Vigilia di una festa che è diventata normale – IV Novembre, anniversario della Vittoria che segnò la fine della Prima Grande Guerra, poi Giornata delle Forze Armate e dell’Unità Nazionale – ma che non ha nulla di normale. Ricorda infatti milioni di morti, distruzioni orrende, fatiche mai sufficientemente riconosciute e ripagate; chiama ciascuno a riflettere sull’assurdità del ricorso alla guerra; invoca la pace; dice che un mondo nuovo e giusto è ancora possibile, conferma che ogni guerra altro non è se non l’assenza della ragione, la mancanza di una specifica volontà di evitare l’uso delle armi, la non volontà di capire le altrui ragioni e di metterle, per un confronto veritiero, sul tavolo della mediazione. Sembrerebbe impossibile, ma il mondo è tuttora pervaso da guerre sebbene la parola “pace” sia quella più usata e declamata.
Sono passati 103 anni dalla fine della Prima Grande Guerra: non ci sono più reduci e neppure testimoni. Però, per loro parlano le tombe e i monumenti; parlano coloro che soffermandosi nei luoghi della memoria chinano il capo e innalzano al cielo l’invocazione di pace per tutti. L’altro giorno, ricorrenza dei defunti, papa Francesco, in visita al cimitero militare francese, nel quartiere romano di Monte Mario, nell’albo dei visitatori ha scritto di suo pugno: “Tu, che sei in cammino ferma il passo e pensa, dei tuoi passi, all’ultimo passo. Le guerre uccidono non risolvono niente. Fermiamoci e andiamo sulla strada della pace”. Prima, dettando a braccio l’omelia della Messa celebrata in suffragio di tutti i caduti, aveva commosso i presenti e impegnato il mondo che avrebbe letto a riflettere sull’essere e il divenire dell’umanità.
Con semplicità mista a evidente commozione papa Francesco diceva: “Mi viene in mente uno scritto, letto alla porta di un piccolo cimitero, al nord: Tu che passi, pensa ai tuoi passi, e dei tuoi passi pensa all’ultimo passo. Tu che passi. La vita è un cammino, tutti noi siamo in cammino. Tutti noi, se vogliamo fare qualcosa nella vita, siamo in cammino. Che non è passeggiata, neppure labirinto, no, è cammino.
Nel cammino, noi passiamo davanti a tanti fatti storici, davanti a tante situazioni difficili. E anche davanti ai cimiteri. Il consiglio di questo cimitero è: Tu che passi, ferma il passo e pensa, dei tuoi passi, all’ultimo passo. Tutti avremo un ultimo passo. Qualcuno può dirmi, Padre, non sia così luttuoso, non sia tragico. Ma è la verità. L’importante è che quell’ultimo passo ci trovi in cammino, non girando in passeggiata; nel cammino della vita e non in un labirinto senza fine. Essere in cammino perché l’ultimo passo ci trovi camminando. Questo è il primo pensiero che vorrei dire e che mi viene dal cuore.
Il secondo pensiero, sono le tombe. Questa gente — brava gente — è morta in guerra, è morta perché è stata chiamata a difendere la patria, a difendere valori, a difendere ideali e, tante altre volte, a difendere situazioni politiche tristi e lamentabili. E sono le vittime, le vittime della guerra, che mangia i figli della patria. E penso ad Anzio, a Redipuglia; penso al Piave nel ’14 — tanti sono rimasti lì —; penso alla spiaggia di Normandia: quarantamila, in quello sbarco! Ma non importa, cadevano…
Mi sono fermato davanti a una tomba di un Inconnu. Mort pour la France – 1944. Neppure il nome. Nel cuore di Dio c’è il nome di tutti noi, ma questa è la tragedia della guerra. Sono sicuro che tutti questi che sono andati in buona volontà, chiamati dalla patria per difenderla, sono con il Signore. Ma noi, che stiamo in cammino, lottiamo sufficientemente perché non ci siano le guerre? Perché non ci siano le economie dei Paesi fortificate dall’industria delle armi? Oggi la predica la fanno le tombe, quella che ricorda uno Sconosciuto Morto per la Francia e poi tutte le altre, alcune con il nome, poche altre no. Ma queste tombe sono un messaggio di pace. Dicono infatti fermatevi, fratelli e sorelle, fermatevi! Fermatevi, fabbricatori di armi, fermatevi! Questi due pensieri vi lascio: tu che passi, pensa, dei tuoi passi, all’ultimo passo, che sia in pace, in pace del cuore, in pace tutto; queste tombe che parlano, gridano, gridano, gridano: Pace!
LUCIANO COSTA