Mattarella presidente. Applausi, per favore.
Il diario presidenziale chiude i battenti salutando la rielezione a Presidente della Repubblica di Sergio Mattarella. Speravo questa soluzione, la ritenevo la risposta più appropriata ai furbi che delle schede di votazione per il presidente volevano farne certificati di garanzia per la loro vanagloria. E ci sarebbero riusciti se e come i peones (il popolo bue usato come carne di pronta consumazione) li avessero seguiti con cieco furore e disprezzo assoluto del buon senso. Invece, qualcosa ha interrotto i conciliaboli e rimesso al centro noi (italiani arrabbiati), l’Italia (Paese straordinario ma disprezzato, spesso sottovalutato, in crisi sistematica di credibilità e di identità) e il Presidente che negli ultimi sette anni ha garantito unità, decoro, visibilità, credibilità, rispetto, amore per il popolo, sicurezza e certezza di futuro. Adesso non mi interessa più dare conto delle chiacchiere andate in onda, spifferate negli androni dei palazzi, sussurrate nei vicoli, sbrodolate tra amatriciane-cacio e pepe-abbacchio e puntarelle. Adesso mi interessa dire a Mattarella “grazie per la comprensione di nuovo usata verso un Parlamento smarrito, incerto, preda di giochi perversi, succube di caste partitiche incapaci di vedere e di accorgersi che il bene comune non era certo equivalente al bene da loro agognato.
Sì! Grazie, Presidente Mattarella! Grazie per l’umiltà con cui, di fronte alle difficoltà, si è rimesso a disposizione dell’Italia e degli italiani. E grazie, Presidente, anche per quel grazie pronunciato alle 21.30 di oggi, 29 gennaio 2022, in risposta alla comunicazione ufficiale della sua rielezione. Dicendo “grazie per la fiducia che in questi giorni difficili, segnati dall’emergenza sanitaria, economica e sociale mi avete riservato”, sottolineando come questa fiducia derivi dal “senso di responsabilità”, necessario se si vuole fare il bene del Paese e ribadendo con serenità e fortezza “il rispetto per le decisioni del Parlamento”, Lei ci ha detto che non ci si può sottrarre al dovere di servire l’Italia e gli italiani, di fare il bene comune, di assicurare la dignità a chiunque. Lei, soprattutto, ci ha assicurato impegno per interpretare le attese e le speranze dei cittadini. Era questo che volevamo sentirci dire, per questo le siamo grati.
Auguri, Presidente!
LUCIANO COSTA
P.S. – Ho scritto questo pezzo appena dopo la proclamazione di Sergio Mattarella quale nuovo Presidente della Repubblica. Ho messo in pagina emozioni e riflessioni. Ho tralasciato invece di raccontare l’uomo, il cittadino, il politico, l’amico, l’educatore, il consigliere e il consolatore. Eppure, in tempi diversi e in occasioni diverse mi capitò di raccontarlo. Come sette anni fa, appena dopo la sua elezione, quando per “Bresciaoggi” scrissi questa nota (che pubblico così come l’ho ritrovata nel personale archivio), che letta stasera sembra fatta apposta per salutare il rinnovato e atteso evento mentre è chiaro che venne scritta il 3 febbraio 2015…
…esattamente sette anni fa
Sergio Mattarella è il nuovo Presidente della Repubblica. È piaciuto a tanti, dispiaciuto ad una sparuta minoranza, non votato, per mero calcolo politico, da una fetta consistente ma mai decisiva di elettori e grandi elettori. Di lui, ufficialmente si sa quello che la “navicella” – l’enciclopedia dei parlamentari – racconta; ufficiosamente, invece, tutto è noto, anche la marca di spaghetti che preferisce. Eppure, lui sfugge a qualsiasi sommaria etichettatura. Le pagine della sua storia raccontano la passione politica maturata ancora giovanissimo, i legami con la famiglia, la comunanza di idee con il fratello Piersanti (barbaramente assassinato dalla mafia, che non sopportava quel suo modo pulito e schietto di intendere il servizio dovuto alla gente e allo Stato), gli anni di impegno silenzioso al fianco di Aldo Moro, il suo “non ci sto” messo in campo per non sottomettersi alle logiche della partitocrazia; la sua uscita dai palazzi della politica, il suo ritiro in Sicilia e poi, quel ritorno fatto vestendo l’abito del costituzionalista al posto di quello del politico di ruolo. Qualche storico nostrano ha già fatto l’elenco dei suoi passaggi a Brescia e dintorni, tutti discreti e mai degni di cronache e fotografie; altri lo faranno.
