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Il dovere di ascoltare

Ci vorrà del tempo per capire il senso profondo che il messaggio contiene, ma è indubbio che il suo titolo – «Ascoltate!» – è di quelli che mettono in crisi, turbano, interrogano fino al punto di mettere a nudo le certezze che il mondo dell’informazione ha creduto e crede di possedere. “Ascoltate” è il tema della “Giornata mondiale delle comunicazioni sociali” (venne istituita da papa Paolo VI nel 1967 e rappresentava l’attuazione della volontà espressa dal Concilio Vaticano II) che giunge alla sua cinquantaseiesima edizione. La celebrazione, prevista nel prossimo anno, idealmente amplifica il tema che era stato posto alla precedente edizione – incentrato “sull’andare a vedere” – e sollecita impegni per “reimparare ad ascoltare”.

Per imparare ad ascoltare, però, non basta allungare l’orecchio. Piuttosto, serve mettere cuore nelle azioni di ascolto e aggiungervi la capacità di accogliere ogni parola che proviene da chi ci sta di fronte, quel prossimo che ci raffigura e che non smette di inquietare. Non meno importante è leggere la realtà che ci circonda, quella che dice come la pandemia abbia colpito e ferito tutti, e come tutti abbiano bisogno di essere ascoltati e confortati; quella che spiega come l’ascolto sia fondamentale anche per una buona informazione; la stessa che conferma come la ricerca della verità cominci dall’ascolto; quella che ai mezzi di informazione impone di essere portatori di testimonianza di bene e di giusto. Nel nuovo messaggio si legge che “ogni dialogo, ogni relazione comincia dall’ascolto”. Quindi, per poter crescere come comunicatori, bisogna “reimparare ad ascoltare…” tanto, bene, sempre. Compito non facile. Infatti, dice papa Francesco “per poter veramente ascoltare ci vuole coraggio, ci vuole un cuore libero e aperto, senza pregiudizi…”.

Tra le righe del messaggio si legge che “la pandemia è una crisi e da una crisi non si esce uguali: o usciamo migliori o usciamo peggiori”. E’ un’affermazione che oggi assume ancora più vigore nel momento in cui faticosamente (e in modo difforme a seconda dei Paesi) stiamo cercando di uscire dalla crisi pandemica o perlomeno dalla sua fase più acuta. Possiamo già domandarci perciò se abbiamo appreso qualche insegnamento in questo tempo drammatico che ha accomunato l’umanità in una prova senza precedenti. Se cioè “siamo diventati migliori o peggiori rispetto a come eravamo prima che il covid-19 sbriciolasse tante nostre sicurezze, rendendoci tutti più fragili e ognuno più bisognoso dell’altro”. Questo migliorarsi o peggiorarsi, per papa Francesco, non ha un significato moralistico. Invece, ha a che fare con il cuore, perché “è nella conversione dei cuori – dice al mondo dell’informazione perché lo trasmetta urbi et orbi -, che possiamo davvero riscontrare uno sviluppo della nostra fraternità e, come cristiani, una crescita nell’aderenza al Vangelo”.

Secondo Alessandro Gisotti, notista di cose vaticane, “la conversione del cuore non è un fatto statico: è piuttosto un movimento, un cammino che non ha un punto d’arrivo prestabilito perché è riflesso di una relazione personale e questa non ha mai fine se è davvero autentica”. C’è però un punto di partenza di questo cammino: l’ascolto. Anzi, l’ascoltare (parola che si aggiunge alle tre pronunciate da Francesco all’inizio del suo pontificato e che racchiudevano il senso della sua missione: edificare, confessare, camminare) diventa testimonianza di quella fede che “è tanto più radicata in Cristo, e quindi salda, quanto più è in moto, in azione, protesa in uscita verso il prossimo chiunque egli sia e dovunque si trovi”.

Il messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali indica proprio nell’ascoltare il tema e l’impegno a cui sono chiamati gli operatori dell’informazione. È un compito esigente, perché i comunicatori – giornalisti e chiunque sia chiamato a informare – sono abituati a pensare che per comunicare efficacemente bisogna avere l’ultima parola, concludere il discorso, pubblicare il tweet decisivo. Invece, sarebbe semplicemente necessario e giusto “stare in ascolto, fare un esercizio di umiltà, diventare prossimi, perché non si può ascoltare l’altro se non gli si sta vicino. Per farlo, come esortava a fare la precedente giornata, è ancora necessario “consumare le suole delle scarpe” per andare a incontrare le persone, le storie e, dunque le notizie, laddove sono e come sono.

Ascolto come bussola per orientarsi nel complicato mondo delle notizie. Parlando alla gente riunita per l’Angelus domenicale, Francesco ha inventato l’apostolato dell’orecchio, con ciò incoraggiando i giovani a sostenere i propri coetanei in difficoltà attraverso l’ascolto-terapia, chiedendo ai Pastori di ascoltare il Popolo di Dio, le sue miserie, le sue debolezze, i suoi rimpianti e così costruire un solido percorso di guarigione e riconciliazione. Domenica scorsa il Papa ha ricordato che “tutti abbiamo gli orecchi, ma tante volte non riusciamo ad ascoltare. Presi dalla fretta, da mille cose da dire e da fare, infatti, non troviamo il tempo per fermarci ad ascoltare chi ci parla”.

LUCIANO COSTA

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