Presi come siamo da faccende interne e da questioni belliche che durano da 324 giorni (tanti sono i giorni di assedio e devastazioni a cui la Russia sta sottoponendo l’Ucraina) e che stanno devastando l’Europa e il mondo, non abbiamo ahimè tempo di pensare ad Haiti, isola caraibica allo stremo dopo che il terremoto – non l’altro ieri, ma dodici anni fa – l’ha sconvolta. Dodici anni fa… Era il 12 gennaio 2010 e un terremoto sconvolse Haiti causando morti e distruzione, Si levò allora il pianto delle popolazioni e in tanti inviarono aiuti. Poi, qualche sporadico ricordo, qualche impegno messo in campo da organizzazioni di volontariato e dedite alla carità, ma mai un’azione risoluta della co un ità internazionale per restituire a quell’isola dignità e possibilità di vita. Quel giorno Haiti misurò la devastazione; da quel giorno Haiti è in ginocchio senza alcuna possibilità di rialzarsi.
Era il 12 gennaio 2010 e un terremoto di magnitudo 7 rase al suolo la parte occidentale dell’isola di Hispaniola, spazzando via case, infrastrutture e futuro per tre milioni di persone. Il bilancio delle vittime fu di oltre 220.000 morti, quasi 300.000 feriti e 1,5 milioni di sfollati. Una tragedia immane, che ha piegato l’isola costringendola alla fame e alla disperazione. Haiti, già classificato tra i Paesi più poveri al mondo, oggi ricorda e di nuovo spera che il mondo s’accorga del dramma che sta vivendo. Chi è stato di recente ad Haiti portando con sé una valigia di aiuti, come fanno di solito i missionari, parla di Paese distrutto, senza speranza, privo del minimo indispensabile; racconta della capitale, Port-au-Prince, sommersa da cumuli di macerie…
Ad aggravare il quadro generale, c’è poi l’instabilità causata dall’assassinio, avvenuto nel luglio 2021, del presidente Jovenel Moïse. Da allora gruppi della criminalità organizzata e bande armate si contendono il controllo del territorio, in scontri e attacchi che minano la sicurezza degli 11 milioni di abitanti. “A causa della povertà e dell’instabilità del Paese, ci sono a tutt’oggi intere zone dove, li ho visti con i miei occhi, i segni del terremoto sono ancora chiari – riferisce l’inviata di Medici senza frontiere -, con case e ospedali distrutti, strutture inutilizzate e persone che non ce la fanno a più”. Infatti, la maggioranza della popolazione vive in condizioni di povertà e di paura: nella capitale Port-au-Prince al momento si registrano tra i 10 e i 15 rapimenti al giorno da parte delle bande armate. “Al di là della crisi del petrolio causata da un blocco messo in atto nei mesi scorsi da alcuni gruppi criminali al principale terminal del Paese, gli spostamenti sono resi difficili proprio da questioni di sicurezza: per andare da Port-au-Prince a Carrefour, in una strada che normalmente si percorre in poco più di un’ora – ha raccontato Chiara Montaldo, esponente Medici senza frontiere di ritorno dall’isola – ho dovuto attendere tre giorni, a causa degli scontri armati incessanti nella zona”.
Negli ultimi mesi a peggiorare le condizioni di Haiti, che questa settimana si è trovata spogliata anche della sua ultima istituzione democraticamente eletta, con il mandato del Senato ormai scaduto, è stata inoltre una crescita allarmante dei casi di colera, malattia che già a seguito del terremoto di tredici anni fa infettò oltre mezzo milione di haitiani: nel giro di poco tempo, allora, morirono più di settemila persone. Secondo i medici che ancora operano ad Haiti “Da ottobre scorso c’è stato un aumento dei casi di colera, con un picco a novembre. Ad oggi siamo a più di 22.000 casi sospetti nel Paese. Dall’inizio di dicembre i numeri stanno scendendo, ma non si arriva ad un azzeramento. Ci si sta avviando verso una fase che sembra quasi di endemia”.
All’origine dei nuovi focolai, oltre a un sistema sanitario al collasso, è il blocco dei carburanti nell’intero Paese per l’azione delle bande armate, che poi ha provocato un arresto di tutte le attività e un conseguente «peggioramento delle condizioni per l’approvvigionamento di acqua: le persone, non potendo spostarsi né lavorare, non sono state più in grado di avere accesso o comprare acqua potabile, pulita. Medici senza frontiere in questi mesi ha aperto 6 centri per far fronte alle ultime criticità, oltre a portare avanti attività di prevenzione e di distribuzione di acqua potabile, di cloro e di altro materiale disinfettante. Lavorare ad Haiti, nella situazione attuale, “è rischioso” dice Chiara Montaldo, ma diventa ancora più importante perché l’impegno dell’organizzazione non si ferma all’emergenza colera ma prosegue…
Haiti muore, servono aiuti. Magari un cannone in meno e un pugno di pane in più per quelle popolazioni… Magari un missile in meno e qualche quintale di medicinali in più per far fronte all’emergenza sanitaria… Magari un carrarmato in meno mezzi in più da destinare all’approvvigionamento di acqua…
Sono passati dodici anni dal quel terribile terremoto e Haiti spera ancora di risorgere…
A cura di LUCIANO COSTA