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Giovanni Paolo II, amico di Brescia e dei bresciani

Per non dimenticare sarà il caso di ricordare che il 16 ottobre del 1978, 42 anni fa, un lunedì, alle 18.18, dal comignolo della Cappella Sistina si levò la fumata bianca, dopo sette nere. Dopo poco meno di mezz’ora, alle 18.45, il cardinale protodiacono Pericle Felici annunciava l’elezione del cardinale Karol Wojtyla, con il nome di Giovanni Paolo II, come 264.mo Papa della Chiesa cattolica, vescovo di Roma e successore di Pietro. Secondo le indiscrezioni, anche allora partecipi agli eventi, in un primo momento l’arcivescovo di Cracovia avrebbe voluto assumere il nome di Stanislao I, in onore del santo patrono della Polonia. Quando gli fu fatto notare che era un nome che non rientrava nella tradizione romana, Wojtyła scelse Giovanni Paolo, in ricordo del predecessore, Albino Luciani, scomparso dopo soli 33 giorni di Pontificato.

Nella memoria collettiva restano molte immagini di quella sera di ottobre di 42 anni fa. Una, in bianco e nero, mette al centro il nuovo Papa, che litigando con la lingua italiana, parla ai romani e al mondo per chiedere comprensione e aiuto nel suo cammino, per evidenziare il dolore di tutti “dopo la morte del nostro amatissimo Papa Giovanni Paolo I”, per sottolineare che i cardinali hanno chiamato il nuovo vescovo di Roma, dopo tanti italiani nei secoli precedenti, “da un Paese lontano… lontano, ma sempre così vicino per la comunione nella fede e nella tradizione cristiana”, per raccontare la paura nel ricevere la nomina, accettata per ubbidienza a Gesù e “nella fiducia totale verso la sua Madre, la Madonna Santissima”. Quelle sera stessa e poi nei giorni seguenti, i giornali riportarono le parole pronunciate dal Papa, in particolare quelle riferite al suo difficile e complicato italiano. Disse : “Non so se posso bene spiegarmi nella vostra… nostra lingua italiana. Se mi sbaglio mi corrigerete. E così mi presento a voi tutti, per confessare la nostra fede comune, la nostra speranza, la nostra fiducia nella Madre di Cristo e della Chiesa, e anche per incominciare di nuovo su questa strada della storia e della Chiesa, con l’aiuto di Dio e con l’aiuto degli uomini”. Seguì un attimo di silenzio, poi la folla applaudì e il mondo in ascolto si commosse.

I ricordi del 16 ottobre di 42 anni fa si intrecciano con la storia di un pontificato storico e rimandano a quella personalità forte e libera che avrebbe saputo stabilire un rapporto diretto e coinvolgente con il popolo cristiano, e anche più in là, con il mondo intero. Il Papa polacco racconterà più avanti che l’allora primate del suo Paese, il cardinale Wyszynski, gli aveva detto in quei giorni che, come Pontefice, sarebbe stato chiamato a introdurre la Chiesa nel terzo millennio. E questo è avvenuto: nonostante l’attentato e le malattie, san Giovanni Paolo II ha guidato una Chiesa non chiusa in se stessa, ma ben aperta ad affrontare con coraggio le sfide del tempo.

Ricordare San Giovanni Paolo II, per i bresciani, significa anche prendere atto di essere stati dei privilegiati. Papa Wojtyla, infatti, venne a Brescia, e non una sola volta, per “camminare sulle orme lasciate dal suo predecessore, Paolo VI, il papa del Concilio, dell’umanesimo integrale, della pace e della concordia tra i popoli”. Per chi, come me, ha scritto briciole della sua storia legata a Brescia e ai bresciani, ricordare significa, innanzitutto, chinare il capo per confermargli gratitudine e affetto, ma anche riandare alle cronache del tempo… Quando venne eletto Papa, raccontando le sue vacanze a Seniga, a casa dell’amico e compagno di studi don Francesco Vergine, scrissi che da quel momento “il piccolo paese della Bassa smetteva di essere terra di polenta e diventava terra di Papi”; quando ebbi fortuna e grazia di incontrarlo a Roma, con don Francesco e don Mario Pasini a far da apripista, ridendo della polenta messa nel titolo che lo salutava Papa, mi disse di continuare a considerarlo un “polentaio”; lassù in Adamello, col presidente Pertini e poi con gli alpini, ma anche a Borno, il paese del suo prezioso collaboratore monsignor Giovanni Battista Re, che per un giorno aveva l’onore di annoverarlo tra i suoi residenti, si dichiarò non un visitatore occasionale, ma un amico che volentieri tornava tra amici…

Ricordarlo per non dimenticarlo è anche adesso ciò che possiamo e dobbiamo fare.

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