Sto cercando di dare un volto a chi devo votare, ma sistematicamente mi ritrovo a rafforzare la lista di chi non devo assolutamente votare. Colpa mia: non capisco le sottigliezze con cui Tizio, Caio oppure Sempronio cercano di spiegare il loro diritto di stare lì a chiedere voti e neppure la loro pretesa di essere ascoltati dato che in realtà non hanno nulla da dire e neanche una ragione che valga la pena di condividere. Ieri costoro sono sfilati in ordine sparso, ovviamente con il seguito di raccontatori reclutati per dare risalto alle loro gesta, e ognuno ha mostrato all’italico popolo la loro nullità, una nullità culturale-sociale-politica vera ma incompresa, perché l’italico popolo generalmente si ferma alle apparenze. Vale a dire: valuta i muscoli, conta le promesse, dà credito ai sondaggi (attenti, son fatti apposta per fuorviare pensieri e coscienze), mette in tasca le bugie imbastite dai tanti faccia tosta a caccia di voti credendole verità, mischia il presente con passato senza neppure preoccuparsi di sapere se quel passato sia degno d’essere ricordato, accetta per buone le dichiarazioni d’intenti (saremo democratici, di sicuro liberali, anche un po’ sociali, tanto amici dei poveri e dei disperati senza però mancare di rispetto ai ricchi, rispettosi delle tradizioni religiose, ossequienti con papa vescovi preti frati e suore, devoti senza per forza essere fedeli, che essere fedeli significa gettare la maschera e presentarsi per quello che si è), si ripromette di pensare e meditare ma poi va dove lo portano il cuore. le necessità e l’immaginario quieto vivere comprato al mercato delle illusioni. Fra cinquanta giorni si vota… Come e perché ancora pochi lo sanno. Quindi, ne vedremo delle belle. Di sicuro, alla fine, tanti se non tutti, dovranno fare i conti con il dubbio che impone di chiedersi: ma quelli meritavano il mio voto?
Per la cronaca, non si conoscono ancora gli schieramenti, però si sa dove portano le intenzioni di voto: a destra, molto a destra, tanto a destra da consentire alla principale rappresentante della destra più destra di dichiararsi “orgogliosa di essere la prima donna che guiderà il Governo”. Per fortuna non è ancora stato cancellato l’antico adagio che mette in guardia da chi pretende di dire gatto senza averlo nel sacco, o da coloro che credono d’essere papa per il solo fatto di entrare in conclave con il titolo di cardinale. Quindi, calma e gesso. Tutto è possibile, anche che gli italiani votino non necessariamente come oggi dicono i signori dei sondaggi…
Però, prima, dovremmo almeno capire il meccanismo che guiderà il voto. Francesco Riccardi ha scritto ieri che “noi elettori semplici siamo un po’ come Alice nel paese delle meraviglie – che cade nella tana del Bianconiglio ed entra in un mondo di fantastiche assurdità –, che cioè ci accorgiamo solo oggi con colpevole ritardo che i partiti ci hanno di nuovo illuso, sottraendoci una volta di più la possibilità di scegliere da chi farci rappresentare in Parlamento”. Ovviamente, la colpa è anche nostra, di noi cittadini, che solo adesso scendiamo dal pero e cominciamo a renderci conto effettivamente di quanto dannosa sia l’attuale legge elettorale approvata 5 anni fa e della quale avremmo dovuto chiedere la cancellazione a furor di popolo. “Davvero – nota Riccardi – è pessimo questo Rosatellum: è un mostro tra sistema maggioritario con collegi uninominali e quota proporzionale a micro-listini bloccati di 4 candidati. Tutti rigorosamente scelti dai vertici di partiti e movimenti. Candidati rispetto ai quali non è possibile esprimere preferenze. Oggi, poi, con il formarsi di coalizioni oggettivamente poco omogenee e coese, senza obbligo di coerenti programmi comuni, le contraddizioni emergono con maggiore chiarezza”.
