Il bollettino della discordia

Bollettino sì o bollettino no? Il diventato solito appuntamento del tardo pomeriggio con i dati Covid – nuovi positivi, decessi, tamponi, ricoverati – ci accompagna da quasi due anni. Già in passato si erano levate voci critiche sull’utilità di divulgare quei numeri ogni giorno: ansiogeni, si è detto, o falsamente rassicuranti a seconda dei periodi. D’altra parte c’è chi obietta che silenziarli, riservandoli alla cerchia degli addetti ai lavori, potrebbe essere interpretato come una censura alimentando fantasie di complotti. Va chiarito che nessuno ha mai proposto, né oggi né in passato, di oscurare quei dati: l’alternativa è tra divulgarli ogni giorno o settimanalmente. A riaprire il dibattito, con i nuovi casi schizzati ieri attorno ai 200mila e oltre 2 milioni di italiani positivi, è stato ieri il virologo Matteo Bassetti, che a proposito del report quotidiano ha confermato come esso “non dice nulla e non serve se non a mettere l’ansia alle persone”.

Certo, tante persone sono positive ma, di fatto, non sono ammalate o sono poco sintomatiche. Avrebbe senso un censimento dei raffreddati in Italia? Il bollettino non dice nulla (o poco) sull’effettivo stato di salute dei positivi. Mette ansia e descrive una situazione peggiore della realtà. “Siamo rimasti gli unici a farlo. Che senso ha – chiede Bassetti – dire che un giorno abbiamo 250mila persone con un tampone positivo? Bisogna specificare se sono sintomatici, asintomatici, sono ricoverati, stanno a casa. Sono numeri che ci fanno fare brutta figura col resto del mondo, perché sembra che vada tutto male e invece non è così. Nella realtà altri Paesi che hanno molti più contagi di noi cercano di gestirli in maniera diversa. Se continuiamo così finiremo con l’andare in lockdown di tipo psicologico e sociale”. Da qui la proposta fatta al ministro Roberto Speranza di rivedere il meccanismo. Il numero dei contagi, infatti, di per sé non dice nulla. E’ invece necessario, dicono gli esperti della comunicazione, soffermarsi essenzialmente sui dati delle ospedalizzazioni e occupazione delle terapie intensive.

Ovviamente non tuti sono d’accordo. Dentro e fuori dal Governo le opinioni si sprecano. Un sottosegretario dice di ritenere utile “una comunicazione puntuale e trasparente di tutti i dati disponibili, accompagnata da un’adeguata interpretazione che aiuti i cittadini a orientarsi meglio in questa nuova fase della pandemia”. Per il virologo Pregliasco “comunicare giornalmente il dato relativo ai contagi rappresenta una posizione di trasparenza e la raccolta del dato in se è fondamentale per la ricerca e la sanità pubblica. Siamo ancora in una fase di transizione, e non fornire oggi tale dato potrebbe facilitare un ‘liberi tutti’ a cui non siamo ancora pronti”. Per il presidente dell’Associazione Italiana di Epidemiologia Lucia Bisceglie “è come rompere il termometro quando abbiamo la febbre. Il monitoraggio dei contagi giornaliero è una guida; e possedere informazioni costanti e tempestive ogni giorno – aggiunge – ci mette nella condizione di intercettare sul nascere i segnali di allerta”.

E se, invece, i dati raccolti fossero puntualmente spiegati anziché gettati in pasto alla curiosità? In fondo, basterebbe suddividerli tra reali, ipotetici, sintomatici, asintomatici, nuovi, ripetuti… e subito dopo raggrupparli così da definire un quadro di riferimento preciso e reale. Il resto, cioè la comprensione dei dati messi a disposizione, la devono mettere in conto gli utenti, cioè noi, senza allarmismi e paure, solo facendo uso del buon senso e dell’intelligenza.
LUCIANO COSTA

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