Per chi invece l’ha conosciuto, senza per questo sentirsi in dovere di pretendere un posto nell’elenco degli “amici”, Sergio Mattarella resta il professore silenzioso e schivo, però capace di esternare un malessere usando il bisturi della parola tagliente. Rimane il politico buono e disponibile, ma pronto a raccomandare all’amico ministro di non fidarsi troppo del buon esito delle dimissioni presentate senza avere in tasca il debito riscontro; la persona riconoscente, di quella riconoscenza che alla gioia del grazie sa aggiungere il dovere, anche doloroso, del ricordo; l’educato ospite ospitale, fino al punto di aprire la sua casa agli amici e di attrezzarla per essere alternativa ad una cena post “serata dell’amicizia”, organizzata in casa di uno dei potenti politici palermitani più chiacchierati e certo non in sintonia con le “ragioni della politica” che lui e il suo amico Mino Martinazzoli andavano sostenendo. Era il 1986…
(…) Tutto questo, e molto altro, è Sergio Mattarella, politico di lungo corso cresciuto alla scuola di Aldo Moro, in perfetta sintonia con Mino Martinazzoli, di cui ricalcava il fare “mesto e riguardoso”, segno di rispetto per chi era accanto e mai di supponente distacco. Sergio Mattarella era con Mino quando si trattò di sbattere la porta in faccia all’Andreotti (allora Presidente del Consiglio) che, ignaro o informato, di fatto avallava il pasticciaccio delle frequenze televisive; era con Mino per consigliargli di tenere per sé, ben custodita, copia delle dimissioni da Ministro che si apprestava a mandare, tramite un commesso del Parlamento, al Presidente del Consiglio; era con Mino quando dovevano scegliere, in un momento tumultuoso, di far cadere il Governo votandogli contro oppure di restare “a latere”, dimissionari ma non contrari, lasciandogli proseguire la corsa. Allora, insieme a Mino, ascoltò Ciriaco De Mita – sicuramente attrezzato per affrontare qualsiasi sottigliezza procedurale – prospettare gli scenari che il voto contrario avrebbe spalancato. Con Martinazzoli, Sergio vide gli “amici” – come Virginio Rognoni e Clemente Mastella – uno accettare di essere Ministro (e proprio nel dicastero reso libero dalle dimissioni del bresciano: alla Difesa) , l’altro rimanendo dov’era, come se nulla fosse accaduto.
Più in là nel tempo, quando Martinazzoli accettò di fare il segretario della DC sperando in una rifondazione che tanti ritenevano “umanamente impossibile”, Sergio Mattarella restò tra i suoi fedelissimi: come lui convinto “popolare”, come lui sicuro che l’approvazione del documento che sanciva il passaggio al “Partito Popolare” fosse inoppugnabile (tutti alzarono la mano per approvare; però, appena dopo, qualcuno si preoccupò soltanto di spartirsi il simboli per dar vita all’alternativa), come lui sognatore di un popolo certamente non più “democristiano”, ma almeno “popolarmente cristiano”. Mino, dopo quel “tempo incerto e malevole”, si disimpegnò dai riti romani e divenne il “grande” anche se inascoltato annunciatore e difensore delle “ragioni della politica”. Sergio rimase in politica, anche se ormai la politica era diventata qualcosa di ben diverso da tutto ciò che aveva sognato. Mino e Sergio continuarono ad essere “amici veri”: corti di chiacchiere e convenevoli, larghi di pensiero e di “ragioni” (della politica) da difendere.
