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Elezioni Regionali: la destra ha preso tutto…

Chi non vota ha torto, ma chi vota, anche se alla fine consente di dare un volto ai vincitori, deve subire l’umiliazione di essere considerato comunque espressione della minoranza e non della maggioranza del popolo elettore. Anche ieri, in Lombardia e nel Lazio ha vinto l’astensionismo. “Chi se ne frega di un voto dato a qualcuno che poi farà, se non proprio quel che vuole, di sicuro quello che i suoi capi gli imporranno di fare?”. L’amara domanda-commento l’ho trovato stamani all’alba nelle mail con tanto di firma e un sottile sberleffo, formulato con arte e con arte messo lì per dire “allegria, la prossima volta vincerà la ragione e l’intelligenza otterrà la sua vittoria” e dirmi “non illuderti, che ormai l’Italia s’è… destra”. Come dice il saggio “ognuno ha quel che si merita”. Quindi, Lombardia e Lazio, state sereni, quel che avete ottenuto è quello che avete anche meritato: l’astensione per dirvi che la gente non si fida di venditori di fumo e di ricercatori di potere; il voto sparpagliato e comunque orientato a destra (moderata o estrema, poco importa) per significare il distacco da quella politica che anteponendo ideali e valori alla mera gestione del successo chiede impegno e responsabilità (“un esercizio che dà valore alle ragioni della politica e che considera la politica un servizio onorevole e onorato” secondo alcuni) piuttosto che ciance e compromessi.

In attesa di chissà quali tempi diversi e (forse) migliori o peggiori (dipende da quale angolazione si parte per giudicarli), la cronaca elettorale sbatte in prima pagina lo scandalo dell’astensionismo: nel Lazio ha votato il 37,2% e in Lombardia il 41,6% degli aventi diritto. Nel Lazio, nelle precedenti regionali del 2018, aveva votato il 66,3% degli elettori. In Lombardia, sempre nel 2018, l’affluenza arrivò al 73,1%. Califano direbbe che “tutto il resto è noia”, Flaiano che “non c’è resto se non c’è moneta”… Io dico che per indurre gli italiani a votare serve spiegare a ciascuno che la politica non è di qualcuno ma di tutti, che stare alla finestra a godersi lo spettacolo della gente che sfila per rivendicare ascolto e dignità per tutti è da pavidi, che “fregarsene” è da stupidi come è stupido rallegrarsi se una martellata sottratta al ginocchio colpisce in pieno le cosiddette parti (preziose) appena sopra… Più serio e appropriato è indubbiamente il commento che Paolo Gualandris (“La Provincia di Cremona”) dedica alla Lombardia. Ve lo propongo in attesa di qualcosa che aiuti a comprendere il voto laziale.

LUCIANO COSTA

 

Lombardia: primo l’astensionismo, poi tutti gli altri

Nelle urne tutto come previsto ma, quanto all’affluenza, molto ma molto peggio di come si era temuto. La Regione si è confermata incontendibile: pure se si fossero unite tutte le opposizioni, il risultato finale non sarebbe cambiato. Attilio Fontana vince con largo distacco e si conferma Governatore, anche se i nuovi equilibri della coalizione rischiano di azzopparlo. La Lega ha evitato il patatrac e salvato il posto da leader a Matteo Salvini. Ora si deve uscire dall’equivoco e parlare di destra-centro e non più di centro-destra.

Tanto è vero che Daniela Santanchè ha già piantato i paletti: FdI, che si conferma primo partito pur restando lontano da quel 30% attribuito dai sondaggi, chiede la vicepresidenza del governo della Regione oltre a otto assessori. Cioè la maggioranza della giunta. Andando a vedere che cosa succede dall’altra parte, si deve riconoscere a Pierfrancesco Majorino il merito d’essere riuscito a limitare i danni, che alla vocazione endemica a essere perdente dalle nostre parti della sua coalizione ha dovuto aggiungere il rischio di pagare pegno alla confusione sull’identità dei dem, alle prese con l’ennesima rifondazione. Si auto incoraggia, Majorino, con un «comunque mi fa molto piacere vedere che abbiamo il maggiore consenso nell’ambito giovanile».

Forse è poco, ma per il Partito Democratico è un viatico in chiave futura.

Poche parole sui Cinque stelle: si accentua il fenomeno della pre-agonia nella quale versa il Movimento in Lombardia, dove non è mai riuscito a fare tendenza. Del Terzo Polo si può parlare solo in chiave di testimonianza: la salita sulla barca di Letizia Moratti (destinata a restare sull’uscio di Palazzo Lombardia) non sembra aver emozionato granché l’elettorato.

Anche i più ottimisti sapevano bene che si sarebbe trattato di una presenza più che altro accademica, che il cammino della neonata alleanza tra Matteo Renzi e Carlo Calenda è solo all’inizio, che il vero obiettivo sono le prossime elezioni europee e le politiche. La partenza è stata però in salita e malumori per la scelta di una candidata presidente che non ha portato valore aggiunto affiorano già. Pentastellati a parte, tutti sembrano avere qualche motivo consolatorio. Ma è un auto inganno collettivo. La Lombardia ha toccato il record di assenteismo (alle urne solo 41,6% degli elettori), però molti dei politici intervistati ieri nelle mille dirette televisive hanno iniziato i loro commenti con un terrificante «al di là della scarsa affluenza al voto…».

Terrificante sì, perché indica che si guarda la punta del dito ignorando dove sta la luna, segnale della mancanza di consapevolezza che la disaffezione al voto «si innesta su una crisi della politica, sulla dissociazione tra rappresentati e rappresentanti», come ha giustamente ammonito il sondaggista Roberto Weber. Una «dissociazione» che per fortuna non ha contagiato i due principali competitor alla poltrona numero uno di Palazzo Lombardia: Fontana e Majorino si sono dichiarati pronti a darsi da fare per colmare il divario tra politica e cittadini. Al di là dei rispettivi ruoli nel futuro consiglio, un terreno di lavoro comune. Conviene a loro, ma anche a tutti noi, che lo coltivino.

PAOLO GUALANDRIS

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