Disperati del mare e del marciapiede

Due notizie diverse una dall’altra, entrambe portatrici di riflessioni non semplici. La prima riguarda i disperati del mare, uomini donne e bambini in fuga dalla miseria e soltanto desiderosi di un posto dove abitare e sentirsi sicuri; la seconda i disperati dei marciapiedi, milioni di bambini e bambine senza famiglia e casa che la loro vita sono costretti a viverla sui marciapiedi delle città o nelle favelas brasiliane. Una va in scena ogni giorno nel grande Mare Nostrum, l’altra sui marciapiedi di città, paesi e villaggi del grande Brasile, tutte e due raccontano miserie e soprusi inarrestabili.

Prima notizia – Secondo un recentissimo rapporto dell’agenzia Onu per i migranti, almeno 1.146 persone sono morte nel tentativo di raggiungere l’Europa via mare nei primi sei mesi del 2021. L’ultimo aggiornamento conferma quello che è sotto gli occhi di tutti: il sistema di cattura dei migranti in mare – il mare Mediterraneo definito da papa Francesco “il più grande cimitero d’Europa” – produce più stragi e non garantisce il minimo rispetto dei diritti umani. Un dato su tutti.: nel 2020 i morti nello stesso periodo sono stati 513; quest’anno sono più del doppio. Questo significa che la probabilità di morire in mare, soprattutto a causa dei mancati soccorsi, è più alta che mai. L’analisi dei dati mostra infatti un aumento dei decessi unito a insufficienti operazioni di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo e sulla rotta atlantica verso le isole Canarie, e in un momento in cui anche le intercettazioni al largo delle coste nordafricane sono in aumento”. Così, si legge nel rapporto, “almeno 741 persone sono morte sulla rotta del Mediterraneo centrale, mentre 149 hanno perso la vita attraversando il Mediterraneo occidentale e 6 sono morte sulla rotta del Mediterraneo orientale, dalla Turchia alla Grecia. Nello stesso periodo, circa 250 persone sono annegate tentando di raggiungere le isole Canarie in Spagna sulla rotta atlantica dall’Africa occidentale. Oltre l’ufficialità dei dati restano “centinaia di casi di naufragi invisibili” segnalati dalle Ong, estremamente difficili da verificare ma lì per indicare che le morti sulle rotte marittime verso l’Europa sono molto più alti di quanto mostrino i dati ufficiali disponibili.

Per il secondo anno consecutivo sono anche aumentate le operazioni di intercettazione da parte degli stati nordafricani lungo la rotta del Mediterraneo centrale. Purtroppo, queste operazioni di intercettazione sono spesso condotte senza alcun rispetto per i disperati e per le norme internazionali. In questo modo oltre 15.300 persone sono state rimpatriate in Libia nei primi sei mesi del 2021, quasi tre volte di più rispetto allo stesso periodo del 2020 (5.476 persone). Un dato preoccupante “perché – denuncia l’agenzia Onu – i migranti che vengono rimpatriati in Libia sono soggetti a detenzione arbitraria, estorsione, sparizioni e tortura”.

Seconda notizia – La storia è racchiusa in un film intitolato Dear Child, intenso, duro, profondo e al tempo stesso impregnato di speranza che racconta la vita di un missionario e dei suoi ragazzi, i suoi meninos de rua per i quali ha dedicato e continua a dedicare tutta la vita, senza risparmio di energie. Il film ha ricevuto numerosi riconoscimenti in Italia e a livello internazionale. Tra questi il più significativo è il Best Film Unicef 2021. “Per l’Unicef — si legge nella motivazione — un bambino è un bambino, non fa differenza dove nasce o cresce, perché ha gli stessi insindacabili diritti e merita le giuste opportunità”.

Il film è ambientato nella Casa do Menor fondata da padre Chiera nella Baixada Fluminense, una grande, sofferta e violenta periferia di Rio de Janeiro, ma poteva benissimo essere ambientato nella Casa des Criancas di Pacotì, periferia di Fortaleza, la capitale del nord-est brasiliano, dove Lieta Valoti, una donna bresciana che da oltre quarant’anni, con spirito Piamartino, assiste, cura e ama bambini e bambine di strada, semplicemente disperati provenienti da quella terra desolata.

“La più grande tragedia — ha detto padre Renato Chiera ai cronisti — non è essere poveri, è non essere figli, non sentirsi amati”. Lieta Valoti, invitata a raccontare il suo mondo, mi ha confidato di sentirsi “semplicemente mamma di migliaia di bambina e bambini colpevoli di essere nati nella miseria piuttosto che in paesi e villaggi cosiddetti normali”. Se interessa, Lieta lasciò il suo paese dopo aver conseguito il diploma magistrale per quella che doveva essere una comune vacanza. Allora incontrò il mondo variopinto di un Brasile che al samba e alla alegria univa il dramma dei bambin i costretti a vivere sui marciapiedi, al margine della società. Tornò a casa per il tempo necessario a spiegare ai genitori che la sua vita voleva viverla tra quei bambini e bambine costretti a vivere senza certezza di vita. Lieta ripartì e sostenuta dalla solidarietà di tanti ha regalato speranza e certezza di vita a migliaia di ragazzi e ragazze altrimenti destinati a scomparire.

Dear Child, il film che ha ispirato la connessione tra disperati del mare e disperati del marciapiede, è un’immersione in un mondo di emarginazione e di abbandono sconosciuto per molti e “può scuotere le coscienze e muovere all’azione”. Per aiutare la volontaria, i bresciani hanno inventato Operazione Lieta, un’associazione basata su gocce mensili di solidarietà, benefiche e ogni volta destinate a regalare speranza a bambi i e bambine sfortunati.

Padre Chiera e la volontaria Lieta Valoti sono la dimostrazione che “l’amore vince la violenza”. Semmai, ha confidato il regista del film, “tutto quello che dobbiamo fare è amare”. Semplice? No, difficilissimo. Infatti “quello che è difficile è imparare come amare”. Qui e altrove, ovviamente.

LUCIANO COSTA

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