Sergio Mattarella tornò a Brescia per partecipare al funerale dell’amico Mino Martinazzoli. Più di un cronista televisivo tentò di avvicinarlo; lui restò silenzioso, attento soltanto alle parole che venivano pronunciate dal vescovo celebrante. Alla fine, prima di andarsene, rispondendo ai saluti accettò di ricordare, purché le parole rimanessero tra amici, cioè lontane dalle cronache. “Di Mino – disse – mi mancherà il pensiero che riusciva ad indicare la strada senza per questo pretendere di essere assoluto; mi mancherà quel suo modo di interpretare le ragioni della politica, che per lui non erano un’ipotesi, ma la conseguenza di una dedizione assoluta al bene comune”. Disse anche tante altre cose il buon Sergio. Anche che tutti, da lì in avanti, saremmo stati più poveri. Poi, nascondendo la commozione e obbligando la lacrima a farsi da parte, riprese il cammino solitario verso la sua Sicilia.
Poi, più in là nel tempo, esattamente sei mesi dopo la sua elezione a Capo dello Stato, mi capitò di scrivere di un piccolo-grande libro che racchiudeva pensieri e lezioni di Sergio Mattarella educatore. Era la fine di agosto del 2015 e Morcelliana, editrice storica di Brescia, lo offrì come testimonianza di un impegno che continuava, questa volta lontano dalla didattica ma ben posato sul Colle più alto e difficile del Pese, ladove si posa il Quirinale. Riletta adesso, amplifica il pensiero del Presidente e lo rende straordinariamente utile per i giorni che verranno, quando non basterà l’io ma servirà il noi per andare oltre gli ostacoli.
Crescere insieme: non l’io ma il noi…
Arriva oggi in libreria (25 agosto 2015) un volume che regala conoscenza – conoscenza di un politico diventato Presidente della Repubblica, di un uomo che ha misurato il peso della sofferenza, di un cristiano consapevole della difficoltà di tradurre la Parola in parole e gesti solidali, di un professore esperto di umanesimo – e spinge a riflettere sul dovere di “crescere insieme”. Il libro, edito da La Scuola, riassume e amplia il pensiero non di un cittadino qualsiasi, ma del “cittadino” Sergio Mattarella, da un anno Presidente della Repubblica e prima politico al servizio della democrazia, servitore dello Stato, compagno di viaggio di una schiera di persone – tra queste sicuramente anche Mino Martinazzoli – che sognavano un’Italia migliore e migliore perché abitata da cittadini uguali per diritti e per doveri. Le pagine raccontano vicende e riassumono pensieri, regalando sfaccettature di storie che pochi conoscono e ricordano…
Quando nel 1992 Mino Martinazzoli, fresco segretario della Democrazia Cristiana, gli affidò la direzione de “Il Popolo”, il quotidiano del partito, lo pregò innanzitutto, di tentare almeno di far crescere una nuova classe politica, giovane e motivata, a cui i valori non sembrassero orpelli, bensì fedi da difendere e proporre. Sergio Mattarella, cosciente che allora, in quel momento di transizione e di crisi profonda era grave restare “una pietra inerte”, accettò mettendo in campo l’utopia del dialogo e del confronto, immaginando che ciò e non altro – come sottolineò anche all’atto della sua nomina a Presidente della Repubblica – fosse la via per arrivare “a sentirsi responsabili gli uni degli altri, a diventare cittadini dediti a perseguire la realizzazione di se stessi, insieme con quella del prossimo e della collettività”.
Studioso di diritto, politico pensoso almeno quanto lo era l’amico che gli aveva chiesto di smettere i panni del mite siciliano e di indossare quelli feroci e chiari di “direttore” di un popolo in cammino ma disorientato, cattolico mai intransigente però ostinato nel mettere “prima il vangelo” e non la sociologica convinzione che, in fondo, basta affidarsi alla politica per trovare soluzioni buone per tutti, Mattarella scrisse pagine e “fondi”, probabilmente condivisi, almeno alcuni, con Mino Martinazzoli, che delineavano percorsi e scelte a cui in tanti riconoscevano validità e consensi, ma che pochi onoravano con sincere applicazioni. Ciò avveniva quando il politico siciliano era già stato Ministro dei Rapporti col Parlamento (1987-1989) e della Pubblica Istruzione (1989-1990) – incarico abbandonato, insieme ai colleghi Martinazzoli, Misasi, Fracanzani e Mannino, per protestare contro il voto di fiducia imposto da Andreotti sulla legge Mammì, quella che di fatto diede il via all’impero televisivo e mediatico berlusconiano -, cioè quando erano diventati irrespirabili i venti della grande crisi politica destinata a gettare scompiglio nelle istituzioni e ad affossare i partiti.
