CINQUE OPERAI, il più giovane aveva 22 anni il più grande 52, un treno merci che deve fare il suo corso, una comunicazione forse sbagliata e la tragedia invece certa: i cinque operai sono morti. Un’altra tragedia sul lavoro. E’ avvenuta alla stazione ferroviaria di Brandizzo in provincia di Torino l’altra notte. Ieri la notizia è stata al centro di quotidiani, telegiornali e radiogiornali e immancabili talk show. Poca pietà per i morti, molta curiosità attorno ai morti, immancabili parole sprecate sulle cause: umane, tecniche, colpevoli, innocenti? Chissà. Su tutto le parole del presidente Sergio Mattarella (che ha accantonato gli impegni fissati per andare sul luogo della tragedia per confortare, assicurare la vicinanza dello Stato, piegare le ginocchia per una preghiera di suffragio) e di papa Francesco (in viaggio verso la Mongolia, “dove il silenzio insegna a scoprire nuovi orizzonti”, ma vicino col pensiero e con la preghiera alle famiglie delle vittime). Francesco, rispondendo alle domande dei giornalisti che lo accompagnano nel pellegrinaggio, ha parlato “di mancanza di cura nei confronti del lavoro e di chi lavora” ed ha ribadito che “il lavoro è sacro, da amare e rispettare, da valorizzare e proteggere…”. Il Presidente Mattarella, di fronte al luogo della tragedia, dopo un attimo di silenzio e di profonda commozione, ha detto che “morire sul lavoro è un oltraggio ai valori della convivenza”.
A CAIVANO, dove si è consumato il duplice stupro di gruppo contro “le cuginette innocenti”, la premier Giorgia Meloni, sempre ieri, è andata per dire che “lo Stato c’è” e che “non rinuncia alla sua funzione di garante di sicurezza”, ma forse anche per capire in quale contesto nascano orrori. Alla dine, tra sguardi spesso indifferenti e grida lontane per ricordare al Capo del Governo il dramma di chi è stato privato del reddito di cittadinanza, una promessa: “Da Caivano deve partire un impegno per le tante Caivano del nostro Paese – ha affermato la Premier -, e qui lo Stato, con i suoi ministri, sarà presente per verificare che i progetti siano realizzati”. Ma sarà il tempo che inesorabilmente scorre a dire se le parole pronunciate in quella fetta di terra scossa da violenze e quasi dimenticata avranno fondamento.
SEMBRAVA CHE IL DRAMMA delle famiglie senza fissa dimora fosse solo altrove, invece ecco che il Regno Unito – la ricca Gran Bretagna alias distaccata Inghilterra – lo sta misurando sulla sua vetusta pelle. E così la domanda – “dove le mettiamo? – assilla i sindaci e i consiglieri comunali che, ovunque in Inghilterra, faticano a gestire il numero sempre più alto di famiglie in difficoltà. Secondo le statistiche pubblicate a fine luglio dal Ministero per le politiche abitative, sono più di centomila quelle che negli ultimi mesi hanno perso la casa e chiesto una sistemazione temporanea. I bambini costretti a vivere in alberghi, ostelli, bed and breakfast, soluzione arrangiate per strapparli alla strada, sono almeno 125mila. Numeri così non si vedevano da vent’anni. È lo specchio della crisi che morde. E’ l’effetto dell’onda lunga innescata dall’uscita dell’Inghilterra dall’Unione Europea. Difficile districarsi tra problemi che assumono toni diversi ogni giorno. Adesso, di sicuro, l’aumento del tasso dei mutui ha costretto molti proprietari a rivedere i costi degli appartamenti in affitto se non addirittura a venderli. Gli inquilini a basso reddito si sono così ritrovati senza alternative accessibili con stipendi già erosi dal carovita. Messi, semplicemente, alla porta. I dati del ministero segnalano che il numero degli sfratti disposti per arretrati non pagati è aumentato in un anno del 123%.
INTANTO, OCCHIO AL CALCIO, che ha ripreso il suo corso e s’appresta a campionati già di per sé urlanti, e ai suoi tanti tantissimi difetti. Tra questi quello delle parolacce – alias, bestemmie – che la mano portata alla bocca non nasconde mai del tutto. Un’intelligente nota di Massimiliano Castellani, pubblicata qualche giorno fa da “Avvenire”, mette il dito nella piaga e mette in guardia sul pericolo che siffatto linguaggio possa rimanere allegramente impunito. Scrive Castellani: “Leggenda trigoriana narra che, l’allora mister della Roma, Zdenek Zeman, vedendo il giovane Francesco Totti che non firmava l’autografo a un bambino riprese sfumacchiante il suo giocatore dicendogli: «Un giorno, quando sarai vecchio e i tifosi non ti cercheranno più, rimpiangerai di non aver fatto felice quel bambino». Se Zeman qualche giorno fa fosse stato allo stadio, avrebbe sussurrato lo stesso suggerimento al presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis che ha maltrattato il piccolo tifoso “seccatore” che, accompagnato dal genitore, chiedeva semplicemente di poter fare un selfie con uno dei suoi idoli. Al pressing, neppure asfissiante, il cine-presidente sarebbe sbottato con un dittatoriale: «Non è qui per fare fotografie!», al quale ha fatto seguire una bestemmia che come tutte le cose brutte che finiscono nella Rete è diventato un video virale. L’autogol blasfemo di De Laurentiis ha toccato la sensibilità di molti, a cominciare dal Movimento Italiano Genitori, che per voce del suo direttore generale ha denunciato: «Il mondo del calcio si macchia ancora una volta di un episodio di violenza e blasfemia verbale. A rendere ancora più grave l’accaduto è il fatto che il protagonista sia il Presidente di una squadra di calcio, quindi una figura istituzionale, che ha inveito con blasfemia contro un bambino, peraltro fan della sua stessa squadra». Cartellino rosso dunque per De Laurentiis. Ma non solo a lui. Quindi, occhio calciatori e dirigenti, che i bambini non solo vi guardano, ma vi ascoltano.
Come rimediare? Forse ci vorrebbe un Demetrio Albertini in ogni spogliatoio. Il buon Demetrio anni fa raccontava di aver usato suo fratello don Alessio – consulente ecclesiastico del Csi Nazionale – per placare quei compagni di squadra del Milan affetti da bestemmia compulsiva. «Sono corso a rimproverare compagni anche molto più famosi di me – raccontò Albertini -. Senza problemi. Perché il problema è loro, io glielo ricordavo. Chi non riesce a dominare i propri nervi su un campo di calcio non riuscirà a farlo nemmeno nella vita». Messaggio che recapitiamo al presidente De Laurentiis, sperando che non ci risponda con un’altra bestemmia”.
Lo stesso discorso, ovviamente, vale per i bestemmiatori che stanno sulle tribune o aggrappai alla rete che segna il confine con il campo di calcio, spettatori che spesso lasciano la civiltà e sposano l’inciviltà. Anche loro devono sapere che chi bestemmia è fuori norma, è un reato, è una manifestazione stupida- stupidissima – di una personalità bacata, alterata, non in sintonia con la civiltà dello sport e del vivere quotidiano…
LUCIANO COSTA