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I tortellini, la politica e la foresta

Nel brodo politico, liberi e giocondi, sguazzano in ordine sparso quelli che si dicono di sinistra, oppure di destra, ma anche di centro o addirittura che si vantano di stare fuori dalle consuete raffigurazioni ma che in ogni caso vogliono la loro parte del minutaggio stabilito dal manuale della cosiddetta “par condicio” mediatica. Siamo, come sapete, nel mezzo della seconda ondata pandemica, ma è come se stessimo nella prima: stesse paure, stessi distinguo, stesse polemiche, stesse corse tra chi le spara più grosse e a chi promette la luna più bella e luminosa. L’invito del Capo dello Stato all’unità per uscire dalla crisi è lì sospeso e in attesa di eventi. Per adesso si registrano i sì della maggioranza, i ni di certa sinistra, il possibilismo di Berlusconi e il, negazionismo di Salvini, Meloni e altri rimasugli sparsi. Il Pese piange, ma la politica non trova modo di offrire qualcosa in più di qualche se e tanti ma, alcuni vedremo e troppi silenzi. E’ anche veri che nessuno possiede la bacchetta magica, ma di sicuro non sarà questo continuo attorcigliarsi in dispute e polemiche che risolverà la questione. Semmai, questo vortice di detti e contraddetti, deprimerà ancor di più il già depresso panorama.

Che fare? Non lo so, non lo sa il mio vicino e non lo sanno neppure i miei dirimpettai. Quindi, cerco tra le righe dei soliti quotidiani stampati qualche appiglio per non cedere alla melanconia. Uno, proprio ieri, mi ha sollevato il morale ricordandomi che nel tomo primo de “L’Apicio moderno”, dato alle stampe in seconda edizione nel 1807, Francesco Leonardi, cultore della gastronomia e precursore del più noto Pellegrino Artusi, riporta una ricetta della zuppa di tortellini alla bolognese. Che inizia così: «Fate una sfoglia come la precedente. Pestate nel mortaio del petto di pollo arrosto, aggiungete midollo di manzo ben pulito».

Ma come! A settembre dello scorso anno a Bologna scoppiò la rivolta indignata dei puristi del tortellino quando, per non escludere dalla festa in onore del patrono Petronio i cittadini di fede musulmana che non mangiano maiale, si propose di prepararne anche con la carne di pollo, e ora si scopre che due secoli prima la ricetta li prescriveva proprio con questo ingrediente? Colpa di Maurizio Bettini, professore di Filologia, che in un libro gustosissimo – è intitolato “Hai sbagliato foresta”, edito da Il Mulino -, mette lì la ricetta aggiungendovi divagazioni, commenti e riflessioni davvero straordinarie, buone in sovrappiù per demolire uno dei tanti presunti tradimenti dell’identità culturale italiana, quella che ci vorrebbe, noi italiani, tali e quali a «chierici e armigeri del sovranismo» in cui cova «il furore dell’identità».

E’ un tema importante, addirittura dominante nel dibattito politico e nell’universo dei media. Per argomentare le sue riflessioni critiche Bettini parte da un’illuminante quartina di Giorgio Caproni intitolata Cabaletta dello stregone benevolo che recita così: «Non chieder più. / Nulla per te qui resta. / Non sei della tribù. / Hai sbagliato foresta». Tradotto significa, spiega l’autore, che “sembriamo tutti stregoni, preoccupati di stabilire chi appartiene alla tribù e chi no, sempre ansiosi di dire a qualcun altro che “ha sbagliato foresta”, con il logico corollario che deve smetterla di accampare pretese su un territorio, il “nostro”, che non gli appartiene».

Si sa che per vincere la ripugnanza suscitata dal “disordine” introdotto da chi non è della tribù, i paladini del sovranismo hanno scelto alcune parole d’ordine: delimitare, escludere e, soprattutto, “rimettere a posto” i diversi… Chi sono i diversi Bettini lo spiega, ma qui, volutamente, non lo riferisco, soprattutto perché credo che ciascuno debba rispondere da sé a questo inquietante quesito. Gaetano Vallini, romano, scrive che “con riflessioni puntuali Bettini passa in rassegna i misfatti del furore identitario nella conversazione culturale, fornendo una sorta di filo di Arianna per non rimanere prigionieri della foresta”. Il riferimento iniziale al brodo (politico) e ai tortellini l’ho preso in prestito per sottolineare come sia facile scambiare chi siamo con chi vorremmo essere. Gli esperti dicono che questo modo di identificarsi si chiama “ossessione dell’identità”. Secondo Bettini e il suo magnifico libro, lo dimostrerebbero “anche alcune crociate contro l’apertura di catene di negozi stranieri, percepite come pericolose contaminazioni, salvo dimenticare che alcune icone della cucina italiana nel mondo, come pizza e spaghetti, non esisterebbero senza il pomodoro, importato dalle Americhe”. Vuol dire che siamo contaminati da culture diverse, di sicuro non pericolose.

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