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I pallonari impazziti

Scene già viste: uno scudetto vinto dall’Inter e tifosi che si scatenano per dimostrare che la loro squadra il mondo (calcistico) lo farà tremare come e più di quanto già non tremi. Così una domenica che doveva essere la dimostrazione di come si possa stare felicemente coi piedi per terra senza concedere spazio a divagazioni e a contaminazioni ulteriori, a Milano e dove il tifo nerazzurro covava sogni di rivincita dopo troppi anni di digiuno forzato, è andata in scena la follia del giubilo: tutti in piazza o in strada a gridare e a sventolare bandiere senza preoccuparsi di ciò che il tempo della pandemia consigliava come antidoto al suo perversare, e cioè mascherine indossate, distanziamento mantenuto, assembramenti evitati.

Ma chi se ne frega!  Il virus che milioni di morti e danni incalcolabili ha già causato diventa un optional, qualcosa che seppur capace di far tremare la terra, di fronte a un pallone gonfiato che va a gonfiare le porte avversarie, diventa un moscerino fastidioso ma facile da debellare: non servono tamponi o vaccinazioni, bastano un soffio per fargli cambiare traiettoria e una manata per indurlo a ritirarsi alla bell’e meglio. Ieri la festa, domani o chissà quando qualcuno presenterà il conto di così scellerata esultanza. Però, chissà, forse potrebbe anche non succedere niente di grave e di irreparabile. Magari il virus, scopertosi anche lui tifoso, in quel giorno di giubilo aveva dimenticato di essere nemico dell’umanità…

Sperando che questa volta “tutto vada bene”, sgonfio il pallone e lascio spazio alla ragazza che con quattro salti e mille giravolte ha sconvolto le ferree leggi della fisica e propiziato l’avvento di un giubilante tifo che pur senza riempire piazze e strade ha indotto i gazzettieri sportivi a chiedere per lei l’onore di essere capofila e portabandiera dell’italica spedizione alle imminenti Olimpiadi di Tokyo. In fondo, uno su mille ce la fa… Forse. Senza forse, una che ce l’ha fatta sfidando ogni logica e ogni previsione è Vanessa, piccolo gigante di Orzinuovi, ragazza innamorata dell’evoluzione ginnica spinta alla massima potenza, sostenitrice ineguagliabile del possibile anche quando sembra impossibile.

La ricordo quella ragazzina: Senza avere alle spalle gazzettieri ed esperti di massmediologia e facendo affidamento solo e sempre “sul ci credo, quindi posso”, ha scalato le vette della ginnastica artistica provocando mal di pancia improvvisi a titolate atlete dell’est e dell’ovest che in quell’arte sembrava non avessero rivali. La sconosciuta seppur gloriosa “Ginnastica Brescia” (era tal quale a un Nessuno e gli spazi, come i contributi necessari per fare sport serio e agonistico, doveva conquistarli giorno per giorno) grazie ai numeri e alle vittorie di Vanessa è diventata un vero e proprio Ulisse: sapiente, forte, abile nel dosare le forze, impareggiabile nell’escogitare modi e modelli da portare in giro per il mondo, capace di vincere e di stupire.

Una Ulisse, però vulnerabile e soggetta, come qualsiasi comune mortale, allo strappo, alla caduta, alla lesione di tendini e qualunque altro marchingegno utile all’elevazikone e al rietro al piano senza subire danno. “L’ultima cosa che ricordavo di Vanessa Ferrari – ha scritto un affezionato commentatore di ginniche imprese –  era un rumore fragoroso. Il rumore di quella caduta durante l’esercizio al corpo libero della finale ai Mondiali di Montreal di ginnastica artistica, nel 2017. All’uscita di una diagonale, dopo una serie di salti impressionanti per difficoltà e altezza, le era saltato il tendine di Achille. Nessun urlo, niente. Una specie di fucilata, ma con il silenziatore, ed era caduta e rimasta a terra lì, nell’angolo della pedana. Circondata dallo staff medico e dai suoi allenatori, la ricordavo a terra, senza un lamento e con lo sguardo smarrito, consapevole che quello avrebbe potuto essere l’ultimo salto di una vita da ginnasta. Tutti avevano pensato che quella potesse essere la fine, struggente, di una carriera splendida, ma sempre segnata dal continuo sfinimento di infortuni e dolori fisici”.

Invece, benché da allora la ragazza fosse costretta a sostare nelle retrovie, con quei suoi quasi trent’anni che inducevano a consigliarle di pensare serenamente al dopo, lei non ha smesso mai di credere che un’altra Olimpiade, questa volta meno sfortunata, sarebbe stata possibile. Gare e apparizioni le davano ragione. Poi, improvvisamente, il Covid interruppe i suoi sogni. Eppure, vederla allenarsi in garage durante i lockdown, suscitava ammirazione e stupore lasciando intendere che ce l’avrebbe fatta. E lei, forse per stupire o forse per dimostrare che la sua cercata libertà sull’imprevisto (incidente o malattia, senza differenze) era la stessa che altri prima di lei avevano cercato e conquistato, scelse la canzone simbolo della libertà conquistata per dimostrare di nuovo di che pasta era fatta.

“Bella ciao”, in quel 25 Aprile che segnava la sua apparizione ai Campionati Europei di ginnastica artistica, divenne l’unica melodia capace di attraversare confini nazionali e barriere linguistiche e diventare la base della sua fantastica esibizione, ma anche l’inno di tutti coloro che nel mondo resistono ai soprusi e vogliono rialzarsi dopo ogni caduta. Così quel giorno, con eleganza, Vanessa “ha riavvolto il nastro di una carriera, ha abbinato la colonna sonora più evocativa possibile e quindici anni dopo quelli che sono stati i suoi momenti migliori di atleta, è tornata sul podio, vincendo una meravigliosa medaglia di bronzo. Volteggiando, con grazia e rispetto, proprio sulle note del canto partigiano che per eccellenza rappresenta il desiderio di combattere per il proprio futuro, Vanessa ha vinto una medaglia che vale doppio. Una medaglia dal valore sportivo enorme, perché conquistata dopo un percorso così tortuoso e contro avversarie che hanno la metà dei suoi anni, ma anche dal valore incommensurabile nel dimostrare che gli atleti possono e sanno dire come la pensano e da che parte stanno, cosa certamente non così comune nel mondo dello sport”.


Me la ricordo quella ragazzina che la sua minima vittoria nel torneo paesano la dedicava alla mamma. E’ la stessa che dopo la vittoria europea ha dedicato la medaglia “all’Italia intera, in una data così importante per il nostro Paese, il 25 aprile, giorno della Liberazione”. Si chiama Vanessa e merita applausi ed evviva.

LUCIANO COSTA

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