Fra vent’anni un altro Vasilij Grossman, in un altro poderoso romanzo, scriverà, come il primo Grossman aveva fatto per raccontare l’orrore di Stalingrado, che in Ucraina, terra pacifica e libera, nell’anno 2022 «le fiamme divampavano ovunque, appiccate da decine di migliaia di bombe incendiarie… Enorme, la città si spegneva tra il fumo, la polvere e il fuoco, nel boato che scuoteva il cielo, l’acqua e la terra»… E dovrà anche aggiungere che «lo spettacolo era tremendo, ma ancor più tremenda era la morte negli occhi di un esserino di sei anni schiacciato da una trave di ferro. Perché se esiste una forza capace di risollevare dalla polvere di città enormi, non c’è forza al mondo in grado di risollevare le palpebre dagli occhi di un bambino morto».
Ieri come oggi, da quel romanzo di Grossman, che in novecento pagine raccontava miserie e lutti senza fine (è adesso ripubblicato da Adelphi e va ad infoltire la serie di libri dedicati alla Russia di Putin e messi in circolo con la pretesa di spiegare, con risultati per lo più deludenti e in qualche caso a sostegno di una parte anziché della verità) emergerà di nuovo, arrivando a colpire al cuore come un pugno, “la sensazione di irreale eppure evidente attualità” della guerra assurda e feroce condotta senza pietà contro l’Ucraina.
Racconta la storia che l’assedio di Stalingrado fu “la più flagrante e mortifera sconfitta dell’asse tedesco/ italiano durante il secondo conflitto mondiale”; dirà la storia fra vent’anni che la piccola Ucraina, pur devastata dal furore dell’esercito russo, non si piegò al volere del dittatore Putin e resistette in nome della libertà e della democrazia. Stalingrado è una tragedia di guerra lontana nel tempo, “ma il cui odore acre di morte, così come l’insensata conseguenza dello scatenarsi, perdurare e non finire del conflitto, coincidono con sensazioni contemporanee, odierne”, tremendamente attuali. “La furiosa battaglia scatenata contro la città di Stalingrado nel cupo 1943, quell’assedio che nelle menti di Hitler e di Mussolini sarebbe dovuto essere immane, tremendo e definitivo e che trovò invece straordinaria resistenza degli abitanti russi, vittoriosi nel respingere gli invasori – ha scritto l’esperto recensendo la riedizione del volume di Grossman -, diversamente formulata e posizionata ci ricorda in modo drammatico gli orrori bellici cui da quarantatré giorni assistiamo immersi a navigare in rete nei nostri computer, leggendo i giornali e guardando i telegiornali”. Qui, di nuovo, siamo chiamati a fare i conti con la guerra, non vedendo immagini, ma piuttosto leggendo un romanzo, un grande romanzo che, come allora “disegna l’angoscia e l’incredula pena” di un dramma che, ahimè, siamo costretti a rivivere e rivisitare senza concedere spazio alle emozioni, pesando soltanto l’orrore della carneficina…
In Stalingrado (che Vasilij Grossman aveva pubblicato a puntate sulla rivista ‘Novyj Mir’ nel 1952 con il titolo Za pravoe delo, che tradotto significa “Per una giusta causa”), lo scrittore lega le vite dei singoli al corso della Storia. “Ogni microcosmo di biografia individuale – scrive il recensore – va a convergere nella sorte collettiva della guerra, quella guerra che in quel momento era il mare in cui sfociavano tutti i fiumi e da cui tutti i fiumi nascevano. Perché la Storia, e il saperla leggere, capire, romanzare, significa suscitare pensieri e riflessioni: osservare un soldato, immaginare cosa stia pensando, individuare in quell’istante, in quei suoi muti pensieri supposti e solo figurati, il punto di svolta di un intero conflitto. E la guerra, oltre a fare da sfondo ad amori, gioie, dolori, allontanamenti, ricongiungimenti tra donne e uomini dai cuori ancora palpitanti e vivi nonostante il fiato della morte sparga ovunque il suo tetro silenzio, la guerra marchia tutto della sua impronta insensata. Mette in risalto ciò che nella vita conta e quel che invece non vale nulla, è meschino, di nessun peso”.
Settant’anni dopo, le pagine scritte da Grossman dettano “meditazioni sul male, sul suo perdurare e inesausto distruggere; su quanto ogni guerra, proprio nella sua inutilità, sia un terremoto le cui scosse si assestano seminando un’angoscia che quella anche a sua volta necessita di moltissimo tempo per assestarsi, trovare uno spazio tra il dolore e lo sdegno insopportabili, e quella vita che invece, nella sua febbre, inevitabilmente va avanti, prosegue il suo corso, sempre e comunque”. Di nuovo, quel modo di raccontare i potenti di quel tempo – Hitler, Stalin, gerarchi nazisti e capi di battaglioni e di armate sovietici -, torna a dirci che dei tiranni sono cambiate le fisionomie, ma che resta immutata la loro feroce sete di potere. «Chi compie crimini contro l’umanità – ha scritto Grossman – è un criminale, e non smette di esserlo perché la storia serba memoria di quanto ha commesso: sono le sue devastazioni che i secoli ricorderanno. Non sono eroi: sono carnefici e sono farabutti. Sono figli di forze oscure e cieche».
Eppure, anche adesso, mentre le pagine raccontano “di un mondo in fiamme, dove ogni valore umano pare bruciare tra le lingue di fuoco di una gigantesca pira assurda, sconsiderata” lo scrittore “celebra la vita, non smette di celebrarla”. Accadeva in Tolstoj, accadeva in Vita e destino, accade in modo emozionante in Stalingrado. Poi, fra vent’anni, leggeremo un novello Grossman, che raccontando la tragedia accaduta in Ucraina nell’anno 2022, ripeterà quel che già era stato scritto. E cioè che “accanto alla città assediata e distrutta, giacciono come rivoli storie di individui vivi e dai cuori pulsanti nonostante la morte muova e sbatta le sue grandi ali sopra le loro teste, sopra i loro destini, sopra le loro salvezze e i loro riscatti mancati…”.
Da ieri, alla Russia di Putin l’ONU ha tolto il diritto di far parte della Commissione per i diritti umani. Se fa rumore la notizia, ancor di più fa rumore chi votando contro o astenendosi ha cercato di impedire che la decisione divenisse concreta. Eppure, anche agli occhi di costoro apparivano “le fiamme che divampavano ovunque, appiccate da decine di migliaia di bombe incendiarie… e si mostrava la città che si spegneva tra il fumo, la polvere e il fuoco, nel boato che scuoteva il cielo, l’acqua e la terra”. Ieri era Stalingrado, oggi è l’Ucraina.
LUCIANO COSTA