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Guerra inarrestabile e nazionalismo crescente

La guerra di aggressione scatenata dalla “grande” Russia contro la “piccola” Ucraina dura da oltre duecento giorni e nessun spiraglio di pace sembra ancora praticabile. Mancano dieci giorni alle elezioni politiche italiane e i partiti rincorrono elettori improbabili regalando certezze che sono soltanto incertezze per non dire bugie. Ieri è passato in Senato il decreto aiuti (comprensivo di vecchie misure rinnovate e di nuove che riguardano il modo per fronteggiare la crisi energetica) e alcuni dei soliti noti si sono arrogati il merito dichiarandosi salvatori della Patria. Sempre ieri, a commento delle azioni belliche che vedono l’Ucraina riprendersi ciò che la Russia le ha arbitrariamente sottratto, son girati comunicati e dichiarazioni che a leggerle bene e con un occhio al passato sembrano dettate esclusivamente da gente e politicanti senza memoria. Proprio questa impressione ha permesso, sempre ieri, a Matia Feltri (“Piazza d’armi”, su La Stampa) di mettere in fila i vari voltafaccia di questo e quel politico.

I voltafaccia di Giuseppe Conte, leader di quel che resta o sarà dei cosiddetti pentastelllati, premettendo l’ultima sua dichiarazione ufficiale, quella che dice “sono molto contento della vincente controffensiva ucraina, infatti noi abbiamo sempre appoggiato gli aiuti militari”, Mattia Feltri, che dispone di un archivio notevolissimo, li elenca così: “no alle armi usate per l’offensiva ucraina” (27 aprile); “no all’invio in Ucraina di armi letali” (2 aprile); “dopo il terzo decreto basta armi all’Ucraina” (12 maggio); “serve una nuova strategia, non mandare nuove armi (13 maggio); “basta, sull’invio di armi l’Italia ha già dato (17 maggio); “basta inviare armi, adesso è il momento del dialogo” (21 maggio); “non servono nuove armi, è il momento della pace (1 agosto); “noi pensiamo alla pace, gli altri alle armi” (21 agosto)…

I voltafaccia di Matteo Salvini, leader di una Lega che non si sa se stia di qua o di là del fiume che scorre nella valle della Ragione, il quale appena due giorni fa ha dichiarato che a destra “abbiamo sempre sostenuto militarmente l’Ucraina e continueremo a farlo”, Feltri li riassume invece così: “mandare più armi non avvicina la pace” (31 marzo); “continuando a fornire armi non ne usciamo” (28 aprile); “darle più armi è una risposta debole” (3 maggio); “più armi, più morti” (4 maggio); “ulteriori invii di armi non sono la soluzione” (16 maggio); “dopo tre mesi di guerra conto sullo stop all’invio di armi” (18 magio); “non ci sto a inviare altre armi” (19 maggio); “l’invio delle armi è un errore madornale” (24 maggio); “la priorità adesso è fermare l’invio delle armi” (26 maggio); “noi parliamo di pace, la sinistra parla di armi” (31 maggio); “più armi mandiamo più è difficile il dialogo” (7 giugno); “in Parlamento si parli di pace, non di armi” (10 giugno); “le armi ad oltranza non sono la soluzione” (23 giugno)… Ceto, di altri voltafaccia son piene le fosse. Ma questa ovvia contrapposizione, sebbene di comodo, non sminuisce gli attuali. Ancor di meno assolve e manda impuniti coloro che li praticano.

Lontano da noi, in quella che comunemente viene definita “la civilissima Svezia”, patria di libertà altrove solo abbozzate e di un sistema sociale che tutti accontenta, nel mondo uno dei Paesi più ricchi, più civili, più impegnati nella cooperazione allo sviluppo, addirittura una superpotenza umanitaria e anche un luogo in cui è desiderabile vivere, le elezioni celebrate domenica hanno decretato l’avanzata di un becero quanto inaspettato nazionalismo. Il che lascia intendere, salvo ribaltamenti improbabili, che uno dei Paesi più accoglienti nei confronti dei rifugiati, saldamente in testa alle graduatorie europee per numero di profughi accolti in rapporto alla popolazione (25 ogni 1.000 abitanti, contro 14 della Germania e 3,5 scarsi dell’Italia) da qui in avanti si dirigerà su strade ben diverse. Ha vinto il partito di destra radicale capeggiato da Jimmie Akesson, che per la prima volta ha superato il partito della destra moderata. Lo sfruttamento elettorale delle questioni dell’immigrazione e dell’asilo concesso ai migranti in fuga, ancora una volta hanno inciso e favorito l’inatteso risultato. Comunque finisca la competizione elettorale (mancano alcuni dati inviati per posta), la Svezia non sarà più quella di prima.

“Il successo dei Democratici svedesi – scrivono diversi giornali europei – ha varie analogie con altri fenomeni analoghi nell’emisfero occidentale. Come nella Brexit, nella vittoria di Trump, nell’avanzamento del Rassemblement National in Francia, la propaganda di Akesson ha sfondato non tanto nelle grandi città multietniche, quanto piuttosto in provincia, nei piccoli centri e nei villaggi: in un contesto di incertezza crescente, con l’inflazione al galoppo, le bollette alle stelle e la guerra alle porte, non è l’immigrazione reale, alle porte di casa, a far paura, ma l’immigrazione immaginata, ingigantita, agitata come una minaccia nei confronti del benessere diffuso e del generoso welfare scandinavo…”.

Grazie anche alla sua immagine tranquilla di quarantenne di provincia, Akesson inalbera ora un vessillo nazionalista che in realtà consente di raccogliere sia voti di destra estrema, sia suffragi arrabbiati e populisti, sia nuovi consensi nell’area conservatrice moderata. Così ha attratto nuovi elettori senza perdere i vecchi. Il populismo, nelle sue diverse declinazioni ma soprattutto in quella di destra, in tempi recenti sembrava in crisi sulle due sponde dell’Atlantico. E quel becero populismo ha rialzato la testa. Purtroppo, non è difficile prevedere che, non riuscendo a dare risposte rassicuranti ai cittadini sulle questioni economiche, di potere d’acquisto e di difesa dell’occupazione, Akesson e i suoi simili scaricheranno le ansie diffuse nella popolazione sul capro espiatorio dei rifugiati e di altri immigrati deboli. Più difficile comprendere che cosa rimarrà dell’Europa comunitaria, quando un numero accresciuto di governi avrà proclamato di voler essere ‘padrone a casa propria’ e di accettare i vincoli comunitari soltanto quando collimano con i propri veri o presunti interessi. “L’Europa dei nuovi-vecchi nazionalismi che si profila, se dovesse davvero realizzarsi, non sarebbe un problema soltanto per gli immigrati vecchi e nuovi, ma anche e soprattutto per i suoi stessi cittadini”. Italia compresa? Visto l’andazzo la risposta è una sola: sì, Italia compresa.

LUCIANO COSTA

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