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Disposti a tutto per vincere… E poi?

“Disposti a tutto per vincere”: lo ha detto ieri Putin, il folle zar che da 348 giorni fa la guerra all’Ucraina e al mondo che aiuta l’Ucraina a difendersi dall’invasore, il capo di una Nazione che meriterebbe rispetto e che invece riceve solo ordini a cui è obbligata sottomettersi, il guerrafondaio che mangia bombe a colazione, missili a pranzo e cannonate a cena. Sempre ieri, ma senza dirlo apertamente, ha messo lo stesso concetto in cima alle sue decisioni il Consiglio dei Ministri approvando senza remore il decreto legge sulle autonomie regionali, portato fin lì da Calderoli (………), a suo modo di vedere frutto di pensieri ripensati e rimuginati, a modo di vedere di altri solo un fritto misto scadente di pensieri non pensati e neppure pesati. Poi, per la serie “disposti a tutto per vincere”, ecco l’alzata di spalle del Governo (un modo poco elegante per dire non mi interessa) come risposta alla decisione del Consiglio Europeo che imponeva la cancellazione, o radicale modifica, del decreto anti-immigrazione messo in circolo con troppa disinvoltura e certo non in linea con i canoni imposti dal diritto internazionale.

 

A proposito di “autonomia differenziata”, leggendo stamani quel che Diego Motta aveva scritto e pubblicato ieri, ho trovato conferma del tradimento ordito contro il vecchio detto secondo il quale “le differenze sono una ricchezza”. Questo perché il progetto diventato decreto legge, lungi dall’essere unitario, così come è stato approvato, è invece elemento divisorio e di contrasto. “Sono soprattutto le zone che non hanno addosso i riflettori della cronaca – scrive Diego Motta – a chiedere da tempo che si illuminino i problemi veri: la mancanza della scuola per i propri figli, l’azzeramento dei trasporti locali, fosse anche solo lo scuolabus degli studenti, la scomparsa di presìdi sanitari indispensabili, dal punto nascita agli ospedali, che prima c’erano e adesso non ci sono più, a causa magari di cattive economie di scala”. E’ l’immagine di “un Paese fatto di città e di tante “aree interne”, di piccoli Comuni, di milioni di cittadini che stanno vivendo sulla propria pelle il disagio di una stagione difficile; è un’Italia che rivendica, per usare una parola che va molto di moda, una propria sovranità e vorrebbe risposte all’altezza”. Si è deciso invece di andare di corsa, quasi a passo di carica, su questo tema e la fretta con cui si è arrivati all’approvazione “fa affiorare più di un dubbio sulla bontà del provvedimento, quasi si dovesse pagare un dividendo alla Lega, il principale sponsor dell’autonomia differenziata. “D’altra parte – scrive il notista -, la disinvoltura con cui questo partito è passato dalla sbandierata “secessione” degli anni Novanta alla successiva “devolution” (il decennio dopo) fino a un più mite neo-federalismo è un elemento che fa pensare”. Ora si parla di “Lep”, i Livelli Essenziali di Prestazione, si dibatte su spesa storica e costi standard, si ragiona di un fondo perequativo per evitare iniquità tra diverse aree territoriali…

Non si ragiona e neppure si discute, invece, sull’Italia che non ce la fa. Questa Italia la racconta Gian Mario Ricciardi mostrando l’esistenza di “un’altra Italia che cammina sulle nostre stesse strade, e ci riguarda. Perché siamo noi, tanti di noi. Non è l’Italia che guarda le polemiche e le passerelle politiche, né cerca il meglio di tutto (auto, vestiti, cibo) o va alle prime della Scala. Non vive i week-end riempiendo osterie, pizzerie, ristoranti ed enoteche (fenomeno tutto da decifrare perché affolla i locali una-due volte la settimana soltanto). No, l’altra Italia la si vede, sempre più spesso, controllare con certosina pazienza gli scontrini di negozi e supermercati dopo la spesa gonfiata dall’inflazione. È quella dei prof (o delle bidelle) che vengono dalla provincia o dal Sud e non ce la fanno a vivere nelle metropoli del Nord. È l’Italia che ai mercati rionali controlla il peso di verdura e altro, per fermare l’acquisto sotto una certa cifra perché andare oltre è proibitivo. O, semplicemente, la si vede nei  cestini porta-pranzo sempre più numerosi: soprattutto accanto alle borse di giovani e signore che così al lavoro, nello stacco, evitano di spendere di più per mangiare portandosi qualcosa da casa. Ma la si vede anche nelle cabine sempre più “belle” di camion e furgoni che la pausa pranzo la fanno in qualche area-sosta lungo le statali per ridurre le spese.
È un’Italia di persone con un lavoro e una normale vita sociale, che ci testimoniano quanto sia stato eroso il ceto medio. Ed è una vita low cost, che nel pasticcio sociologico della “società liquida”, compresa e descritta da Zygmunt Bauman, cercano un percorso di sopravvivenza. È gente che, per fortuna, pur assediata dalla propaganda e dalla pratica del secolarismo e del relativismo più assoluti, spesso prega. Prega Dio”.

 

Ciò non toglie che “la tempesta perfetta – cioè guerra fin nella casa europea, energia alle stelle, inflazione a due cifre, materie prime care e carenti – crei problemi a tutti. Di più alla (vecchia) classe media, quella, per intenderci che ha costruito negli anni 60-80 il miracolo italiano. Gli stipendi sono inchiodati da dieci anni (solo quelli della gente comune, quelli dei manager no), l’ascensore sociale s’è inceppato da anni, l’incertezza del futuro e il Covid hanno fatto il resto. E’ vero siamo il paese nel quale le famiglie con casa di proprietà sono tantissime, ma anche quelle dove la precarietà regna sovrana e nella quale l’incertezza e le difficoltà economiche possono più facilmente stroncare una vita: basta andare, all’ora di pranzo, nelle mense e alla cittadelle della carità… Per fortuna c’è tanta gente con un cuore grande che non ha paura di aiutare gli altri. Questa però è un’altra pagina. “Quella che si legge in questi mesi – conclude Motta – è invece diversa: l’altra Italia appunto, quella che non ha risparmi in banca, né in Btp, né in azioni e obbligazioni. Non va in pizzeria né in palestra né dall’estetista. Invece, ogni giorno annota entrate e uscite per far quadrare il bilancio e non dover chiedere aiuto ai genitori (magari ormai in pensione) per pagare bollette e mutui. Questa è l’Italia che ha più bisogno di speranza. Perché vedere contrattare un pezzo di pane non fa solo male al cuore, ferisce l’anima e incide nella carne tanti, troppi punti interrogativi che ancora non trovano risposta”.

 

Per superare questa situazione servirebbe essere tutti disposti a tutto pur di vincere. Invece, quel “disposti a tutto per vincere” è speso e commercializzato per la guerra e per battaglie politiche buone per fare facciata, ma prive di buon senso.

LUCIANO COSTA

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