E lo stridore diventerà quasi insopportabile quando, domenica 25 settembre, gli italiani si troveranno tra le mani la scheda elettorale. Sulla quale si potrà tracciare un solo segno. Sul simbolo del partito “preferito”: e in questo caso il voto premierà oltre ai pochi del listino proporzionale anche il candidato del collegio uninominale, magari espressione di un’altra forza politica della coalizione. Oppure la fatidica “x” potrà essere apposta sul nome del candidato del collegio uninominale e, in quel caso, la preferenza dell’elettore verrà “spacchettata” e ripartita una quota per ogni partito della coalizione. Insomma, esclusivamente nel caso dei partiti che correranno da soli, il voto dell’elettore resterà “univoco” a seconda delle sue convinzioni, per quanto sempre non “mirato” secondo proprie preferenze per l’una o l’altro dei candidati, da accettare invece a occhi chiusi.
“Peggio ancora – spiega Riccardi -, per le coalizioni: sarà tutt’altro che infrequente l’eventualità di trovarsi davanti candidati non corrispondenti alle proprie preferenze o addirittura schierati su posizioni indigeribili su questo o quel tema. E ciò sia per il centrosinistra – con le (generose) quote riservate a iperliberisti, eutanasici ed ex-qualcosa – sia per il centrodestra – con abbondanza di nazional-sovranisti, anti-solidali e filo-russi presenti nello schieramento – sia (potenzialmente) per i più o meno smilzi terzi e quarti poli annunciati. Ma questo è il sistema (oggi a base proporzionale, con un quarto di maggioritario) e se non stai in una coalizione competitiva, al massimo puoi aspirare a qualche strapuntino, non certo a puntare alla vittoria. Tale meccanismo costringe o a votare turandosi naso e bocca o (scelta, ahinoi, in crescita) a rintanarsi nell’astensionismo, fino a cedere alla tentazione del disimpegno. Non a caso, già oggi, troppa parte dei cittadini è convinta che andare a votare serva a poco o a nulla. L’impossibilità di scegliere veramente i parlamentari, infatti, non solo aumenta il distacco tra elettori ed eletti, ma erode la fiducia e mina alla base il sistema democratico”.
Qui sta la chiave di tutto: noi elettori semplici non abbiamo scelta, e non possiamo esercitarne alcuna se non quella di accettare, quasi supinamente, le decisioni dei capipartito e gli equilibri di questa o quella alleanza. Come più e più volte sottolineato (qui e altrove) siamo stati privati dello strumento del voto di preferenza e illusi con gli slogan leaderistici sulla scelta popolare del premier (mentre è sempre stato il Parlamento a votare e a sfiduciare i governi e chi li presiede).
“Abbiamo così perso il vero potere dei cittadini-elettori, che è quello di premiare la competenza dell’uno o le capacità dell’altra, la coerenza della posizione di Tizia o la cristallina testimonianza di valori di Caio. Togliere le preferenze (e guardarsi bene dall’introdurre le primarie di collegio per la scelta dei candidati nell’uninominale) è stato il più grande furto di democrazia che abbiamo subìto (il referendum del 1991 era per la preferenza unica, non per l’abolizione della scelta)”. Oggi partiti e movimenti – tutti senza eccezione – come cinque anni fa tornano a imporci l’umiliazione di poter scegliere solo ciò e chi i loro vertici hanno già scelto per noi. “Votare, in queste condizioni, ha il valore e il senso di un esercizio di fede caparbia nel sistema parlamentare e nella sua possibilità di essere di nuovo espressione del sentimento e delle attese popolari. Quasi uno sperare contro speranza che partecipare serva davvero, e che finalmente si cambi passo (e legge elettorale)”.
Così è, se vi pare ma anche se non vi pare. Infatti, da qui al voto mancano giorni e non gli anni che invece servirebbero per varare una nuova riforma.
LUCIANO COSTA