Quando, alcuni mesi fa, si fece largo l’idea di comitati decisi a chiedere i danni per gli effetti subiti a causa della pandemia scrissi che se era solo una questione di soldi, era una questione assai misera; se invece era un passo necessario per cercare risposte veritiere al modus operandi di politici, medici e istituzioni, allora l’azione era benvenuta. Oggi, sebbene a me sembri ancora in bilico tra la prima (soldi) e la seconda (verità) considerazione, la questione diventa ufficialmente una pratica giudiziaria (promossa da cinquecento familiari delle vittime). Con quali esiti è però veramente difficile immaginarlo. Di passi ne seguiranno molti altri, in altre aule e in altri tribunali, perché è lungo cammino della verità giudiziaria sul Covid, sul virus che ha straziato la generazione dei grandi vecchi cresciuti nelle valli bergamasche tra edilizia e industria. C’è un faldone di 2.099 pagine, redatto da un team di avvocati; chiamati a rispondere sono Regione Lombardia, il ministero della Salute, la Presidenza del Consiglio dei ministri.
Tante le domande proposte e senza risposta: si poteva fare una zona rossa tra Alzano Lombardo e Nembro? Che cosa accadde all’ospedale di Alzano il 23 febbraio 2020, quando il pronto soccorso venne chiuso e riaperto nel giro di alcune ore, dopo la notizia dei primi positivi? Da quando il virus circolava sul nostro territorio?
“Che il virus circolasse già prima – si legge nella cronaca del corrispondete bergamasco di Avvenire – era cosa nota. Una relazione dell’ospedale inviata alla Regione poco dopo l’inizio della pandemia diceva che ad Alzano arrivavano pazienti con polmonite o insufficienza respiratoria acuta. Allora non si facevano però i tamponi, perché questa era l’indicazione del ministero della Salute. Solo il 22 gennaio 2020 una circolare indicava che il tampone poteva essere eseguito, oltre ai casi collegabili a Wuhan, anche su chi manifestava “un decorso clinico insolito o inaspettato”. Poi, il 26 gennaio, venne ricoverato a Seriate un cittadino cinese residente in Valseriana con polmonite bilaterale, ma senza test. Eppure, di tamponi in provincia di Bergamo si aveva traccia ben prima di Codogno. Un documento indica infatti un primo test il 3 febbraio, un secondo il 6 febbraio e un terzo il 10 dello stesso mese, tutti con esito negativo…”. Nasce da qui la domanda fondamentale: se si fosse intervenuti prima la tragedia sarebbe stata almeno circoscritta se non proprio evitata?
L’altro dubbio è che l’Italia si sia presentata all’appuntamento impreparata. Chi possa fugare questo dubbio nessuno lo sa. Chi dice tocchi al Tribunale, immagina che le carte svelino quel che gli esperti non hanno saputo spiegare; chi sollecita risposte internazionali è forse convinto che tutto sia partito dalla Cina; chi accetta la casualità del virus – un’influenza terribile ma parte delle influenze che regolarmente si avvicendano – si rimette al giudizio della medicina; chi però non crede alla casualità invoca condanne e risarcimenti…
Di sicuro, c’è adesso la nuova seppur lieve (“nella norma” dicono gli esperti) crescita dei contagi: non drammatica, però tendenzialmente preoccupante. Gli esperti dicono si tratta di una fase superabile, per ora solo incrinata dalla variante Delta, a cui però ben s’oppone la campagna vaccinale in corso. Intanto i casi in Italia, dall’inizio dell’epidemia, sono 4.267.105, i morti 127.731; i dimessi ed i guariti 4.097.905. Numeri terribili, purtroppo non ancora definitivi.
Poi, ieri, ha gettato nello sconforto la notizia che i Giochi Olimpici previsti in Giappone si svolgeranno a porte chiuse. La decisione è ufficiale: non saranno ammessi spettatori alle Olimpiadi di Tokyo, in programma dal 23 luglio all’8 agosto. La situazione epidemiologica ha convinto il governo giapponese a decretare lo stato di emergenza sanitaria a Tokyo per tutta la durata dei Giochi Olimpici. Lo stato di emergenza entrerà in vigore il 12 luglio e resterà fino al 22 agosto. In Giappone si è a lungo discusso se posticipare o addirittura cancellare le Olimpiadi a causa dell’aumento dei contagi. Alla fine è giunta la decisione del governo: “Prendendo in considerazione l’effetto delle varianti del coronavirus e per non lasciare che i contagi si diffondano nuovamente nel resto del Paese, dobbiamo rafforzare le nostre contromisure”.
Però, domenica, per la finale dei campionati europei di calcio tra Italia e Inghilterra, allo stadio Wembley di Londra so no attesi sessantamila spettatori e ben di più nelle piazze e nelle strade dei due paesi che si contenderanno la coppa. Colme si dice in questi e altri casi: che Dio, chiunque sia e qualunque sia la sua area di competenza, ce la mandi buona!
L. C.