Ci sono e si si vedono: sono muri vergognosi, costruiti ora per dividere popoli e nazioni, ora per difendere la pretesa del territorio, ora per mostrare i muscoli e impedire ai disperati di attaccare il ricco fortino… Poi, anche per ingannare i comuni mortali e renderli certi di qualcosa di incerto, come il prezzo uguale a ieri, nascondendo che ieri il prezzo prevedeva un tot di merce e oggi un poco meno…
E’ UNA BUONA NOTIZIA QUELLA CHE RACCONTA OGGI l’inizio della fine di almeno uno dei muri della vergogna costruiti in giro per il mondo. Questo muro è conosciuto come “el muro de la vergüenza”, il muro della vergogna, ed è una lunga barriera che divide in due la città di Lima, capitale del Perú. Un confine di pietra e filo spinato che separa l’insediamento urbano del ricco quartiere di Las Casuarinas, dominato da ville con piscina, e le povere case, poco più di baracche in legno e lamiera senza elettricità né acqua corrente, delle zone di Pamplona, San Juan de Miraflores e Villa María del Triunfo. Due territori — ma potremmo dire anche due emisferi, per il loro valore sociale e umano — separati dal 1985, anno in cui è iniziata la costruzione di quel muro, divenuto poi negli anni lungo 10 km e alto 3 metri.
All’epoca, i suoi promotori ne motivarono la necessità per ragioni di sicurezza, in quanto soprattutto negli anni Ottanta e Novanta si temevano le violenze perpetrate dai guerriglieri di Sendero Luminoso. Ma con il trascorrere del tempo, quella barriera è divenuta sempre più simbolo di una grave situazione di ingiustizia sociale e di una divisione classista vissuta dalla popolazione di Lima. Non a caso, gli abitanti più poveri che ogni giorno devono recarsi nella zona più facoltosa della capitale per lavorare sono costretti ad attraversare dei veri e propri posti di blocco, esibendo i documenti di identità e sottoponendosi talvolta a perquisizioni.
Ora, però, è giunta una buona notizia: il muro è in fase di demolizione. Le ruspe hanno già iniziato a buttare giù le grosse pietre che compongono la struttura, mentre gli operai, cesoie alla mano, stanno tagliando il filo spinato che la sormonta. I lavori sono iniziati i primi di settembre, dopo una sentenza della Corte Costituzionale, emessa il 20 dicembre. Secondo il giudice Gustavo Gutiérrez Ticse, infatti, il muro va completamente abbattuto in quanto incostituzionale non solo perché limita il libero transito delle persone, ma anche e soprattutto perché ne lede la dignità.
NON E’ UNA BUONA NOTIZIA QUELLA CHE manda a dire che saremmo anche moderni-modernissimi, ma anche incapaci di capire dove-come-quando le grandi potenze economiche si prendono gioco di noi. Per esempio, usando un metodo – detto shrinkflation – che passa inosservato ma che di fatto è quanto meno truffaldino. Questo metodo è una pratica di marketing semplice ma potenzialmente ingannevole che si chiama “shrinkflation”, un termine anglosassone datato 2009 e composto dal verbo shrink, che vuol dire restringere, rimpicciolire, e inflation ovvero inflazione. Una strategia sempre più utilizzata dalle aziende per combattere appunto l’inflazione dei prezzi e non scoraggiare l’acquisto di prodotti, soprattutto in campo alimentare. E mentre le notizie principali degli ultimi periodi sono zeppe di riferimenti all’aumento dei prezzi dei beni principali e non solo, con scontrini che dividono più di un ballottaggio politico, proliferano queste tecniche a cui fare attenzione. Tanto che l’Unione Nazionale Consumatori ha chiamato in causa l’Antitrust per far luce su certi comportamenti e verificarne la trasparenza.
Ma cos’è nello specifico la shrinkflation e che beni colpisce? Peso inferiore e prezzi uguali o maggiorati. In poche parole la shrinkflation tramite il ridimensionamento del peso consolidato di prodotti di largo consumo, maschera l’aumento del prezzo. In italiano si chiama sgrammatura e in molti casi la confezione rimane perfino la stessa, traendo in inganno il consumatore e facendogli percepire sicurezza nell’acquisto grazie ad un packaging sovradimensionato. A finire nel mirino dell’Antitrust sono state le colombe pasquali da 750gr (invece che da un chilo!), le mozzarelle da 100gr (invece che da 125!), le confezioni di caffè da 225 (al posto di quello da 250!), la pasta non nei formati da 500gr e da 1kg, il tè con 20 bustine invece di 25 e innumerevoli altri prodotti. Insomma, sembra essere un metodo che crea inflazione occulta e per questo molto dannoso per le tasche dei consumatori.
Quali prodotti colpisce la shrinkflation in campo alimentare? Secondo l’esposto all’Antitrust, sono 11 le categorie alimentari più a rischio: il mondo dei dolci è in generale sotto attacco, come quello di zuccheri, confetture, miele, ma anche pasta, pane e cereali. In molti casi con un incremento di prezzo notevole. E il fenomeno non è ristretto a poche marche, ma diffuso, già generalizzato.
Come difendersi da questa pratica? “Altroconsumo”, l’organizzazione di consumatori più importante d’Italia, offre alcuni spunti: “Quando siamo al supermercato è sempre bene valutare il formato del prodotto che stiamo per acquistare, cioè il peso o il volume, e controllare il prezzo al kg o al litro, così da capire effettivamente quanto stiamo spendendo in proporzione alla quantità di prodotto che mettiamo nel carrello”. Insomma, occhio al prezzo e anche al peso.
(A cura di LUCIANO COSTA)