C’era una volta un sindaco, uno di quelli venuti dal popolo, figlio di poveri contadini, piccolo di statura ma grande di intelligenza e di cuore. Si chiamava Giovanni e non c’era persona che incontrandolo non lo salutasse volentieri. Quando gli toccava parlare lo faceva senza mai esagerare il tono della voce, guardando negli occhi chi gli stava davanti, dicendo solo parole di verità, il necessario per farsi intendere e per spiegare quel che si poteva e si doveva fare. Se gli toccava fare un discorso ufficiale, davanti al monumento eretto in ricordo dei caduti di tutte le guerre, o abbracciando il tricolore nella festa della Liberazione, oparlando ai lavoratori quando il 1 Maggio diceva che era proprio la loro festa, o per salutare qualche autorità di passaggio, o prete in uscita o in entrata, un qualunque cittadino che avesse servito la Patria e andato avanti troppo in fretta, con gli occhi lucidi e il sorriso smagliante, quei discorsi li chiudeva immancabilmente richiamandosi alla nostra Costituzione (“Viva la Costituzione – diceva –, che è la più bella e saggia, somma di valori e virtù di cui dobbiamo essere fieri”), alla Libertà (“Viva la Libertà – affermava convinto –, teniamocela stretta, che l’abbiamo conquistata con tanta fatica” e alla Democrazia (Viva la Democrazia – gridava – che ci permette di essere uguali gli uni agli altri”). Giovanni i è tornato ieri e l’altro ieri alla mente ascoltando i discorsi dei presidenti eletti al Senato e alla Camera. L’uno e l’altro discorso, ma spero sia solo la mia impressione, mi sono sembrati scritti più per forma che per sostanza, E nessuno dei due, alla fine, chiudeva alla maniera di Giovanni, mettendo cioè, innanzi a tutto, la Costituzione, la nostra Costituzione, la magna carta dei diritti e dei doveri di ciascuno.
Eppure, se ho ben capito, tra le cose necessarie (tesserino, scheda, agenda, istruzioni, ecc. ecc.) consegnate a ciascuno degli eletti al momento del loro ingresso in Parlamento c’era proprio anche una copia della Costituzione. Il dubbio, tutto mio, è che il dono del prezioso volumetto, contenente la Costituzione, sottintendesse che non l’avessero mai letto o che avrebbero dovuto leggerlo prima di accomodarsi, chi al Senato e chi alla Camera. Dubito, ma spero che quel libretto sia stato e venga letto e meditato. Per il bene dell’Italia e, quindi, anche nostro. Il mio amico Giovanni la Costituzione la conosceva a memoria…
Piero Calamandrei, uno dei padri costituenti, parlando ai giovani studenti di Milano per spiegare la Costituzione, in quei primi anni cinquanta dettò una lezione di vita che resta ancora attualissima. Disse: “La nostra è una Costituzione che apre le vie verso l’avvenire, non voglio dire rivoluzionaria, perché rivoluzione nel linguaggio comune s’intende qualche cosa che sovverte violentemente; ma è una Costituzione rinnovatrice, progressiva, che mira alla trasformazione di questa Società, in cui può accadere che, anche quando ci sono le libertà giuridiche e politiche, siano rese inutili, dalle disuguaglianze economiche e dalla impossibilità, per molti cittadini, di essere persone e di accorgersi che dentro di loro c’è una fiamma spirituale che, se fosse sviluppata in un regime di perequazione economica, potrebbe anch’essa contribuire al progresso della Società”. Per farlo, però, aggiungeva “serve l’impegno di fare quanto è in noi per trasformare il presente e renderlo un buon futuro per tutti”.
Poi spiegò agli studenti che “la Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile. Bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità; per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica, indifferentismo, che è, non qui per fortuna, in questo uditorio, ma spesso in larghi strati, in larghe categorie di giovani, un po’ una malattia dei giovani”. Con pazienza, quel giorno Calamandrei, mettendo in guardia contro la comodità di lasciare la politica a pochi altri, aggiunse pensieri che sottolineavano il dovere di nonstare alla finestra, spettatori muti dello scorrere del tempo, di non accontentarsi della libertà avuta in dono, perché quella libertà doveva essere ogni giorno aggiornata e testimoniata… “Però – aggiungeva quasi supplicando ascolto e impegno – la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare… E la Costituzione è l’affermazione solenne della solidarietà sociale, della solidarietà umana, della sorte comune… E’ la Carta della propria Libertà, la Carta per ciascuno di noi, della propria dignità…”.
Basta leggerla, o anche solo cercare quel che tra gli articoli che la compongono (sono 139 ai quali si aggiungono 18 disposizioni transitorie) serve per adeguare il proprio pensiero e la propria azione al bene comune. Calamandrei, per invogliare i giovani a diventare protagonisti del loro futuro, della Costituzione sottolineò alcuni articoli… Articolo 2: “L’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà, politica, economica e sociale”. Articolo 11: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli”, Articolo 8: “Tutte le confessioni religiose, sono ugualmente libere davanti alla legge”. Articolo 5: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali”. Articolo 52: “L’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica”. Articolo 27: “Non è ammessa la pena di morte”… Una somma di disposizioni pensate e scritte per dare a ciascuno il diritto di sentirsi cittadino: questa è ancora adesso la nostra Costituzione.
“Purtroppo – ha scritto ieri Goffredo Fofi – nella società e nella scuola, nella politica come nella magistratura, mi pare che pochissimi leggano ancora la Costituzione, la carta fondante della nostra convivenza sociale, dei principi che dovrebbero guidarci tutti, che è stata pensata elaborata stabilita da un gruppo di uomini eccellenti sopravvissuti alla seconda guerra mondiale e alla guerra civile”. Da qui la domanda più angosciante: “Ma la nostra Carta la si insegna ancora in qualche scuola? La leggono, studiano, meditano – per esempio – gli studenti di legge?”. Eppure, “la nostra Costituzione, costata lacrime e sangue, è ritenuta, nel mondo, dagli studiosi più attenti come una delle più belle, una delle più avanzate, una delle migliori”.
E se tornassimo, noi e chiunque si trova adesso a far politica, a leggerla e ad applicarla questa bella Costituzione?
LUCIANO COSTA