Quel 28 ottobre 1921 ad Aquileia, cittadina friulana dove la Prima Grande Guerra aveva lasciato lutti e miserie, toccò a una donna, mamma di un militare caduto sul campo di battaglia, scegliere una salma tra le undici che rappresentavano i diversi fronti su cui l’Italia aveva combattuto il primo conflitto mondiale. Cento anni dopo Aquleia rinnova la memoria di quel giorno. Da lì, infatti, partì il treno, diretto a Roma, sul quale era stata collocate la salma prescelta. Toccando Venezia, Bologna, Firenze e infine Roma, quel treno che a velocità moderatissima passava di stazione in stazione diede alla popolazione l’opportunità di onorare il caduto che in sé racchiudeva tutti i caduti dell’orrenda guerra.
Qualche giorno fa Luciano Zani, un professore dell’Università La Sapienza di Roma, ha spiegato che quello “fu un giorno necessario” perché, se “quella Guerra era stata una guerra di massa che aveva prodotto una morte di massa e, di conseguenza, un lutto di massa in milioni di famiglie, le cui coscienze sono state marchiate da un dolore incommensurabile, a quel dolore era necessario dare una risposta e uno sfogo, una ragione e un senso. Il lutto di massa ha generato il culto di massa dei soldati caduti, comune a tutti i paesi coinvolti nella guerra. Quel giorno, e i giorni successivi fino al 4 novembre, sono stati un rito collettivo, preparato e pianificato con cura, ma anche spontaneo e partecipato da centinaia di migliaia di italiani, che resero onore alla bara contenente i resti del milite ignoto. La scelta di un soldato senza nome, tra i milioni di caduti e dispersi senza nome, fu l’idea che consentì di conciliare il rispetto dell’individualità di ogni singolo soldato e l’impossibilità di restituirla a ognuno di loro”.
Il treno che trasportava la bara del Milite Ignoto impiegò sei giorni per giungere a Roma e depositare ai piedi dell’Altare della Patria il suo prezioso carico. Poi, il 4 Novembre 1921, la celebrazione ufficiale. Quel giorno divenne per tutti “una parentesi di silenzio, di raccoglimento e di lutto tra due epoche storiche. “La prima, con la guerra – ha spiegato il professore -, segnò il suicidio dell’Europa, soprattutto quella imperiale, e la catastrofe della sua civiltà: una crisi demografica spaventosa, una intera “generazione perduta”, circa dieci milioni di morti e un ingente numero di mutilati e invalidi, milioni di profughi e di deportati a causa della ridefinizione dei confini degli Stati; la perdita del primato economico dell’Europa. La seconda epoca vide in Italia l’appropriazione indebita da parte del fascismo del combattentismo e dei miti della guerra e della vittoria, la traduzione dell’epopea della trincea in forme violente di politica armata e militarizzata, la rapida torsione dei valori nazionali in nazionalismo estremo fino al trionfo del fascismo con le sue nuove guerre…”. A cent’anni di distanza “ogni Comune d’Italia che voglia dare la cittadinanza onoraria al Milite Ignoto dovrebbe parlare ai giovani del sacrificio dei caduti come necessità della pace e non esaltazione della guerra”.
Tre anni dopo, nel Maggio del 1924, Nella Berther, una studentessa bresciana destinata a segnare pagine di storia importanti, ascoltando l’inno che rammentava a tutti come in quel giorno, inizio della Grande Guerra, anche “il Piave mormorava”, scrisse: “Mi sembra, quando lo dico, di sentir negli orecchi una sonata fiera e marziale, una di quelle che canto anch’io quando mi sento la vita pulsar più prepotente nelle vene. E mi par ancora di ricordare vagamente, i giorni della guerra, quando partirono gli zii e tanti che si conoscevano per il fronte, un luogo dove si combatteva e donde gli uomini tornavano più sparuti, più laceri, ma con una fiamma nuova negli occhi, con una calma maggiore nel parlar di pericoli e di morte, essi che la morte vedevano in faccia ogni giorno. Ci han detto ieri a scuola che il 24 maggio dobbiamo averlo fisso nel cuore come una gran data per l’Italia e io ce l’ho fisso, sì! Oh quanto lo ricordo sempre! Ieri, quando a scuola il professore di filosofia giunse a parlare de’ nostri cinquecentomila morti, io ho sentito un brivido per le ossa, un brivido di pietà per coloro che han perso quel che avevano di più caro lassù a quel terribile fronte e anche un brivido d’orgoglio di poter dire d’essere Italiana come quelli che donarono se stessi per l’Italia. Nel momento in cui siamo scattati in piedi in silenzio al magico nome di quei caduti avevo un nodo alla gola e mi son meravigliata di non sentirmi scorrer sul viso le lacrime”.
In anni lontani dalle guerre, cercando di dare un senso alla moltitudine di segni e monumenti innalzati in ricordo dei caduti di tutte le guerre, ho anch’io provato a spiegare ai giovani l’importanza della visita ai monumenti che fanno memoria dei morti e dei dispersi di tutte le guerre. Allora Gianni, un ragazzo di quinta elementare, mi disse che i monumenti li vedeva e li evitava perché gli facevano tristezza. Andrea, un altro ragazzo di quarta, mi raccontò del bisnonno il cui nome sta sulla lapide centrale del monumento eretto al centro del paese. Claudia mi confidò di sapere soltanto quello che ha trovato scritto sui libri: date, personaggi, fatti, note brevissime, rimandi… “Il sufficiente per sapere, ma non per capire”, mi disse con evidente rimpianto.
Scrissi in seguito che sarebbe stato importante aiutare i giovani a capire, che bisognava spiegare a ciascuno, al di là di ogni ragionevole supposizione, che neppure uno di coloro che la guerra aveva trattenuto a sé, impedendogli di tornare alle famiglie e agli affetti, era morto invano. Bastava leggere le lettere dal fronte inviate dai giovani per comprenderlo. “Non so perché sono qui – scriveva un giovane alla mamma che non trovava consolazione –, ma tu pensami impegnato a difendere l’onore della nostra Patria. Non preoccuparti, che di me si preoccupa l’esercito; non cercarmi, che già mi cerca il nemico; non piangere, che già piango io. Se muoio, cara mamma, muoio perché la nostra Italia viva finalmente libera e felice”.
Sulle lapidi che onorano i monumenti ai caduti e che raccontano gli anni tristi della nostra storia è facile trovare scritta questa frase: “Nessun che muore per la Patria muore invano”. Quando vi capitasse di vederla scritta davanti a voi, fermatevi, leggete, meditate, fate in modo che tutti la conoscano e la apprezzino. Dentro quella frase, infatti, c’è il cuore del Milite Ignoto.
LUCIANO COSTA