L’altro ieri a Barbiana, come altre volte, per ricordare don Lorenzo Milani, prete scopo e scomodo amico per tanti, non per chi ha condiviso e amato il suo modo di annunciare il Vangelo e di parlare alla gente, ai giovani, ai primi e agli ultimi della classe, agli operai e ai contadini, ai professori e ai maestri, ai politici e ai sindacalisti… Il 27 maggio ricorreva il centesimo anniversario della sua nascita. Ricordare ha significato rimettere al centro il suo pensiero, il suo essere prete di strada, un prete che voleva servire Dio radicalmente e lo voleva fare servendo la gente che gli era stata affidata. Don Lorenzo è stato sacerdote e maestro: sacerdote chiamato a rinnovare il mistero del pane e del vino che diventano cibo di salvezza; maestro per coloro che essendo esclusi dal sapere, il sapere necessario lo cercavano sui banchi della scuola, unica e grandiosa, fatta nascere dal nulla nella canonica e parrocchia di Barbiana, nel desolato Mugello, tra cielo e terra in cui era difficile vivere e sopravvivere. Quella era anche la scuola del Pipetta, un giovane comunista che a don Milani diceva “se tutti i preti fossero come lei, allora…” ricevendo in cambio una risposta che non ammetteva compromessi. “Il giorno che avremo sfondato insieme la cancellata di qualche parco, installato la casa dei poveri nella reggia del ricco – diceva don Lorenzo -, ricordati Pipetta, quel giorno ti tradirò, quel giorno finalmente potrò cantare l’unico grido di vittoria degno di un sacerdote di Cristo, quello che dice beati i poveri perché il regno dei cieli è loro. Quel giorno io non resterò con te, andrò invece a pregare per te davanti al mio signore crocifisso”.
Per ricordare, è essenziale «far parlare lui», è necessario sottrarre la sua figura da «interpretazioni» più o meno fedeli del suo pensiero. Rosy Bindi, un passato politico in cui ha messo cristianesimo e impegno civile in pari misura, chiamata a presiedere il comitato per il centenario della nascita del priore di Barbiana, invitata a ricordarlo, non ha esitato a definirlo “uno di quelli che il Vangelo prima di annunciarlo lo ha messo in pratica e sperimentato sulla sua pelle”. Invitata a ricordare, Rosy Bindi ha messo nelle parole la forza del credere, l’impeto dell’impegno, la grandezza del fare senza nulla chiedere, la soddisfazione del mettersi a disposizione dell’ultimo viandante… Tutto per “riconsegnare all’Italia un grande italiano, riconsegnare un grande credente all’intera comunità ecclesiale”.
Nell’intervista che pubblichiamo – omaggio e memoria di don Lorenzo -, Rosy Bindi, che ha conosciuto il prete di Barbiana, esplora il mondo di Barbiana e lo propone all’attenzione di chi, distratto, s’è perso per strada.
Cosa può dare questo centenario al Paese e alla Chiesa?
L’essenziale è che la Chiesa e la Nazione italiana dedichino un po’ del loro tempo a rileggere la sua opera e accogliere il suo messaggio. Far parlare don Lorenzo senza fermarci solo alle frasi famose. Questo rende ragione a tutti coloro che non l’hanno mai dimenticato. C’è una vivacità dentro le scuole, le parrocchie, nelle associazioni: nonostante non sia stato compreso da tutta la comunità ecclesiale e civile, c’è una continuità nella trasmissione della sua testimonianza.
Don Lorenzo può andare oltre una generazione che si è ispirata a lui?
Per la mia generazione don Milani è stato un colpo al cuore sul piano ecclesiale e civile, un maestro qualificante della nostra formazione e delle nostre scelte di vita. Rileggerlo dopo tante esperienze personali ha reso il suo messaggio ancora più attuale e profetico, capace, con la sua radicalità, di interpellare anche i ragazzi di oggi. Soprattutto su un punto: don Milani ha saputo coniugare l’obbedienza vera alla Chiesa, dimostrata in concreto accentando anche qualche ferita, con la capacità di rimanere coerente sulla necessità che la Chiesa fosse più fedele al Vangelo. Per questo lui è stato obbedientissimo e scomodissimo…
La scelta dei poveri parla al presente?
È stata una scelta incondizionata: con i poveri don Milani ha davvero condiviso tutta la sua vita. Proveniva da una famiglia benestante, colta, cosmopolita e ha letteralmente spezzato i suoi privilegi con chi non aveva nulla. Senza il dono di tutta la sua ricchezza culturale e spirituale non sarebbe stato così importante per i suoi ragazzi. Questo ci interroga molto. Come Chiesa, che costantemente deve chiedersi se davvero sta mettendo i poveri al centro; come comunità civile, che deve saper vedere le povertà crescenti e anche l’involuzione di una scuola che esclude e non include.
Cosa c’era dietro la sua grande opera?
Una grande sete di giustizia, che ha tradotto in una visione politica riassunta nel motto “I care” opposta al “Me ne frego”. Il suo non era soltanto un gesto isolato di carità. Credeva nella forza liberante della Parola, istruzione e cultura erano fattori di uguaglianza e giustizia. La crisi della scuola non è solo crisi dell’istituzione, ma anche delle famiglie che non ritengono prioritarie per i loro figli “la cultura e la parola”. I nostri genitori si sono tolti il pane di bocca per farci studiare, oggi abbiamo tassi di dispersione espliciti e impliciti altissimi…
Restano però interpretazioni discutibili del pensiero di don Milani. Perché?
La sua scuola era molto esigente: a tempo pieno, senza vacanze e senza ricreazione. Una scuola che includeva tutti e metteva ciascun allievo in condizione di crescere. Don Milani va dunque depurato dalla caricatura della “scuola facile” o dalla macchietta del prete comunista, del prete rosso. Nella lettera a Pipetta usa parole durissime verso il Pci. Perciò è necessario rileggerlo tutto, don Lorenzo. Per capire che la sua storia è di tutti, non di una parte.
Che cosa direbbe don Milani di questi tempi di guerre, di pandemie…
Sul tema della pace e della guerra basta ricordare che don Lorenzo è morto da imputato per aver difeso gli obiettori di coscienza e per aver scritto una lettera ai cappellani militari in cui affermava, insieme ai suoi ragazzi, di non aver trovato nella storia d’Italia una sola guerra giusta. Non è poco e impone riflessioni non casuali.