappresentativo di varie realtà cattoliche e non, che fin dall’istituzione ha lavorato per favorire il confronto e l’incontro di forze diverse) “le elezioni che ci aspettano il 25 settembre potranno essere un’opportunità di crescita civile, economica e sociale nella misura in cui consentiranno l’emergere di una classe politica rinnovata che abbia come insegna e guida i doveri e le responsabilità verso il bene comune e la ferma determinazione a rispondere, con coraggio e onestà, alle sfide del Paese e del pianeta. La qualità della vita e dell’ambiente nei prossimi anni e per le prossime generazioni si giocano già adesso. Non lasciamoci trovare distratti e impreparati a questo appuntamento, ma scegliamo con responsabilità e discernimento quanto più serve al bene comune del Paese e dell’umanità”.

Per arrivare preparati all’appuntamento elettorale servirebbe però “rigenerare la democrazia”. Vale dire: rileggere la sua storia, ripensare ai sacrifici consumati per renderla parte viva della società, opporsi alla sua manipolazione, favorire conoscenza e comprensione, fare in modo che sia sempre di tutti e per tutti. Di questa democrazia compiuta e di tutti ha parlato l’altro ieri il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella partecipando alla celebrazione del centenario dell’assalto, avvenuto tra il 27 e il 28 luglio 1922, alla Centrale delle cooperative di Ravenna. Evitando qualsiasi riferimento alla anomala campagna elettorale estiva appena iniziata, il Capo dello Stato ha pronunciato parole che pesano, non solo come rievocazione. Mattarella ha invitato a non dimenticare la “pagina di violenza, di devastazione e di morte” che avrebbe portato “alla perdita della libertà per gli italiani, con l’avvio della stagione buia della dittatura fascista”; ha ricordato a tutti che “la libertà di cui godiamo, la democrazia che è stata costruita, l’uguaglianza e la giustizia che la Costituzione ci prescrive di ricercare sono tutte figlie di una storia sofferta e di generazioni che le hanno conquistate con dolore, sacrificio, impegno”; ha ribadito che la democrazia “nasce da questa diffusa coscienza della responsabilità di ciascuno nella difesa delle comuni libertà”.

L’assalto alla Centrale delle Cooperative di Ravenna, dice la storia, rappresentò “il furore dell’ideologia fascista” contro ogni realtà ritenuta non in sintonia con il volere del capo. Per questo Nullo Baldini, deputato socialista e protagonista del cooperativismo di lavoro “fu portato a forza fuori dall’edificio che venne dato alle fiamme” e Filippo Turati, “che aveva deciso di provare la strada di una coalizione antifascista” contravvenendo al divieto di dialogo con i partiti “borghesi”, venne espulso dal Partito socialista, allora già asservito al duce. Questa mancata collaborazione fra le “forze costituzionali e popolari” portò, come esito, ricorda la storia, alla caduta del governo. “Il fascismo – avvertì Musolini con un discorso minaccioso – dirà tra poco se vuole essere un partito legalitario, cioè un partito di governo, o se vorrà invece essere un partito insurrezionale, nel qual caso non solo non potrà più far parte di una qualsiasi maggioranza di governo, ma probabilmente non avrà neppure l’obbligo di sedere in questa Camera”.

Rileggendo la storia Sergio Mattarella ha sottolineato anche l’importanza del movimento cooperativo, che “è stato ed è un soggetto della democrazia economica, un vettore di progresso, un protagonista, insieme ad altri, di quel sistema produttivo e di servizi plurale che ha reso la nostra economia una delle più avanzate al mondo”. Però, ha ammonito il Presidente, “quando le formazioni intermedie vengono compresse, costrette al silenzio, è l’intera impalcatura delle libertà e dei diritti che viene compromessa”. Per evitare il crollo ecco allora la necessità di rigenerare la democrazia, di renderla viva e vissuta, di portarla al popolo perché il popolo si senta parte di essa e non soggetto di elargizione di consenso.

Nel mezzo di queste sfide si avverte il rischio che i partiti politici si allontanino ancora di più dalla concretezza della vita e dei problemi delle persone, delle comunità e del Paese. Una perdita di contatto che rischierebbe di far deragliare la comunicazione politica, strumentalizzando quegli stessi problemi per semplici fini di propaganda e di polemica elettorale, presentando visioni e soluzioni semplificate di problemi necessariamente complessi. Nutrire la campagna elettorale con promesse tanto altisonanti quanto impossibili da mantenere significherebbe alimentare la delusione degli elettori e, dunque, provocare una ulteriore disaffezione di molti cittadini dalla partecipazione alla vita pubblica e alla cura del bene comune.

E’ questo che vogliono gli italiani?

LUCIANO COSTA

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