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Fate tacere le bombe, ascoltate la voce dei morti…

Crimini orrendi, morte seminata senza alcun pudore, senza nessun rispetto per le persone, senza nessuna pietà per i vivi e nessun riguardo per i bambini: questa è la mostruosa guerra che la Russia di Putin sta conducendo in Ucraina. “Decine di cadaveri gettati nelle fosse comuni o lasciati per le strade – hanno scritto gli osservatori dell’Onu – pongono serie domande su eventuali crimini di guerra commessi dalla Russia”. Gli articoli scritti dagli inviati e centinaia di fotografie scattate dai reporter e altre decifrate dai satelliti mostrano la “carneficina”. Ma nonostante l’evidenza dei fatti, dalla parte di Putin parlano di “realtà camuffata”, di una vera e propria “provocazione degli ucraini per bloccare i negoziati”. Sono adesso quarantuno i giorni di guerra. Ecco, adesso sono migliaia i morti e i feriti, troppi i luoghi devastati dalle bombe, incalcolabili i danni, milioni i profughi, un an imi le esecrazioni per quanto è accaduto e sta accadendo… Ma Putin, il folle zar, continua nel suo orrendo proposito distruttivo.

Così l’orrore della guerra mostra il suo volto più crudo con quello che passa nelle cronache come il massacro di Bucha, dal nome del villaggio a nord ovest della capitale ucraina da dove sono state diffuse in tutto il mondo le drammatiche immagini di morti lasciati sulle strade o ammassati in fosse comuni scavate nella foresta di abeti appena fuori città. Quando finirà questa orrenda tragedia che ogni giorno aggiunge nuovi scenari e nuovi lutti?

“Quando finì la Seconda Guerra Mondiale – ha detto papa Francesco ai giornalisti in volo di ritorno da Malata – tutti hanno respirato e detto mai più la guerra: adesso la pace!, ed è incominciata un’ondata di lavoro per la pace, anche con la buona volontà di non fare le armi, tutte, anche le armi atomiche, in quel momento, dopo Hiroshima e Nagasaki. Era una grande buona volontà… Settant’anni dopo, ottant’anni dopo abbiamo dimenticato tutto questo. È così: lo schema della guerra si impone. Tante speranze, ma lo schema della guerra si è imposto un’altra volta. Noi non possiamo non siamo capaci di pensare un altro schema, perché non siamo più abituati a pensare con lo schema della pace. Ci sono stati grandi uomini e grandi donne che hanno scommesso sullo schema della pace. Ma noi siamo testardi! Siamo testardi come umanità. Siamo innamorati delle guerre, dello spirito di Caino…”.

Non conosce questo spirito malvagio la volontaria che ha raccontato i suoi giorni accanto a donne e bambini, a mamme con i loro figli, alla gente costretta a fuggire mentre intorno cadevano bombe… “È l’altro volto della resistenza, meno visibile perché il rumore delle armi e l’orrore della guerra non permettono di guardare oltre l’oggi né di distrarsi dalla lotta per la sopravvivenza”. Oggi l’Ucraina “è un angolo buio, uno spazio in cui l’unico margine di speranza in questo momento è l’opera di chi porta un aiuto: le madri e i figli non hanno la forza di sorridere, non ora, non in un posto come un centro di transito a Leopoli. Da qui si passa per uscire dall’Ucraina…”. Poi, l’immancabile domanda – di cosa c’è bisogno? – e l’immutabile risposta: “C’è bisogno di tutto, di cibo per i più piccoli e i neonati, di materiali di base, e poi di un grande aiuto psicologico perché il trauma che stanno vivendo i bambini è enorme, e sappiamo già ora, lo dicono gli esperti, che tra un paio di mesi esploderà con maggior forza e sarà peggio”.

Si chiama Olimpia Sermonti, la volontaria romana che parla dell’Ucraina, dove è arrivata per dare  concretezza a un progetto di cooperazione che vuole organizzare la gestione dell’emergenza per dare vita, nell’ambito delle azioni promosse dall’Onu, a percorsi di supporto psicologico e psicosociale, ma anche assistenza economica d’emergenza per i profughi e sostegno ai volontari che da quando è scoppiato il conflitto lavorano senza sosta in situazioni estreme.

Olimpia racconta mentre suonano le sirene… “Sono giorni che praticamente non dormo – dice -, e se non dormo io immaginate come stanno i bambini. Sono traumatizzati: se sentono anche solo una porta che sbatte hanno una reazione di paura immediata… Gli spazi per i bambini sono luoghi sicuri e dovrebbero servire anche ai genitori, soprattutto le madri, perché possano tirare un po’ il fiato, riposarsi un paio d’ore, ma è dura: i bambini non riescono a staccarsi, non appena escono dallo sguardo del genitore si agitano ed è difficile tenerli. Faticano a stare soli, hanno il terrore di essere abbandonati. I ragazzi ai quali offriamo la possibilità di lezioni a distanza non riescono a concentrarsi, resistono tre minuti: vengono da due anni di pandemia e adesso la guerra…”.

Si va avanti chiedendo una sola cosa: che la guerra finisca. “Fate che smetta! Fatela finire!”, ha detto una donna anziana quando le hanno domandato di cosa aveva bisogno. Olimpia racconta di un’altra donna che era con lei a Leopoli quando hanno bombardato Mariupol, dove ancora si trovavano i figli e il marito. Dice di averla incontrata quando ha potuto riavere i figli vicini, al sicuro. Poteva mangiare una sola volta al giorno, non aveva più niente, un solo vestito. Aggiunge di averle chiesto di cosa aveva bisogno e di avere avuto come risposta un “lascia perdere me, adesso aiuta gli altri che hanno bisogno”.

A Leopoli, e di certo in tutta l’Ucraina, i bambini non ridono: «Dicono che è normale, gli psicologi spiegano che succede. I volontari propongono attività per farli divertire, distrarli dall’orrore della guerra, ma i bambini non ridono più, sono terrorizzati… Sperano che tutto finisca e che torni il sereno”.

Ma quando tornerà un giorno degno d’essere vissuto?

LUCIANO COSTA

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