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I giovani chiedono, ma pochi li ascoltano…

Dal Rapporto Giovani 2022, pubblicato in questi giorni dall’Istituto Toniolo dell’Università Cattolica, emerge che i giovani italiani ripongono molte speranze nel Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza), che però non ha misure specifiche per valorizzare il loro contributo nella costruzione dell’Italia del futuro, ma tante iniziative frammentate, dalla scuola al lavoro per gli under 30. L’indagine dice inoltre che più del 60 per cento degli italiani tra i 18 e i 34 anni vuole un nuovo modello economico che unisca “inclusività, sostenibilità sociale e ambiente, valorizzazione delle diversità”. Leggere il rapporto equivale a tuffarsi in una realtà di cui si conoscono i contorni ma non la sostanza, che resta un insieme di questioni irrisolte e di speranze tradite. L’impegno messo in campo dai ricercatori, però, rischia di rimanere “apprezzato, importante, lodevole, bello e coraggioso, ma sconosciuto ai più”. Infatti, del rapporto e delle conclusioni a cui giunge, ne parlano in pochi, giusto gli interessati, ma non i media nazionali (come sempre in tutt’altra faccende affaccendati) e neppure gli apparati politici (anche loro affaccendati in tutt’altro), che pure sono chiamati in causa in maniera diretta. Eppure, l’Italia che tra 40 giorni dovrà scegliere chi la guiderà nella ripresa dopo i difficili anni della pandemia e darà corpo ai progetti ambiziosi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), finanziato dall’Unione europea, dovrebbe mettere al centro “la valorizzazione del capitale umano delle nuove generazioni” e delle competenze dei giovani per la transizione digitale e verde.

Dal Rapporto Giovani 2022, edizione numero nove, emerge chiaro il bisogno di dare ai giovani responsabilità e crediti, così che possano davvero trasformare il mondo e consegnarlo alle generazioni che verranno finalmente degno d’essere vissuto. I dati del Rapporto si fondano su quattro indagini realizzate tramite interviste tra il l’aprile 2021 e il gennaio 2022 due delle quali fatte su un campione di giovani dai 18 ai 34 anni di Italia, Francia, Gran Bretagna, Germania e Spagna e due riguardanti specificatamente i giovani italiani.

Dopo il 2021 che è stato “l’anno della progettazione della nuova fase di sviluppo del Paese dopo l’impatto inedito e inatteso della pandemia – spiega il rapporto – il 2022 segna l’inizio di una nuova fase”. Per non vanificare le tante speranze e aspettative suscitate dal Pnrr e dalle risorse che l’Unione Europea, attraverso il fondo Next Generation Eu, ha destinato alla ripresa dell’Italia, aggiungono i ricercatori, “non si tratta di riprendere il percorso precedente, ma cogliere l’occasione per mettere le basi di un nuovo progetto di Paese”, cioè qualcosa che non sia preoccupato tanto della crescita del Pil, ma della “qualità dell’occupazione creata” e della crescita “degli indicatori di benessere e sviluppo sostenibile”. Devono soprattutto migliorare “le condizioni delle nuove generazioni” e i giovani devono percepire “di vivere in un Paese che scommette su di loro”, considerando le loro “competenze, sensibilità e capacità il carburante principale per alimentare una nuova fase di crescita”.

Il Rapporto Giovani 2022, presenta nella prima parte i quattro fronti su cui si giocano le sorti di una ripresa che possa far leva sulle intelligenze, le energie e la vitalità delle nuove generazioni: le nuove modalità di formazione e le nuove competenze; i nuovi lavori; i nuovi nuclei familiari; le nuove forme di partecipazione sociale. Nella seconda parte il rappoieto approfondisce condizione e aspettative delle categorie alle quali il Pnrr si rivolge: oltre ai giovani, le donne, chi vive al Sud e nelle aree economicamente meno dinamiche del Paese. In aggiunta emerge un focus sulla componente straniera e immigrata, “alla quale il piano del governo riserva un’attenzione marginale”.