La storia di quegli anni “orribili” in cui inchieste e manette si mischiavano e si confondevano è stata raccontata e commentata con dovizia di particolari. Pari attenzione, invece, non è mai stata posta nelle pagine scritte da personaggi che pure misero il loro talento e la loro vita al servizio del Paese. Di Martinazzoli, ad esempio, tanto è stato detto e si dice sul suo senso della politica e sulla sua strenua difesa delle ragioni della politica, ma troppo poco sul suo modo di fare politica come consigliere comunale e provinciale, come sindaco e presidente della Provincia, come deputato e senatore, come difensore delle Istituzioni e dello Stato. Allo stesso modo, di Sergio Mattarella, da un anno Presidente della Repubblica, tanto si dice di alcune sfaccettature del suo corso politico (è l’uomo della riforma elettorale passata alla storia come il “Mattarellum”, è il Ministro che ha abolito la leva obbligatoria) ma poco del suo modo di intendere, con la veste di Ministro, la Pubblica Istruzione dell’intero Paese.
Ben venga allora questo “Crescere insieme”, libro dell’Editrice La Scuola da oggi in libreria, che allinea gli scritti che Sergio Mattarella ha dedicato alle questioni educative e scolastiche nel corso della sua attività politica, in particolare come Ministro della Pubblica Istruzione. Luciano Pazzaglia, insigne professore e storico, antepone agli scritti di Sergio Mattarella cento pagine in cui riassume “l’itinerario politico di un cattolico democratico” e delinea in maniera straordinariamente chiara e precisa il suo impegno politico tra “scuola, giovani e società”. Si tratta di cento pagine illuminanti, da cui emerge un “Presidente” certo “mite e silenzioso”, ma non sordo e neppure muto; in cui si scopre un politico certo “minuzioso e rispettoso” di ogni risvolto costituzionale, ma mai distante dal vissuto quotidiano dei cittadini e neppure disattento alle vicende del Paese; attraverso le quali si scopre che l’umana avventura del politico divenuto Presidente della Repubblica non è dissimile a quella di ciascun abitante di questa bella e sottovalutata Italia.
Per chi guarda alla politica come via di redenzione e alle ragioni della politica come viatico al malessere esistenziale, questo “Crescere insieme” si propone come lettura quotidiana, buona per rendere il giorno migliore di quello che l’ha preceduto. “Studiare insieme, vivere insieme un’esperienza di classe, di comunità, di studio – scrive Sergio Mattarella – mi ha aiutato a comprendere le esigenze, i problemi, le attese degli altri. Questo mi ha fatto capire – aggiunge – che si cresce se si cresce insieme, ci si realizza se ci si realizza insieme; che si è davvero liberi, liberi dall’ignoranza, liberi dal bisogno, liberi dalla violenza se liberi sono anche gli altri”. Rileggere, oppure affacciarsi appena adesso alla loro lettura, gli scritti del politico, dello studioso, ma anche del giovane impegnato nell’Azione Cattolica durante il Concilio Vaticano II; rivedere le riflessioni su testimoni come Alcide De Gasperi e Roberto Ruffilli, l’amico Leopoldo Elia o il fratello Piersanti, oppure il filosofo Jacques Maritain; riflettere sui minuziosi rapporti dedicati alla condizione giovanile in Italia, alla riforma delle elementari o alla questione dell’insegnamento religioso… tutto questo, pagina dopo pagina, offre la possibilità di scoprire un Mattarella “nuovo”, sconosciuto ma non per questo meno importante e decisivo nelle vicende che hanno interessato e interessano questo nostro Paese.
Se interessa capire il valore del crescere insieme – ma anche del “Crescere insieme” condensato nel bel volume -, sarà il caso di ritagliarsi il giusto tempo per leggere le centottanta pagine che lo compongono e per riflettere sull’importanza del “noi” rispetto al solito “io”.