Visti i dati drammatici sull’attuale occupazione giovanile in Italia, che è l’unico Paese dell’Unione Europea con un tasso di occupazione dei giovani tra i 25 e i 29 anni sotto il 60 per cento, e dove è concentrato sotto i 35 anni il rischio di avere un reddito di lavoro basso e di non svolgere un’attività adeguata al proprio titolo di studio, i giovani vanno messi nelle condizioni di “accedere ad un lavoro di qualità e abilitante”. E lo meritano anche per i molti segnali che confermano la loro voglia di protagonismo positivo nella società, come la partecipazione “a movimenti a favore dell’ambiente e contro il riscaldamento globale”.

Nel capitolo dedicato alla risorsa scuola, il rapporto sottolinea il dato del 20 per cento di giovani “che sentono un basso coinvolgimento verso l’impegno scolastico”. Una risposta, secondo gli esperti, può venire dal miglioramento dell’efficacia ed efficienza dei servizi formativi, di cui si occupa la missione 4 del Pnrr, ma anche da un “modo nuovo di intendere il curricolo scolastico, il percorso formativo e il ruolo dell’insegnante”. Il secondo capitolo, che si occupa di come i giovani vedono le opportunità lavorative legate alla “green economy” e allo sviluppo sostenibile, sottolinea la crescita dei contratti di lavoro “green”, che a fine 2020 rappresentano il 35 per cento delle nuove assunzioni. Il capitolo dice inoltre che nei giovani cresce l’attenzione alle tematiche ambientali e di sviluppo sostenibile: dalle interviste emerge infatti, come tendano a preferire, come loro eventuale datore di lavoro, “aziende socialmente responsabili, attente e impegnate in campo ambientale”. Purtroppo, analizzando il Pnrr, i ricercatori del Toniolo fanno notare che non è prevista una missione autonoma dedicata ai giovani, ma misure frammentate in diverse missioni, e questo crea “qualche rischio sulla destinazione delle risorse effettivamente in loro favore” e complica anche “il monitoraggio e la valutazione di impatto” delle misure stesse.

Dal rapporto emerge poi quel che i giovani chiedono alla politica: non tornare all’Italia pre-pandemia, che faticava a crescere e non cercava opportunità all’altezza delle loro potenzialità, ma di vedere “al centro le loro nuove sensibilità”, come quelle verso l’ambiente e le loro competenze avanzate nella transizione digitale e verde, e nell’innovazione sia tecnologica che sociale. I giovani, insomma, vogliono sentirsi riconosciuti come “nuovo valore messo nella condizione di generare nuovo valore”. Altrimenti, dicono “andremo all’estero”. Riguardo al quarto capitolo, dedicato al rapporto tra giovani e volontariato, la ricerca sottolinea il bisogno “di esperienze individuali positive” nella solidarietà sociale, per rispondere alla “grande esperienza collettiva negativa che è stata la pandemia”, e per sentirsi “attivi e positivi” all’interno del territorio. Servirebbe però una certificazione delle competenze sociali e le esperienze di vita acquisite nel volontariato, come riscontro della positività della loro esperienza e per superare “fragilità e insicurezze”.

Per farlo, spiega il rapporto, “serve un impegno che metta proprio i giovani al centro e che movimenti e partiti credano nella possibilità di sviluppo del Paese, a partire proprio da un modello di sviluppo e sociale nel quale le nuove generazioni sono parte attiva. E che attorno a questo modello poi costruiscano il loro programma e non il contrario, cioè all’interno di programmi e di misure che cercano di ottenere il consenso dell’elettorato in generale, poi mettere in luce specifiche parti che riguardano i giovani. Serve proprio un approccio diverso, una prospettiva diversa, perché da troppo tempo i giovani sono ai margini e questo non aiuta il Paese a crescere e ad interpretare al meglio le grandi sfide che ha davanti. Che riguardano le trasformazioni demografiche, la transizione digitale, la transizione verde: sono tutte sfide che vanno vinte rafforzando i percorsi dei giovani, le loro competenze, e poi valorizzandole pienamente. Quindi diventa proprio un’impostazione nuova per un Paese che, grazie alla leva del capitale umano dei giovani, coglie e cerca di vincere le sfide del proprio tempo”.

Ecco, si sa quel che pensano e vogliono i giovani, ma non quello che la società nel suo insieme intende fare per loro. E i programmi elettorali non aiutano a intravedere novità.

LUCIANO COSTA

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